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CORRUZIONE

Politica, il ritorno della questione morale

Il caso Lusi è la punta dell'iceberg di una corruzione diffusa non scomparsa alla Prima Repubblica perché figlia
di una immoralità più ampia.

Editoriali 03_02_2012
Luigi Lusi

Chi l’avrebbe mai detto? La questione morale è ancora tutta lì. Il senatore Luigi Lusi è stato espulso dal Partito Democratico. La Procura di Roma lo accusa di essersi appropriato indebitamente di grosse cifre dalle casse del partito della Margherita di cui era tesoriere. Qualche mese fa, sempre nel Partito Democratico, era esplosa la vicenda di Filippo Penati, pure sospeso dal partito il 5 settembre 2011. Anche scendendo più in basso dai piani alti della politica, i casi di sospensione di consiglieri regionali con decreto del Presidente del Consiglio sono piuttosto frequenti e per niente in diminuzione: undici sospesi dopo l’arresto negli ultimi due anni.
 

La corruzione è un reato contemplato dal codice penale, però è anche e prima di tutto un’azione immorale. Sembra non appartenere ad un certo periodo politico, ma essere figlia di tutti indistintamente. La cosiddetta seconda Repubblica non ha dimostrato da questo punto di vista grandi virtù rispetto alla prima e l’elenco delle malefatte scoperte è molto lungo. Da quando Antonio Di Pietro si è tolto la toga in aula nel tribunale di Milano le cose non sono di molto cambiate. E qualcuno dice: anzi!


Anche l’attuale fase tecnocratica della politica italiana, la fase dei professori e dei banchieri, non sembra essere esente da questi fenomeni di immoralità pubblica. Non per colpa dei professori e dei banchieri, naturalmente. Però ci si chiede se la tecnica possa essere la medicina adatta. Mettendo da parte la politica e ponendosi in un certo senso al di sopra e al di fuori di essa, la tecnica potrebbe dare l’impressione di sterilizzare il malaffare.

La tecnica, invece, non può rigenerare dalla corruzione politica per due motivi molto semplici.


Il primo è che quando la tecnica assume il potere lascia libera la politica dall’assunzione di responsabilità ma non dalla possibilità di fare danni. In questo momento i partiti sono dietro le quinte, in aula è arrivato un supplente che governerà fino a che i partiti non riprenderanno quota. La responsabilità politica delle decisioni governative è certamente anche dei partiti che le votano in parlamento, ma è una responsabilità molto defilata, per nulla appariscente e indiretta. Però non è che con ciò i partiti non esercitino ancora il loro potere, solo lo fanno con minore assunzione di responsabilità. La tecnica, di per sé, non responsabilizza e questo può essere potenzialmente negativo per la moralità della politica stessa.


Il secondo motivo è che la tecnica è interessata solo al come e non al perché. Un governo tecnico, in teoria, dovrebbe solo fare alcune cose; è lì per rispondere ad un “come”. So bene che così non è e che nessun governo è puramente tecnico. Però ci prova. Ogni governo tecnico almeno prova ad essere tecnico. Così facendo, la tecnica sterilizza la politica e la stacca dall’etica, a cui è invece strutturalmente connessa. Capita così che diventi più difficile esprimere sulla politica un giudizio morale, in quanto l’ambito della politica è stato assunto dalla tecnica, che si occupa di efficacia e non di verità o di  bontà.


Il problema di fondo, quando si parla di corruzione nella politica, è che l’immoralità nell’esercizio dei pubblici poteri, è un capitolo dell’immoralità in generale e non si può pretendere che essa diminuisca se non si lotta contro l’immoralità in generale. E’ per questo che la lotta alla corruzione non può essere solo politica, né solo giuridica, né tantomeno solo tecnica.


Qui esplode la contraddizione principale della nostra epoca e della nostra società. Ci si strappa le vesti davanti ai casi di corruzione politica o di evasione fiscale, mentre davanti a forme invadenti e opprimenti di immoralità non si dice né si fa nulla. Permettiamo che i nostri bambini conoscano già tutte le perversioni a dodici anni e che l’industria del divertimento dei giovani assuma forme degradanti e poi vorremmo che, per un colpo di bacchetta magica, tutti diventassero santi.


Quando una giunta comunale riconosce che ne possono fare parte anche esponenti di partiti favorevoli all’aborto o al riconoscimento delle coppie omosessuali non si accorge che si proclama indifferente dall’etica. E come farà poi ad indignarsi nel caso di corruzione di qualche esponente politico? E’ quantomeno strano che un partito che neghi teoricamente e di fatto i principi della legge morale naturale poi si erga a giudice dei propri esponenti proprio su questioni di etica naturale.