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SENTENZA

Serbia e Croazia sono state assolte. Giustizia è fatta?

Nella guerra fra Serbia e Croazia non fu commesso alcun genocidio. Sembra la frase-shock di un negazionista, ma è la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia. La setenza riguarda i massacri nella guerra serbo-croata del 1991-1995, Vukovar e la Krajina. Belgrado e Zagabria hanno ora il cuore in pace. Ma è giustizia?

Esteri 04_02_2015
Profuga della Krajina

Nella guerra fra Croazia e Federazione Jugoslava (1991-1995) non è stato commesso alcun genocidio. Questa frase può apparire paradossale per chiunque abbia seguito con interesse il conflitto dello scorso ventennio. Chiunque ricordi il massacro serbo a Vukovar o la vendetta croata nella Krajina, è solito rievocare due parole: pulizia etnica. Che rientrano in una logica genocida: la pulizia etnica è un insieme di operazioni di terrorismo di Stato, compresi massacri indiscriminati, volta a cacciare un’etnia da un territorio. Eppure la Corte Internazionale di Giustizia ha sentenziato ieri che nel lungo conflitto non vi è stato alcun genocidio, da nessuna delle due parti. Ed è arrivata al verdetto dopo 16 anni di causa intentata dalla Croazia alla Federazione Jugoslava e dopo 5 anni di causa intentata dalla Serbia alla Croazia.

Per capire come si sia arrivati a un verdetto così paradossale, occorre concentrarsi sulla durata del processo: 16 anni. Perché fu nel lontano 1999 che il governo di Zagabria fece causa a quello di Belgrado per genocidio, accusandolo di averlo commesso nella Slavonia orientale, in particolar modo nella città assediata di Vukovar nel 1991. In quell’anno, infatti, la Croazia aveva dichiarato la sua indipendenza dalla Jugoslavia, ma le regioni a maggioranza serba della Krajina e della Slavonia orientale non avevano accettato la secessione. Milizie di nazionalisti serbi e l’esercito regolare jugoslavo occuparono la Krajina, dilagarono nella Slavonia orientale e posero l’assedio alla città (strategicamente importante) di Vukovar, abitata da una maggioranza di croati. Dopo mesi di assedio, Vukovar cadde e le milizie nazionaliste serbe, guidate dal “comandante Arkan” si abbandonarono ad orrendi massacri. Decine di migliaia di croati furono costretti ad abbandonare le loro case, almeno 260 vennero imprigionati e uccisi. Quando la Croazia, otto anni dopo il massacro, decise di far causa alla Federazione Jugoslava, a Belgrado era ancora presidente Slobodan Milosevic, lo stesso del 1991. Un processo, allora, avrebbe avuto perfettamente senso. Ma nei sedici anni successivi è cambiato tutto. Nel 2000 il regime post-comunista di Slobodan Milosevic è stato rovesciato dalla prima delle “rivoluzioni colorate” dell’Est Europa ed è stato sostituito da governi democraticamente eletti, tendenzialmente filo-europei, che hanno avvicinato Belgrado all’Ue. Nel 2006, la Federazione Jugoslava, in quanto entità politica, ha cessato di esistere anche formalmente quando il Montenegro ha dichiarato pacificamente la sua indipendenza da Belgrado. L’11 marzo del 2006, intanto, era morto di morte naturale Slobodan Milosevic, all’Aia, durante il processo nel Tribunale Internazionale, accusato di crimini di guerra e contro l’umanità. La fine della Jugosavia e la morte di Milosevic, hanno dunque reso il processo per genocidio un anacronismo storico. Un po’ come processare il governo democratico della Repubblica Federale Tedesca per i crimini del nazismo. Tuttavia, il processo è continuato ugualmente per altri nove anni.

La Serbia, a questo punto, nel 2010 ha reagito denunciando la Croazia per il genocidio che avrebbe commesso nella Krajina. Come gli eccidi della Slavonia orientale hanno segnato l’inizio del conflitto serbo-croato, la pulizia etnica della Krajina ha segnato la sua fine, nel 1995. Nell’estate di quell’anno, approfittando dell’intervento Nato in Bosnia, la Croazia lanciò la sua offensiva per riconquistare la regione, cacciandone i serbi. Nell’operazione “Tempesta” l’esercito croato compì bombardamenti indiscriminati contro i civili e li colpì anche con rappresaglie militari, provocando un esodo di duecentomila serbi. Per l’operazione Tempesta, tre generali croati, Ante Gotovina, Ivan Cermak e Mladen Markac vennero processati all’Aia e nel settembre 2010, i primi due vennero condannati rispettivamente a 24 e 18 anni di carcere per crimini di guerra. Successivamente, però, nel processo di appello che si concluse due anni più tardi, anche Gotovina e Cermak vennero assolti. Anche per questo motivo, la Serbia sente di essere vittima di una giustizia internazionale faziosa.

Il doppio processo a Serbia e Croazia, entrambe accusate di genocidio, all'alba del 2015 ha solo rischiato di compromettere il processo di integrazione dei Balcani nell’Ue. La Croazia è già membro a pieno titolo dell’Ue e della Nato. Ha normalizzato i suoi rapporti con la Serbia (che, è bene ricordarlo, non è più la Jugoslavia di Milosevic) e ha promesso di sostenere la sua integrazione nell’Ue. Altri eventi, tuttavia, hanno rialzato la tensione fra i due Paesi, come abbiamo ricordato su La Nuova Bussola Quotidiana. E quindi, cosa avrebbe potuto provocare una condanna alla Croazia, o alla Serbia, o a entrambe, per crimini di genocidio, se non la rovina del processo di integrazione balcanico, con la riapertura di vecchie ferite? Forse è anche questa considerazione, tutta politica, che ha indotto i giudici dell’Aia ad assolvere entrambi i governi dall’accusa più infamante, per insufficienza di prove prodotte dall'accusa delle due parti. Ragionando in punta di diritto, né la pulizia etnica della Slavonia orientale, né quella della Krajina costituiscono atti di genocidio.  

Tutti assolti, tutti tranquilli. Giustizia è fatta? I morti di Vukovar sono stati assassinati perché erano nati croati, in una regione a maggioranza serba. Uccisi per quello che erano, non per quello che avevano compiuto. Idem dicasi per i serbi della Krajina, la cui unica colpa era quella di esser nati serbi, in una regione a maggioranza serba, ma entro i confini amministrativi (disegnati da Tito, croato) della Croazia. Anch’essi sono stati assassinati per quello che erano, non per quel che avevano compiuto. Non è genocidio? Nella definizione della Convenzione Onu sul Genocidio del 1948 contempla, quali casi di genocidio: un atto deliberato commesso con l'intento di distruggere, in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso; l'uccisione di membri del gruppo; lesioni gravi all'integrità fisica o mentale dei membri del gruppo; sottoposizione deliberata del gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; imposizione di misure miranti a impedire nascite all'interno del gruppo; trasferimento forzato dei bambini da un gruppo a un altro.

Alla luce di questa definizione, in Slavonia orientale e Krajina non fu genocidio? La Corte dell'Onu ritiene che: no, non sia il caso. Ma a questo punto, domandiamoci a cosa serva un tribunale internazionale, che emette un verdetto dopo 16 anni, dichiara che non vi fu alcun genocidio (non lo poteva stabilire nel 1999, al momento dell’atto d’accusa?) banalizzando così il male degli ultimi grandi massacri europei del secolo scorso.