Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Giovedì Santo a cura di Ermes Dovico
IL SANTO E LA MUSICA

Sant'Agostino e l'essenziale del canto nella liturgia

"Evitate quindi ciò che al canto non è destinato”. Sant’Agostino ci riporta all’essenziale del canto nella liturgia, che sia fatto proprio dal cuore, ma non inteso in senso sentimentale (il cuore dei romantici) ma in senso profondamente spirituale.

Cultura 28_08_2021

C’è un bel film del 1953 dedicato a Martin Lutero, che si può vedere in inglese in rete, un film molto ben fatto rispetto anche a recenti film sul riformatore tedesco. Ad un certo punto si vede la scena in cui Lutero entra negli agostiniani e dopo aver fatto le sue promesse si volge verso gli altri padri riuniti per quella occasione che tutti in cori cantano Magne Pater Augustine. È un momento di grande intensità e il canto del celebre inno al grande santo d’Ippona certamente effonde tutta l’atmosfera di grande spiritualità. La melodia usata nel film del 1953 è molto suggestiva, anche se a questo inno vengono anche accompagnate altre melodie, come quella del Pange lingua usata in certe fonti.

C’è un interessante articolo di Gregory Di Pippo su New Liturgical Movement che offre alcune notizie su questo inno, la sua probabile introduzione nel dodicesimo secolo. Come sappiamo, vari ordini adotteranno la regola agostiniana, permettendo la relativa diffusione della sua devozione liturgica. In alcune occasioni, ancora oggi, questo inno viene cantato come canto tipico della spiritualità agostiniana.

Nell’inno viene messo in luce come sant’Agostino fu grande amante della povertà ma anche della verità che egli condivide dolcemente con gli altri nello spiegare la Scrittura (Amatorem paupertatis, Te collaudant pauperes: assertorem veritatis amant veri judices: Frange nobis favos mellis De Scripturis disserens). Agostino, continua l’inno, è colui che fa chiare le cose oscure ed è regolatore della vita comunitaria, grazie alla sua Regola. 

Proprio in questa Regola attribuita a sant’Agostino troviamo scritto: “Quando pregate Dio con salmi ed inni, meditate nel cuore ciò che proferite con la voce. E non vogliate cantare se non quanto è prescritto per il canto. Evitate quindi ciò che al canto non è destinato”. Sant’Agostino ci riporta all’essenziale del canto nella liturgia, che esso sia fatto proprio dal cuore, ma non inteso in senso sentimentale (il cuore dei romantici) ma in senso profondamente spirituale. Il cuore nella Bibbia sintetizzava tutto ciò che di elevato c’è nell’uomo. E poi, ci dice sant’Agostino, si badi all’essenziale, si faccia in modo di cantare tutto quello che è effettivamente destinato al canto. Pensiamo come le antifone di ingresso o comunione nelle liturgie novus ordo sono spesso, quasi sempre, lasciate lì e al massimo vengono recitate, quando dovrebbero essere cantate.

Sant’Agostino ha molte pagine su musica e canto. Pagine che hanno appassionato tantissimi musicologi. Nel libro dodicesimo delle Confessioni dice: “Il suono, appunto, riceve una forma per essere canto, e quindi, come dicevo, la materia del suono precede la forma del canto: non per una capacità creativa, poiché il suono non è l'artefice del canto ma viene posto dal corpo a servizio dell'anima del cantore, che ne faccia un canto; e neppure per una precedenza di tempo, poiché il suono viene emesso contemporaneamente al canto; né per una precedenza di valore, poiché il suono non è meglio del canto, essendo il canto non solo un suono, ma per di più un bel suono; bensì per una precedenza di origine, poiché non il canto riceve forma per essere suono, ma il suono riceve forma per essere canto. Da questo esempio comprenda chi può come la materia dell'universo fu creata dapprima, e chiamata cielo e terra, perché ne furono tratti il cielo e la terra. Non fu creata dapprima nel tempo, poiché sono le cose formate a esprimere il tempo, mentre la materia era informe e si presenta nel tempo ormai insieme al tempo. Tuttavia non se ne può predicare nulla, oltre ad attribuirle una certa priorità nel tempo, sebbene sia considerata l'infimo degli esseri, perché le cose dotate di una forma sono ovviamente più perfette delle informi; e sia preceduta dall'eternità del creatore, se doveva derivare dal nulla la sostanza dalla quale doveva nascere qualcosa”. Come leggiamo, egli saggiamente usa la musica come chiave interpretativa delle realtà soprannaturali, una ermeneutica che purtroppo viene spesso disattesa in tempi in cui sembra che tutto si debba ridurre ad una visione positivista di quello che ci è attorno.