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MEDIO ORIENTE

Siria nella miseria, al Sharaa consolida il suo potere

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Il nuovo regime siriano guidato da al Sharaa non riesce a salvare il paese dal collasso economico, ma consolida il potere islamico con massacri delle minoranza ed elezioni in cui le minoranze sono penalizzate. 

Esteri 18_09_2025
Bambini siriani mendicanti (foto Elisa Gestri)

A nove mesi dalla caduta di Bashar al Assad il nuovo governo siriano guidato dal leader islamista Ahmed al Sharaa sembra aver precipitato il Paese nel caos. La Siria è al collasso economico; povertà e disoccupazione regnano ovunque, nelle città come nei villaggi; la popolazione siriana, al netto di chi ha lasciato il Paese o è caduto sotto la falce jihadista che nei mesi scorsi ha mietuto migliaia di vite, soffre per la mancanza di cibo, medicinali, elettricità, carburante. Il nuovo governo, incapace  di gestire il Paese, intrattiene rapporti ambigui con quelli vicini – ricordiamo che Israele occupa parte del territorio del sud e la Turchia controlla parte di quello del nord – e cerca di accreditarsi come interlocutore “democratico” con quelli lontani.

L'unico progetto coerente che il governo di al Sharaa sembra portare avanti sin dalla presa del potere in Siria è l'eliminazione delle voci dissenzienti, a partire dalle minoranze religiose.

Secondo L'Osservatorio siriano per i diritti umani  il 27 agosto scorso le autorità di Damasco hanno lanciato una “operazione di sicurezza”  nel quartiere damasceno di Sumaria, un'area periferica della Capitale sede di una delle principali stazioni di autobus e taxi della città, da cui partono mezzi per il Libano, il sud della Siria e la Giordania. Sumaria è un'area a maggioranza alawita in cui vivono in casupole - poco più di baracche - circa mille e quattrocento famiglie a basso reddito che, a quanto si apprende, hanno subito nei giorni scorsi un vero e proprio assedio. Secondo la cronaca delle testate  Al-Akhbar  e The Cradle circa seicento uomini mascherati e armati di spade e taser – appartenenti a sedicenti “forze dell'ordine” - sono entrati nel quartiere, dichiarando di dover controllare i documenti dei residenti per censirli e per accertarne il diritto alla proprietà degli immobili. In realtà, hanno iniziato a  picchiare violentemente uomini, donne e bambini, per poi chiudere in un edificio circa quattrocento uomini e ragazzi, tra cui il mukhtar (responsabile di quartiere) locale e un bambino di dieci anni, picchiandoli e chiamandoli “maiali alawiti”. Hanno poi diramato ordini di evacuazione, intimando ai residenti di lasciare il quartiere entro 72 ore e minacciando di usare i bulldozer per distruggere gli immobili di coloro che si fossero rifiutati. A quanto si apprende, un centinaio di famiglie hanno  lasciato l'area temendo ripercussioni.

In seguito alle lamentele dei responsabili della comunità alawita il ministro dell'interno è intervenuto promettendo di fermare le violenze; il mattino successivo, però, gli uomini delle “forze dell'ordine” si sono ripresentati,  intimando nuovamente ai residenti di lasciare il  quartiere, picchiando, saccheggiando e usando violenza alle donne.

Gli episodi di Sumaria stanno diffondendo il panico in altri quartieri e sobborghi di Damasco quali Mezzeh, Al-Amin Street, Zein al-Abidin, Jaramana e Sahnaya, abitati da minoranze alawite, sciite, cristiane e druse: gli slogan razzisti cantati dalle “forze dell'ordine” fanno supporre che il governo voglia liberarsi delle minoranze religiose che vivono nella Capitale. Non è la prima volta che  residenti di località a maggioranza alawita  nei dintorni di Damasco sono stati minacciati da milizie armate filogovernative e costretti ad andarsene.

In questi giorni, precisamente dal 15 al 20 settembre, a quanto annunciato nel luglio scorso si sarebbero dovute tenere nel Paese le elezioni per il rinnovo del Parlamento, in vista delle quali il governo siriano ha approvato in agosto un “sistema elettorale temporaneo”.

Secondo questo sistema il numero dei parlamentari è stato innalzato da 150 a 210;  è stata inoltre operata una redistribuzione dei seggi sul territorio nazionale. La nuova ripartizione vede la maggioranza dei deputati appannaggio dei distretti di Aleppo (32), Damasco (22 tra città e hinterland), Homs, Hama e Idlib (12 ciascuno). I più penalizzati sono invece i distretti a maggioranza alawita di Latakia e Tartus, che avranno  a disposizione rispettivamente 7 e 5 seggi, e quello a maggioranza drusa di Suwayda che esprimerà solo 3 deputati, al pari del piccolo distretto di Quneitra, nel Golan.

Non è difficile leggere in tale redistribuzione la volontà governativa di rafforzare il consenso aumentando i seggi nelle aree tradizionalmente pro islamiste, se non dominate direttamente dagli estremisti islamici come Idlib, a discapito di quelle abitate dalle minoranze religiose. Tale gioco politico, invero piuttosto rozzo nonché contrario alla logica  demografica, mina ulteriormente la credibilità di una tornata elettorale che già in partenza pone seri dubbi; ricordiamo che un terzo dei deputati sarà scelto per chiamata diretta da al Sharaa, mentre i restanti due terzi saranno liberamente eletti.

“Per motivi di sicurezza”, inoltre, il governo di Damasco ha annunciato che non si terranno elezioni nei distretti di Suwayda, nel sud della Siria, e di Raqqa e Hasaka nel nord est, al confine con Turchia e Iraq. Nel luglio scorso la regione di Suwayda è stata terreno di gravi scontri tra le milizie governative e i residenti drusi e cristiani, ed è interessata dalla presenza di truppe di IDF; la maggioranza della provincia di Hasaka e parti di quella di Raqqa, invece, sono controllate dalle milizie curde del Syrian Democratic Forces (SDF). Mancheranno inoltre i voti degli oppositori del nuovo governo fuggiti all'estero dopo la presa del potere di al Sharaa e dei suoi non si tratta solo dei nostalgici della famiglia Assad, ma di centinaia di migliaia di persone scampate ai massacri delle milizie filogovernative degli ultimi mesi.

Anche se, a quanto si apprende, la tornata elettorale sembra rimandata per questioni logistiche, date queste premesse al Sharaa pare avviato verso una vittoria  plebiscitaria che, ça va sans dire, sarebbe solo nominale. Sarà interessante registrare le reazioni della comunità internazionale davanti all'eventualità di un simile risultato; intanto, l’autoproclamatosi presidente siriano è stato invitato ad intervenire il 24 settembre a New York all’Assemblea generale delle Nazioni Unite  -  cosa che ha suscitato proteste e petizioni indirizzate al Segretario Generale António Guterres affinché tale invito venga ritirato.