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INTERVISTA A KRUIJEN

“No, non si può vietare la Comunione sulla lingua”

Monsignor Christophe J.Kruijen, sacerdote della diocesi di Metz, alla Congregazione per la Dottrina della Fede dal 2008 al 2016 e autore del recente articolo “À propos de l’interdiction de la communion donnée sur la langue", ha spiegato alla Nuova Bussola Quotidiana il limite dei vescovi e delle conferenze episcopali nel vietare di ricevere la Comunione sulla lingua e quali possibilità si hanno di distribuirla così nonostante l’imposizione.

Ecclesia 02_03_2021

Monsignor Christophe J.Kruijen è sacerdote della diocesi di Metz. La sua tesi di dogmatica ha ricevuto il premio “Henri de Lubac” nel 2010; riveduta ed ampliata è stata pubblicata con il titolo Peut-on espérer un salut universel?, ricevendo il riconoscimento dell’Académie française. Ha lavorato alla Congregazione per la Dottrina della Fede dal 2008 al 2016 ed è anche autore del recente articolo "À propos de l’interdiction de la communion donnée sur la langue" (vedi qui).

Lo scorso 13 novembre, Mons. Roche, sulla base della lettera del Card. Sarah del 15 agosto 2020, ha scritto che in tempi di difficoltà, i vescovi possono imporre norme provvisorie «anche chiaramente, come in questo caso, sospendere per tutto il tempo richiesto la recezione della Santa Comunione sulla lingua durante la celebrazione pubblica della Santa Messa». Nel 2009, sempre in tempi di pandemia, si era invece difeso il diritto del fedele, secondo Redemptionis Sacramentum, 92. È canonicamente possibile un tale rovesciamento?
Mi sembra problematico. Mons. Roche si riferisce alla menzionata lettera del Card. Sarah, ma in essa sta anche scritto: “Si faciliti la partecipazione dei fedeli alle celebrazioni […] nel pieno rispetto delle norme, contenute nei libri liturgici, che ne regolano lo svolgimento”. Ora, questi libri prevedono la Comunione in bocca. Ricordo poi l’Istruzione Redemptionis Sacramentum, 186: «Ogni ministro sacro si interroghi, anche con severità, se ha rispettato i diritti dei fedeli laici».

Il divieto è stato imposto anche per le celebrazioni nella Forma Straordinaria del Rito Romano. Questa decisione è compatibile con la legislazione propria di questa forma celebrativa?
Non lo è, perché la celebrazione della santa Messa secondo questa forma non prevede la possibilità della Comunione in mano. Imporla ciononostante rappresenta una violazione dell’integrità di un Rito sacro e multisecolare. Singoli vescovi o Conferenze episcopali non possono modificare autonomamente un Rito le cui norme liturgiche sono state approvate dalla somma autorità della Chiesa.

La Comunione sulla lingua è stata proibita dalle Conferenze Episcopali per lo più con comunicati. In Italia, per esempio, si tratta di un protocollo firmato dal Card. Bassetti d’intesa con il Governo, nel quale si afferma genericamente che il ministro deve aver «cura di offrire l’ostia senza venire a contatto con le mani dei fedeli». Quanto sono vincolanti indicazioni di questo tipo?
In un mio precedente articolo, ho concluso per l’invalidità di detta proibizione, partendo dal fatto che la potestà legislativa dei singoli vescovi o delle Conferenze episcopali «è da esercitarsi nel modo stabilito dal diritto», il quale dispone che «da parte del legislatore inferiore non può essere data validamente una legge contraria al diritto superiore» (can. 135 § 2 CIC). Ora, il diritto liturgico universale prevede che i fedeli abbiano sempre il diritto di ricevere la santa Comunione sulla lingua (vedi l’Istruzione Redemptionis Sacramentum, 92, ma già l’Istruzione Memoriale Domini del 1969 e l’Institutio generalis del Messale Romano, 161). Questa posizione mi sembra giustificata a fortiori quando il divieto in questione viene imposto con un semplice comunicato o in termini vaghi.

Lei è a conoscenza di modalità diverse con cui si è cercato di venire incontro al diritto dei fedeli di ricevere la Comunione sulla lingua, senza urtare l’ormai diffusa paura degli altri fedeli verso questa modalità?
Sì, sarebbe possibile prevedere la distribuzione della Comunione sulla lingua dopo che gli altri fedeli l’abbiano ricevuto in mano. Questa possibilità è stata offerta recentemente da parte dei vescovi austriaci (vedi qui).

