Piemonte, la cieca guerra abortista ai Cav e al fondo per i nascituri
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Continua la guerra di femminismo radicale e sinistre contro il fondo Vita Nascente istituito dalla Regione Piemonte e l’attività dei Centri di aiuto alla vita. Che però svolgono un fondamentale ruolo di aiuto alle donne.

Non si placa neppure con i calori estivi la guerra che vede da tempo tutto quell’universo necrofilo che comprende centri sociali, femminismo radicale, associazionismo pro autodeterminazione e aborto, cui si affiancano ovviamente frange dei partiti all’opposizione, contro la Regione Piemonte, a guida centrodestra, rea di aver istituito il fondo Vita Nascente per sostenere l’impegno delle associazioni pro life e di non esercitare un adeguato controllo su come i soldi di questo fondo vengono spesi.
Il quotidiano La Stampa non si sottrae ovviamente a dar voce alle proteste e Giulia Ricci, nei suoi articoli del 17 e 18 agosto, si sforza, non si capisce bene su quale base e con quali dati, di descrivere l’intervento dei Centri di aiuto alla vita (Cav) come un’insensata erogazione a pioggia dei più svariati aiuti – latte, affitti, passeggini – attribuiti senza nessun criterio. Soldi spesi male, insomma, quelli dati ai Cav, senza nessun parametro nell’erogazione e senza nessun controllo da parte delle istituzioni, ma soprattutto soldi che non risolverebbero la situazione della donna, situazione spesso già problematica per motivi familiari, lavorativi, sociali.
E qui occorre fare una breve riflessione sull’intervento dei Cav e sul tipo di aiuto che viene erogato alla donna che vi si presenta sua sponte, senza che nessuno la obblighi. Chi si impegna come volontario in un Cav sa bene che spesso non è solo l’aiuto concreto, non un passeggino, non un affitto pagato né una bolletta, ma uno sguardo, una stretta di mano, un ascolto che non guardi all’orologio, che dicono: “Il tuo bambino vale, conta per sé stesso, per te, per la tua famiglia e anche per noi che pure siamo estranei ma siamo arricchiti da questa nuova vita che viene al mondo”. Che ha il diritto di venire al mondo. Poi sì, certamente, occorre anche l’aiuto concreto e allora ben vengano il passeggino, l’affitto, la scatola di latte, tutti generi che costano e per i quali è importante anche il supporto regionale del fondo Vita Nascente istituito dalla Regione Piemonte in ottemperanza – ma i cultori della morte preferiscono ignorarlo – dell’art. 1 della legge 194 che prevede appunto che «lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite».
Quanto alle situazioni problematiche vissute da molte donne in gravidanza legate a povertà, solitudine, violenze del marito, del compagno o altro, dovrebbe essere evidente che esse non si risolvono mettendo in mano alla donna un certificato per abortire, come avviene perlopiù nei presidi sanitari cui la donna si rivolge. Queste situazioni, invece, devono essere affrontate strutturalmente, come spesso avviene al Cav, facendo riferimento ad una rete di intervento che comprenda associazionismo ed eventualmente istituzioni.
Mandare una donna ad abortire perché si ritiene la sua situazione irreparabilmente disastrata, nella convinzione che il suo bambino, considerato un “inutile peso”, non potrà che peggiorarla, non è solo una terribile violenza per il bambino che non nascerà, ma anche una mortificante umiliazione per la donna.