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Pericolose illusioni di Renzi sul deficit

La proposta di riportare il deficit pubblico vicino al 3% è uno dei punti più interessanti del libro di Matteo Renzi. Ma è il maggior tallone d'Achille della sua agenda. Se l'economia fosse pura matematica, il maggior deficit creerebbe 30 miliardi l'anno in cinque anni. Ma l'economia non è pura matematica. E in Italia ci sono una serie di problemi strutturali che Renzi non affronta.

Editoriali 13_07_2017
Matteo Renzi

La proposta di riportare il deficit pubblico vicino al 3% è uno dei punti più interessanti del libro di Matteo Renzi, ex presidente del Consiglio, attuale segretario del Partito democratico e aspirante a riprendere la guida del Governo nella prossima legislatura.

È una proposta contenuta nel libro Avanti che difficilmente diventerà il best seller dell'estate anche perché i passi principali sono già stati pubblicati dai principali quotidiani nei giorni scorsi. Il titolo del libro peraltro riecheggia il nome del movimento "En marche" che ha portato Emmanuel Macron alla presidenza della Francia dopo aver sonoramente battuto i partiti e i movimenti tradizionali, ma con la differenza che Macron ha vinto puntando tutto sull'europeismo.

Ma dove potrebbe portare la lunga strada ondulata che campeggia nella copertina del libro di Renzi? Qualche dubbio sul fatto che sia una strada tutta diritta e in discesa appare non solo legittimo, ma doveroso. Le proposte hanno infatti alcuni punti sicuramente encomiabili, in primo luogo quello di aumentare gli sgravi fiscali per le famiglie, ma in uno scenario in cui i veri strumenti che potrebbero riportare l'Italia sul sentiero della crescita appaiono tanto nascosti da sembrare inesistenti.

Il maggiore tallone d'Achille della proposta di Renzi sta in una scommessa tutt'altro che facile. É la scommessa di chi dice, e scrive, che semplicemente portando al 2,9% il deficit pubblico si avrebbero 30 miliardi in più nell'arco di cinque anni. Se l'economia fosse solo matematica il risultato sarebbe acquisito: più deficit  vuol dire che lo Stato spende di più oppure incassa di meno. Il problema è che l'economia non è solo matematica e che quindi ci sono molte variabili in gioco. I 30 miliardi non si creano dal nulla, per acquisirli bisogna aumentare il debito, bisogna emettere nuovi titoli di Stato, bisogna convincere i risparmiatori e le istituzioni finanziarie che è sicuro e conveniente prestare soldi allo Stato italiano, bisogna dare fiducia dimostrando che la spesa è solida e produttiva e non va a finanziare sprechi e privilegi.

La storia recente e la teoria economica dimostrano fin troppo bene che a sostenere la crescita non sono il debito e la spesa, ma sono la produttività e gli investimenti. La produttività perché permette alle imprese di migliorare la competitività sui mercati, gli investimenti pubblici e privati perché sono un moltiplicatore di effetti positivi aiutando il circolo virtuoso che crea nuovi posti di lavoro, quindi fa crescere i redditi, permette maggiori consumi, spinge le imprese a produrre di più e ad assumere personale.

Gli investimenti pubblici sono ora ai minimi termini, ma non per i vincoli europei e la cosiddetta austerità, ma per la crescente incapacità ed inefficienza di chi dovrebbe tradurre i soldi in opere pubbliche. L'Italia è ormai il Paese delle incompiute: appaiono lontanissimi i tempi in cui si riuscivano a costruire gli ottocento km dell'Autostrada del Sole in otto anni. Per esempio proprio otto anni fa sono iniziati i lavori per costruire quattro (quattro non quattrocento) km di ferrovia per collegare Malpensa e Varese alla linea svizzera del Gottardo... e i lavori non sono ancora finiti.

In queste condizioni puntare sulla crescita del deficit appare una pericolosa illusione. Ci sono problemi di fondo, come l'efficienza della giustizia civile, come le difficoltà della scuola di preparare i giovani alle professioni di domani, come la complessità del sistema di licenze e autorizzazioni, la cui soluzione non richiede più soldi, ma soprattutto l'avvio di processi costruttivi e la promozione di una più ampia partecipazione.

Ci sono poi tre rischi nella ricetta di aumentare il deficit. Il primo è quello di considerare l'Europa una controparte e non una realtà in cui l'Italia ha piena partecipazione e quindi responsabilità. Il secondo è quello di mettere a rischio la fiducia di cui gode ancora l'Italia sui mercati finanziari: e se questo si traducesse in un aumento dei tassi di interesse il costo, dato l'alto debito pubblico, potrebbe essere ben maggiore dei 30 miliardi "recuperati". Il terzo è quello di frenare la già lenta dinamica di controllo della spesa pubblica con manovre dettate più dalla ricerca del consenso che dalle reali esigenze dell'economia.

In pratica la proposta di Renzi sembra voler inseguire gli altri competitor politici sul loro terreno. Contro l'Europa, come vorrebbero Lega e 5 stelle, per meno tasse, come si affanna a promettere Berlusconi, più sussidi sociali, come chiedono le altre forze di una sinistra frammentata e divisa. Per i veri problemi... si vedrà.