Di fronte alle argomentazioni dei fedeli, vescovi e sacerdoti rispondono che la situazione di emergenza è tale da giustificare questa imposizione. Ma è possibile operare in questo modo, senza che si sia accertata la portata reale di questo “rischio sanitario”?
Una situazione eccezionale di tipo “Covid” non può giustificare l’abolizione dei diritti basilari. Anche nell’emergenza rimangono principi fondamentali, come il rispetto del diritto e della coscienza. In modo analogo, rimane valida la legge morale anche durante i conflitti armati (cf. CCC 2312). Il divieto ingiusto di dare la Comunione sulla lingua è basato innanzitutto su pregiudizi irrazionali. È importante ribadire tre aspetti.

Prego.
Anzitutto, dal punto di vista sanitario, in globo le mani sono più “sporche” rispetto alla bocca. Di fatto, l’etichetta sul vasetto di gel idroalcolico che sta di fronte a me inizia proprio con queste parole: «La maggioranza delle malattie infettive si trasmette tramite le mani». In secondo luogo, il rischio sanitario “zero” non esiste. Se rimane una possibilità di infezione con la Comunione in bocca, questo vale anche per la Comunione in mano. Non esiste un consenso scientifico sul fatto di sapere quale sia il modo di amministrare la Comunione più “sicuro”. Anzi, nel mio articolo sulla questione, cito vari medici che ritengono che la Comunione in mano sia meno “sicura” rispetto a quella sulla lingua. Infine, dal punto di vista empirico, conosco luoghi in cui la santa Comunione continua ad essere data ai fedeli in bocca da vari mesi, senza che questo abbia provocato particolari problemi di infezione. D’altronde, non sono a conoscenza di testimonianze storiche di infezioni in seguito a questa prassi.

Cosa consegue da questa “incertezza scientifica”?
Il dubbio circa il modo migliore di amministrare la santa Eucaristia nel contesto del “Covid” avrebbe dovuto far propendere verso il diritto dei fedeli di ricevere il loro Creatore sulla lingua. Questo vale ancora di più per i fedeli della Messa detta “tridentina”. In effetti, il vetus Ordo prevede che i fedeli siano inginocchiati al momento della Comunione, il che permette di dare il Sacramento in maniera ottimale, cioè limitando al massimo il contatto delle dita del sacerdote con la lingua o le labbra dei fedeli. Oltre a questo, occorre tener presente la natura stessa della legge. Contro il veleno idolatrico del dilagante positivismo giuridico in atto, va ricordato oggi con forza che la legge deve procedere non primariamente dalla volontà e dall’autorità del legislatore, ma dall’ordinamento della ragione (ordinatio rationis) in vista del bene comune (così san Tommaso nella Sum. theol. Ia-IIae, q. 90, a. 4, resp.). Una norma che non è né ragionevole né utile al bene comune non è una legge, ma è arbitrarietà e quindi non vincolante in coscienza.

In una situazione del genere, a suo avviso, un sacerdote è maggiormente vincolato all’obbedienza verso il vescovo o a quella delle leggi superiori, che dispongono diversamente?
Si tratta di una questione assai delicata, anche perché il modo di ricevere la santa Comunione non riguarda soltanto la sfera disciplinare, ma possiede delle implicazioni che riguardano anche la religiosità e potenzialmente la dottrina, come viene ricordato nella Memoriale Domini. Inoltre, il carattere vincolante delle recenti norme emanate da molti vescovi o episcopati è discutibile dal punto di vista canonistico. Ci possono essere errori di valutazione in questo campo e anche abusi di potere.

In che senso?
Vi faccio un esempio. Durante il post-concilio, la Messa detta tridentina era considerata generalmente come vietata ed abolita, salvo indulto. Poi, nel 2007 papa Benedetto XVI ha dichiarato che il Messale Romano promulgato nel 1962 non fu “mai abrogato”. Il che implica che detto “divieto” di fatto era in realtà privo di una base legale reale. La questione tocca anche la coscienza personale del celebrante. Benché sia tenuto alle norme liturgiche, il sacerdote quando celebra non è un robot e nella loro applicazione deve godere di un certo margine di valutazione. Esiste anche il caso in cui il vescovo tollera almeno tacitamente che in alcuni luoghi si continui a dare la Comunione sulla lingua. Inoltre il sacerdote conserva la possibilità di venire incontro ai bisogni spirituali dei fedeli in privato, essendo chiaro che la proibizione, di cui stiamo parlando, contempla soltanto la celebrazione pubblica della santa Messa.

Come pensa si potrebbe uscire ragionevolmente da questa situazione di impasse, che sta facendo soffrire numerosi fedeli e sacerdoti?
Non possiamo assistere passivamente alla soppressione de facto di un uso liturgico millenario, che manifesta eccellentemente la sacralità del mistero eucaristico, favorendone tanto la fede e la devozione. Bisogna pregare, ma occorre anche presentare argomenti e pubblicazioni.