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IL ROGO A MILANO

Quel crocifisso superstite e il "problema" della fede

Ha commosso il racconto del chirurgo che ha perso tutto nel rogo alla torre del Moro di Milano tranne un piccolo crocifisso. L'episodio riporta al centro il tema della croce e della sofferenza. L’unica risposta è avere fede (fiducia) in quel che Cristo ha fatto e detto perché «il giusto vivrà della fede».

Attualità 06_09_2021

Ha fatto impressione l’intervista a «Repubblica» del professor Lorenzo Spaggiari, direttore della chirurgia toracica dell’Istituto Europeo dei Tumori e docente all’università di Milano. Abitava con la famiglia nel famigerato grattacielo Torre dei Moro, quello che si è squagliato in diretta per un incendio che l’ha completamente distrutto. Come si sa, partito da uno degli ultimi piani, una ventina, il fuoco è sceso fino a terra grazie al rivestimento esterno tutt’altro che ignifugo e attualmente sotto i riflettori dei magistrati. Nessuno dei tantissimi appartamenti si è salvato, tutti gli inquilini sono finiti in strada, ogni abitazione è completamente bruciata. Strano a dirsi, nessun danno alle persone.

Più strano ancora è quel che è accaduto alla famiglia Spaggiari, abitante al diciannovesimo piano e proprietaria di tutto il piano, mansarda compresa. «Il soffitto è crollato e abbiamo perso tutto. Bruciata e sciolta dal calore anche la cassaforte inserita nel muro». La cassaforte. Pure inserita nel muro. Epperò liquefatta dal calore. Gli esperti diranno quanti gradi centigradi ci vogliono per far diventare pappa una cassaforte presumibilmente di metallo atto a custodire preziosi.

Ma il bello deve ancora venire. Dentro alla cassaforte, tra le altre cose, c’era un piccolo crocifisso d’oro avvolto in una bustina di plastica. E’ l’unica cosa rimasta intatta, bustina compresa. E se l’oro fonde prima dell’acciaio, figurarsi la plastica. «La mia famiglia è scossa». Infatti, la moglie del primario quella croce se l’è messa al collo e non intende toglierla più. Giustamente l’intervistatore chiede se il fatto non possa essere frutto del caso. In effetti, le coincidenze, anche spettacolari, esistono.

Il professore, tuttavia, risponde: «Se lo è, è un caso che turba. Anche perché non si è verificato da solo». Infatti, quella maledetta domenica la moglie voleva restare a casa. Chissà come mai, il marito aveva insistito perché  andassero coi figli al mare. Non l’aveva mai fatto prima. Poiché le fiamme si sono sprigionate dagli appartamenti più in basso, fossero rimasti sarebbero finiti in trappola. Il professore, stando a quel che dice nell’intervista, è rimasto scosso, sì, ma se qualcuno si aspettava una conversione clamorosa alla religiosità resterebbe deluso. «Un chirurgo può guardare la vita da una prospettiva complessa», dice. In effetti, non si fatica a immaginare lo stato d’animo di un uomo che opera tumori terminali e vede la morte continuamente. Tuttavia, ammette che adesso il suo rapporto coi pazienti e i loro parenti è più empatico. Avrà, certo, tempo per riflettere su quel che gli è accaduto.

Ho personalmente conosciuto altri medici che fanno lo stesso lavoro e sono, come tutti oggi, divisi in credenti e agnostici. C’è chi, vedendo morire la gente, anche bambini, avanza dubbi sulla presunta bontà di Dio. E c’è chi guarda il bicchiere mezzo pieno. In fondo, a ben pensarci, l’umanità è stata sempre così divisa, perché è il problema della «croce» a tenere molti lontani da Cristo. E a poco serve sentirsi dire dal prete che c’è morto prima Lui, perché quando la sofferenza morde davvero emerge quel che in cuor suo ciascuno ha sempre pensato. Come profetizzò il vecchio Simeone a Maria al Tempio.

E la domanda (delle domande) si complica proprio di fronte a episodi come quello del professor Spaggiari e il suo crocifisso rimasto intatto: perché a lui e alla sua famiglia sì e ad altri no? Perché c’è gente che supplica Dio per un miracolo e non lo ottiene, e gente come Spaggiari cui viene elargito senza che l’abbia nemmeno chiesto? Bella domanda. L’unica è avere fede (fiducia) in quel che Cristo ha fatto e detto. Infatti, dice la Bibbia che «il giusto vivrà della fede». E gli conviene, anche per non impazzire.