Squadristi rossi contro La Stampa, o della sinistra che divora se stessa
L’assalto alla sede della redazione de La Stampa, a Torino, ricorda lo squadrismo fascista. Ma viene da sinistra, dal centro sociale Askatasuna. E avviene contro un giornale allineato a sinistra, specie su Israele. Cortocircuito culturale nella sinistra.
L’assalto alla sede della redazione de La Stampa, a Torino, è un fatto gravissimo che ricorda da vicino lo squadrismo fascista. Se i giovani che hanno distrutto materiali e imbrattato pareti fossero stati di un centro sociale di destra, oggi assisteremmo a una mobilitazione permanente nazionale in difesa della libertà di stampa. Invece negli uffici vuoti, lasciati sgombri dallo sciopero dei giornalisti di venerdì 28 novembre, si sono scatenati i militanti del centro sociale Askatasuna e altri loro compagni di strada. E allora invece di una condanna, assistiamo all’ennesimo dibattito fra intellettuali che si interrogano sul ruolo della stampa e della sua libertà.
Meglio fare una piccola premessa. La causa della violenta manifestazione del centro sociale torinese è il provvedimento di espulsione nei confronti di Mohamed Shahin, imam considerato vicino agli ambienti del radicalismo islamico, un predicatore che ha esplicitamente inneggiato al pogrom di Hamas del 7 ottobre: «Io personalmente sono d’accordo con quello che è successo il 7 ottobre (…) Noi non siamo qui per essere con la violenza, ma quello che è successo il 7 ottobre 2023 non è una violenza», aveva detto durante una manifestazione lo scorso 9 ottobre. Se 1200 israeliani assassinati a sangue freddo, non è un atto di violenza… Attualmente Shahin si trova in un limbo, nel Centro di permanenza temporanea di Caltanissetta. In difesa del predicatore, invece, si sta formando una galassia formata da giuristi, opinionisti, politici di sinistra e di estrema sinistra (ma anche qualche liberale, in difesa della libertà di espressione e il vescovo di Pinerolo, mons. Derio Olivero). In questa galassia spunta l’attivismo, violento, dei centri sociali e in particolare l’Askatasuna di Torino, in prima linea contro la Tav, in prima linea contro i carabinieri, in prima linea nelle manifestazioni più violente dei pro-Pal. Uno scenario tipico di fusione islamo-comunista, come siamo ormai abituati a vedere in tutta l’Europa occidentale.
Ed è in questo scenario di radicalizzazione della protesta che si inquadra l’assalto a La Stampa, accusata di non aver difeso Shahin, dunque di essere complice di Israele, quindi complice di “genocidio”, con un sillogismo che sta diventando sin troppo comune a sinistra. Ma c’è un piccolo problema di logica, in questo caso, che inceppa tutto il meccanismo: La Stampa è un quotidiano di sinistra, è contro Israele ed è una delle principali testate che accusano il governo Netanyahu per la guerra a Gaza. Anche troppo, secondo il professor Sergio Della Pergola, che ha esposto le sue conclusioni in una conferenza indetta al Cnel dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane: il quotidiano torinese, «è la testata italiana che più di ogni altra dal 7 di ottobre al 19 settembre 2025 ha tenuto un marcato atteggiamento di propaganda antisraeliana». Scrive Fiamma Nirenstein, giornalista ex firma de La Stampa (attualmente de Il Giornale): «Editorialisti come Vito Mancuso, Anna Foa, Ilan Pappè, Rula Jebreal hanno dato il tono con un’autentica sistematica demonizzazione. La Stampa, nonostante la tradizione moderata e progressista, ha prevalentemente descritto in un flusso continuo gli atti di Israele come violenti, malvagi, punitivi; la ferocia di Hamas è sfumata nella descrizione delle condizioni di un popolo che certo ha sofferto la guerra ma che per quel quotidiano è vittima di genocidio, crimini di guerra, apartheid. Della Pergola nota che è stato oscurato il contesto storico e politico, si è dimenticato presto il 7 ottobre come la determinazione programmatica a distruggere Israele e l’uso di scudi umani».
La destra è chiarissima nella condanna all’attacco, veramente squadrista, alla redazione di un quotidiano, che pure è ad essa ostile. Ma la sinistra è entrata in piena confusione. Francesca Albanese, relatrice speciale all’Onu per i Territori Occupati, tira dritto. Così come non ha risparmiato lezioni di antisionismo al sindaco di Reggio Emilia (mentre questo la stava premiando), non risparmia neppure i giornali amici: condanna l’incursione, ma «deve essere anche da monito alla stampa per tornare a fare il proprio lavoro. Per riportare i fatti al centro e, se riuscissero a permetterselo, anche un minimo di analisi e contestualizzazione». Insomma, colpirne una per educarne cento? La sua parziale marcia indietro, se possibile, peggiora ancora la posizione: «la rabbia verso un sistema mediatico che distorce la realtà in Palestina è comprensibile, ma la violenza, anche dentro un sistema violento, finisce per rafforzare chi ci opprime». Quindi la violenza non viene condannata per principio, ma solo perché, al momento, è una tattica sbagliata.
Come constatano osservatori acuti come Fausto Carioti del quotidiano Libero, tutti i partiti di sinistra, pur condannando l’aggressione ai giornalisti, non nominano mai l’aggressore: il centro sociale Askatasuna. In compenso i diretti interessati, a Torino, lo premiano: per Alessandra Algostino, ordinaria di Diritto costituzionale e membro del comitato dei garanti per riconoscere il centro sociale Askatasuna come “bene comune” della città di Torino, non si deve arrivare, «in maniera strumentale, all’idea che Askatasuna, come centro sociale, sia il cardine di un’associazione per delinquere». Per questo il piano del comune per un riconoscimento ufficiale, “andrà avanti”, perché «È un tentativo coraggioso in cui crediamo molto».
Insomma la sinistra politica non sa condannare la violenza che viene dalla sinistra di piazza. Non ha gli strumenti politici e culturali per capire il pericolo e contrastarlo. E il problema riguarda La Stampa stessa. Come dice la sua ex firma Fiamma Nirenstein, nel suo editoriale su Il Giornale: «Ciò che è accaduto dovrebbe accendere una luce per tutti quelli che cercano lo sfondo di una realtà a senso unico: quella realtà è piena di violenza, terrorismo, odio per la nostra stessa società democratica. Di Gandhi, che il direttore cita, ai suoi aggressori importa ben poco: a noi giornalisti deve importare il declino conoscitivo che ha portato alla violenza dei giovani vandali, e allo stravolgimento della più banale comprensione della realtà dei fatti, e il declino morale di quelle folle guidate da ignoranti».

