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Più di tante parole

Nel libro che raccoglie i suoi interventi nella trasmissione "Ascolta si fa sera", monsignor Riboldi ricorda la lezione di Giovanni Paolo II, «che non si spostava mai senza un rosario». Ci sono momenti in cui invocare Maria, la sua compagnia materna, riempie il cuore più di tante parole.

Editoriali 02_02_2013
GP II Rosario

Ricevo un libro che raccoglie gli interventi che monsignor Antonio Riboldi ha fatto nella trasmissione radiofonica Ascolta si fa sera (Mondadori, 2013). Un pastore e un uomo coraggioso, monsignor Riboldi, ben noto nella Chiesa italiana per le posizioni sempre assunte, come vescovo di Acerra, contro la camorra che, proprio per questo, lo  tenne a lungo sotto minaccia.
Alcuni di questi hanno attirato particolarmente la mia attenzione perché contengono anzitutto un curioso aneddoto su papa Woityla, ma poi anche perché rivelano a quale fonte, in particolare, questo pastore attingeva la forza per affrontare la non facile situazione nella quale si trovava ad operare.

Partiamo dall’aneddoto: «Ricordo che papa Giovanni Paolo II non si spostava mai senza un rosario. Una volta ebbi la fortuna di fare con lui un viaggio in macchina e durante tutto il tragitto, seppur breve, non ci rivolgemmo parola. Il Papa aveva preferito trascorrere quel tempo recitando il Rosario e, quando arrivati allo stadio San Michele gli dissi che sarebbe stato bello se avessimo parlato tra noi, mi rispose che le nostre sarebbero state parole inutili. Parlare con gli altri è importante, ma ci sono dei momenti in cui recitare l’Ave Maria, invocare la nostra Madre, riempie il cuore più di tante parole superflue».

Questo comportamento, certamente in po’ anomalo rispetto al normale, tipico però di un temperamento mistico quale era il papa polacco, non solo è rimasto impresso nella memoria di monsignor Riboldi, ma lo induce a ulteriori considerazioni e ricordi anche personali sul rapporto tra noi e Maria, proprio in quanto Madre: «Quando nella vita di una persona c’è la madre tutto sembra più semplice. Sebbene avesse sette figli e affrontasse ogni giorno una vita non priva di tribolazioni, mia madre aveva abbastanza amore per tutti noi. Mi diceva sempre: "Antonio, ti voglio tanto bene. E anche se il mio bene non è immenso come quello di Dio, prego sempre affinché tu sia buono, sereno, e possa compiere il tuo dovere”.

Parole semplici, le sue, che mi hanno accompagnato anche quando ero vescovo e mi trovavo a dover combattere contro la camorra e la malavita. In alcuni momenti non era la paura a sopraffarmi, ma l’ansia, il timore di non farcela. Anche in quei momenti mia madre mi era vicina e mi invitava a non demoralizzarmi, perché fino a quando avessi fatto il mio dovere, a tutto il resto avrebbe pensato Dio. Camminiamo come se fossimo soli, circondati da briganti, eppure la vita dovrebbe scorrere come in una grande famiglia sorretta dall’amore della mamma, la Madonna».

E in un altro brano sempre dello stesso libro, ancora a  proposito di Rosario, monsignor Riboldi scrive: «Conservo nel cuore l’immagine di noi bambini, come tanti piccoli pulcini, riuniti intorno a mia madre e a mio padre per recitare il Rosario. Era un momento meraviglioso. Dire il Rosario significa pregare la Madonna ricordando i momenti della sua vita. Si attraversavano i Misteri gaudiosi, che rappresentano il momento della nascita; i Misteri dolorosi, ovvero il momento in cui Gesù muore in croce e i Misteri gloriosi che ci ricordano la nostra gioia futura. Con il Rosario si ha davanti un’ampiezza di visione e di meditazione che abbraccia l’intera esistenza, dalla nascita alla morte.

Il Rosario è sempre con me, mi fa compagnia e quando sono in viaggio o se sono in disparte lo snocciolo e mi metto in dialogo con Dio».