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UNA CRISI DEMOGRAFICA CRONICA

L'ultimo dei giapponesi, il Paese del Sol calante

Meno figli, meno reddito e un debito sempre più pesante che ricadrà come un macigno sulle esili spalle della prossima generazione. È il Giappone che qualcuno, dotato forse di troppo humor nero, ha già ribattezzato il Paese del “Sol Calante”. Una nazione da sempre prospera, ancor oggi al terzo posto al mondo per Prodotto interno lordo, che però - al pari di molte realtà occidentali - non vede un futuro di fronte a sé.

Famiglia 06_04_2017

Meno figli, meno reddito e un debito sempre più pesante che ricadrà come un macigno sulle esili spalle della prossima generazione. È il Giappone che qualcuno, dotato forse di troppo humor nero, ha già ribattezzato il Paese del “Sol Calante”. Una nazione da sempre prospera, ancor oggi al terzo posto al mondo per Prodotto interno lordo, che però - al pari di molte realtà occidentali - non vede un futuro di fronte a sé.

La questione è essenzialmente demografica. Negli ultimi venticinque anni la popolazione del Giappone non ha fatto altro che calare seguendo un tasso di fertilità che, ancor oggi, è fra i più bassi al mondo: parliamo di appena 1,4 figli per donna una cifra che, seppure in lievissimi aumento rispetto al minimo storico del 2005 (1,26), è ben lontana dal tasso di sostituzione. E i risultati si vedono. Il primo effetto è quello di una progressiva riduzione della popolazione. Il 2016 ha visto, per la prima volta dal 1899, i nuovi nati scendere sotto la soglia di 1 milione (sono stati circa 981mila), mentre i morti sono arrivati quasi a 1,3 milioni con un saldo negativo di 315mila abitanti. Per dare un'idea in tutto il Giappone nasce un bimbo ogni 36 secondi mentre muore un vecchio ogni 24. Se il trend continuerà, afferma Business Insider, il Giappone potrebbe perdere il 34% della propria popolazione entro il 2100 e alcuni ricercatori nipponici hanno perfino calcolato, con la maniacale precisione che li contraddistingue, la data di estinzione totale del Giappone: 12 agosto 3776.

Il calo demografico ha un impatto determinante sulla suddivisione della popolazione per classi d'età, con un conseguente invecchiamento della popolazione. Se volessimo rappresentare la disposizione della popolazione nipponica su un grafico, questo assumerebbe la forma di un doppio imbuto con l'estremità più estese nell'area che va dai 40 ai 70 anni. A voler essere più precisi la fascia più ampia di popolazione è quella che va dai 40 ai 44 anni (9,69 milioni), seguita a stretto giro da quella fra i 65 e i 69 (9,45). Se dividiamo per genere, poi, notiamo che la fascia più ampia in assoluto è quella che rappresenta le donne fra i 65 e i 69 anni, pari a 4,91 milioni.

E gli anziani d'età compresa fra i 75 e i 79 anni sono un milione in più dei neonati fra gli zero e i quattro anni (6,29 milioni contro 5,27 milioni). Il tutto ha ricadute pittoresche, anche se drammatiche, come le vendite dei pannololi per anziani che dal 2011 in Giappone superano costantemente quelle dei teoricamente più comuni pannolini per bambini. O come il triste fenomeno dei figli che abbandonano letteralmente genitori e nonni non più autosufficienti in ospedali, case di cura o enti benefici senza mai andare a trovarli, quasi fossero diventati rifiuti pesanti e troppo scomodi da tenere in casa.

La ricaduta più evidente e generalizzata, però, è quella sull'economia. Nonostante abbia mantenuto la fama del Dragone sono anni che il Giappone sperimenta la crescita zero. Dopo il calo del 2008 dovuto alla crisi globale, il grafico dell'andamento del Prodotto interno lordo ha cominciato ad oscillare costantemente fra il +2 e il -2%, non molto meglio dell'Italia che nello stesso periodo si è mossa fra il +1 e il -1% (dati Tradingeconomics). La spesa pubblica, per contro, è aumentata in termini assoluti di ben sei punti, dal 36% del Pil del 2007 al 42% di oggi. Una cifra ancora ben lontana dai livelli italiani, dove si aggira attorno al 50% del Pil, ma comunque preoccupante in un'ottica di lungo periodo considerando anche che il Giappone è ufficialmente il paese più indebitato al mondo, con un debito pubblico pari al 250% del Pil (era il 183% nel 2007).

Buona parte di questa spesa va ovviamente a finanziare le pensioni. Secondo i dati dell'Ocse dal 2005 al 2013 la spesa sociale nipponica è passata dal 18,2% al 23,1% del Pil. Non essendo un Paese con particolari problemi di povertà né tanto meno di disoccupazione (appena il 3%) ciò significa che gran parte di quella spesa serve proprio a pagare le pensioni. Il futuro del Giappone, insomma, sembra indirizzato ormai verso un abisso fatto di condizioni di vita sempre più difficili per i giovani, che dovranno tenere sulle spalle un enorme sistema pensionistico, e per gli anziani, che dovranno probabilmente rinunciare a parte della propria pensione per garantire per quanto possibile la precaria stabilità del sistema. Per tutti i giapponesi ci saranno probabilmente più tasse e, di conseguenza, peggiori condizioni di vita.

L'unico argine sarebbe quello di invertire il trend demografico. Il premier Shinzo Abe ha promesso di intraprendere tutte le azioni possibili per aumentare la natalità a 1,8 figli per donna entro il 2025. Un traguardo molto ambizioso, forse perfino utopico, da ottenere attraverso servizi per l'infanzia e incentivi fiscali per le coppie con figli. Non solo: il governo sta anche spingendo, nei limiti del possibile, alla riduzione degli orari di lavoro per i genitori-lavoratori che – in alcuni casi – arrivano a totalizzare 80 ore di straordinario al mese. È la strada giusta e quella che funzionerà? Difficile dirlo. Di sicuro se le cose andranno avanti così “l'ultimo dei giapponesi”, in un futuro remoto, potrebbe non essere più solo un modo di dire.