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Migrantes contro il governo, ma dovrebbe ascoltare l’Africa

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Mons. Perego condanna l'accordo Italia-Albania. Il ritornello sull'accoglienza targato "Cei" si scontra però con i vescovi africani, che invece combattono l'emigrazione illegale.

Ecclesia 17_02_2024
IMAGOECONOMICA - ANDREA CALANDRA

Il 15 febbraio il Senato ha approvato l’accordo Italia-Albania che prevede la realizzazione in territorio albanese di due strutture destinate a ospitare una parte degli emigranti illegali che tentano di raggiungere via mare il nostro Paese. Immediata è arrivata la condanna di monsignor Gian Carlo Perego, presidente della Cemi, Commissione episcopale per le migrazioni, e della Fondazione Migrantes, organismo pastorale della Conferenza episcopale italiana. Il breve comunicato è comparso sul sito web della Fondazione Migrantes ed è stato ripreso dal quotidiano della Cei, Avvenire, in un articolo intitolato Ok del Senato all’accordo Italia-Albania. Perego: milioni in fumo.

I milioni sono 673, da spendere in 10 anni. Monsignor Perego ripete questa cifra – «seicentosettantre» – ben cinque volte nelle 15 righe del comunicato sostenendo che saranno tutti euro che «andranno in fumo», che saranno «buttati in mare». Monsignor Perego così dicendo non intende che il progetto sia destinato a fallire e quindi che quei milioni andranno sprecati. Piuttosto ritiene che qualunque iniziativa volta a ostacolare, scoraggiare e ridurre l’emigrazione illegale è sbagliata.

Il presidente della Fondazione Migrantes infatti accusa innanzitutto il governo italiano per la sua «incapacità di costruire un sistema di accoglienza diffusa del nostro Paese», poi di negare tutela agli «ultimi della terra» – così definisce gli emigranti illegali – e di essere incapace di governare le «migrazioni forzate» di cui noi siamo corresponsabili perché sono solo «briciole» i fondi che dedichiamo allo sviluppo «dei Paesi al di là del Mediterraneo» e anzi «guardiamo maggiormente a vendere armi e a finanziare conflitti»: sono 56 gli Stati in situazione di conflitto armato nel 2022, cinque in più dell’anno precedente, specifica, citando dati del SIPRI, Stockholm International Peace Reseach Institute.

Sono accuse formulate impulsivamente sull’onda dell’indignazione, si capisce, ma sono accuse gravi e oltretutto ingiuste. L’Italia è generosa e sollecita nell’accogliere e soccorrere. Lo ha dimostrato anche di recente. Si è mobilitata per ricevere i profughi dell’Afghanistan nel 2021 e quelli dell’Ucraina l’anno successivo. Se poi, basandosi sull’insegnamento del Vangelo, per accoglienza si intende il soccorso prestato a distanza, a chi in qualsiasi parte del mondo ha bisogno di rifugio e aiuto, si può dire senza timore di smentita che l’Italia è sempre presente con risorse finanziarie e umane all’insorgere di qualsiasi emergenza.

Perché mai invece un Paese dovrebbe accogliere delle persone che decidono di entrarvi illegalmente? Solo all’Italia e ai Paesi occidentali si chiede di farlo. Prima di unirsi al coro di chi denuncia e deplora le scelte del nostro governo, la Cei dovrebbe finalmente dare ascolto alle conferenze episcopali dei 54 Stati africani e fidarsi del loro giudizio. Loro che da anni combattono e condannano l’emigrazione illegale, chi la sceglie e chi ci lucra organizzando i viaggi clandestini, esortano i giovani africani a restare in patria per contribuire al suo sviluppo e mai e poi mai lasciare il Paese illegalmente, le loro famiglie a non farsi abbagliare da promesse di laute commesse dai famigliari mandati oltre mare, i governi a investire nel futuro dei giovani e dare a tutti fondati motivi per rimanere.

I vescovi africani, se consultati, direbbero che il mancato sviluppo dell’Africa, o piuttosto il suo sviluppo lento, irregolare e costantemente minacciato, dipende dalle scelte degli africani, dei loro tanti leader privi di scrupoli e che è ingiusto chiamare «briciole» i miliardi di dollari che ogni anno da decenni si riversano sul continente per la sua crescita economica e per ridurre i danni delle molte emergenze umanitarie, quasi tutte originate da conflitti politici, etnici e religiosi.

I vescovi africani sanno e dicono che non si tratta di «migrazioni forzate», ma di scelte, seppure avventate e irragionevoli, perché quasi mai i giovani africani che sbarcano sulle nostre coste fuggono per sottrarsi a guerre e minacce estreme alla vita e alla libertà, mentre per gli altri, per chi davvero cerca di mettersi in salvo, esistono mezzi legali per chiedere e ottenere aiuto. Sanno e dicono infine, inascoltati, che non sono gli «ultimi della terra», che non ne hanno né i mezzi né l’intenzione, a lasciare l’Africa per raggiungere illegalmente le coste italiane, bensì persone che i sociologi definiscono di ceto medio, in grado con mezzi propri o con l’aiuto dei famigliari di mettere insieme migliaia di dollari, tanto costa ricorrere alle reti criminali che organizzazioni i viaggi illegali.

È con rammarico e preoccupazione che le conferenze episcopali africane guardano a dichiarazioni come questa della Cei perché, se ascoltate in Africa, invalidano anni di campagne condotte per sensibilizzare l’opinione pubblica, responsabilizzare i governi, convincere ragazzi e famiglie e perché non solo legittimano comportamenti illegali che non andrebbero mai assecondati, ma indurranno altri giovani africani a prendere decisioni dalle quali dipende il loro futuro, posto che un futuro li aspetti anche se non quello immaginato e non perdano invece la vita lungo le rotte di terra – non si saprà mai quanti – o in mare.



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