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REPRESSIONE BIRMANA

Myanmar, colpito anche il villaggio del cardinal Bo

La giunta militare del Myanmar continua le operazioni militari contro i ribelli, senza farsi scrupoli, approfittando anche della disattenzione internazionale. Ad essere colpito, in un raid aereo, questa volta è Monhla, il villaggio natale del cardinal Charles Maung Bo. Colpiti anche chiesa e templi. Per l'opposizione, è persecuzione religiosa.

Libertà religiosa 21_07_2022
Il cardinal Bo

La giunta militare del Myanmar (Birmania) continua le operazioni militari contro i ribelli, senza farsi scrupoli, approfittando anche della disattenzione della comunità internazionale. Ad essere colpito, in un raid aereo, questa volta è Monhla (nella regione centro-occidentale di Sagaing), il villaggio natale del cardinal Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon.

L’attacco degli elicotteri dell’esercito ha colpito cinque centri abitati nelle municipalità di municipalità di Khin-U e Ye-U. Secondo fonti dei ribelli dell’Armed Revolutionary Force, sono stati colpiti anche degli edifici religiosi: una chiesa, due monasteri buddisti e una pagoda.

All’indomani del colpo di Stato militare del 1° febbraio 2021, che aveva annullato l’esito delle elezioni (vinte dalla Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi), il cardinal Bo aveva subito rivolto un appello all’esercito e al popolo birmano: «Restate calmi e non cadete mai vittima della violenza. Abbiamo già fatto scorrere fin troppo sangue. Non lasciamo che altro sangue sia versato in questa terra». Il cardinale deplorava la fine della democrazia promessa, ancora in fase di transizione. L’esercito ha preso il potere accusando il partito di maggioranza di brogli elettorali, «le accuse di irregolarità nel voto si sarebbero potute risolvere con il dialogo, in presenza di osservatori neutrali», scriveva il porporato. Di sangue ne è scorso tantissimo, da allora. La rivolta pacifica, repressa dall’esercito in modo brutale, è degenerata in guerriglia.

Nelle azioni di contro-insurrezione, l’esercito ha più volte preso di mira deliberatamente gli edifici religiosi, soprattutto cristiani negli Stati di Chin e Kayah e musulmani nello Stato di Rakhine. I casi sono innumerevoli. Lo scorso 15 giugno, ad esempio, truppe dell’esercito regolare avevano dato alle fiamme la chiesa di San Matteo, a Dawnyakhu, nello stato di Kayah, abitato dalla minoranza etnica dei Karen. Secondo testimonianze locali «il 14 giugno, i militari hanno bruciato quattro case nel villaggio di Dawnyaykhu. Il 15 giugno, intorno alle 15, i militari hanno bruciato la chiesa cattolica nel villaggio senza una ragione apparente». Almeno altre 9 chiese della stessa diocesi sono state colpite nei bombardamenti.

Secondo il Governo di unità nazionale del Myanmar, che si contrappone alla giunta militare, nel solo mese di maggio, «… più di 7mila case di civili, chiese e altri luoghi di culto sono stati bruciati e distrutti dai militari genocidi e dalle milizie civili da loro sponsorizzate». In totale, da febbraio 2021 ad oggi, sono più di 20mila gli edifici civili e religiosi rasi al suolo dall’esercito.

Salai Maung Taing San, che ricopre l’incarico di ministro della Cooperazione internazionale nel governo di opposizione, il 28 giugno aveva lanciato un appello per il rispetto della libertà di religione, denunciando l’ideologia persecutrice della giunta: «Nel corso della storia del Myanmar, questi stessi generali hanno più volte dimostrato di essere nemici della libertà, della democrazia federale e dell'autodeterminazione, e hanno messo in atto una politica chiamata “Protezione razziale e religiosa”. I militari stanno facendo tutto il possibile affinché il popolo del Myanmar non sia libero di scegliere la propria fede e il proprio credo. Stanno usando la religione e l’etnia come armi, sostenendo gruppi ultra-estremisti come Mabata, che significa “la nostra razza, religione e missione”. Il leader del gruppo estremista Wirathu è stato citato dalla rivista Time come il volto del terrore buddista».

Benché anche edifici religiosi buddisti vengano distrutti o danneggiati nelle operazioni militari, come nel caso dell’ultimo attacco, la politica della giunta consiste soprattutto nel far leva sulla maggioranza buddista, appoggiandone le organizzazioni più nazionaliste, per colpire cristiani e musulmani. Una politica del “divide et impera”, come denuncia il governo dell’opposizione, che si traduce in campagne del terrore ai danni delle minoranze, anche usando l’arma della fame. Dalle regioni più colpite sono già fuggiti 1 milione e 200mila sfollati.