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L’opuscolo per genitori trans, a Verona il Comune tocca il fondo

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Sarà presentato oggi a Verona l’opuscolo Trans* con figl3, che spazia dall’autoinseminazione casalinga a come evitare termini come “latte materno” e superare il “preconcetto” che solo una donna può partorire. Una serie di horribilia con il patrocinio del Comune a guida PD.

Attualità 20_05_2023
copertina opuscolo trans

Oggi, sabato 20 maggio, il Circolo LGBT Pink presenterà a Verona l’opuscolo Trans* con figl3. Suggerimenti per (futurə) genitori trans* e loro alleatə. Non ci sono refusi in questo titolo e non cercate note a piè di pagina: gli asterischi vogliono solo elidere l’identità sessuale delle persone. Questa presentazione ha ricevuto il patrocinio del Comune di Verona. Spigoliamo qua e là nel contenuto di questo libretto promosso dal sindaco del PD, Damiano Tommasi.

Si tratta di un vademecum davvero esaustivo per la genitorialità trans: da come una donna o uomo trans può diventare genitore, alla gravidanza, alla relativa normativa, ai rapporti con gli asili, le scuole, le istituzioni, i servizi sanitari, al coming out con i figli già grandi e molto altro ancora.

Iniziamo da una domanda: come fa una donna che si sente uomo a rimanere incinta senza avere un rapporto sessuale con un uomo perché lesbica oppure perché tale rapporto la riporterebbe bruscamente a fare i conti con la propria femminilità? Può ricorrere alla fecondazione artificiale oppure all’autoinseminazione casalinga: «Il metodo della pipetta è quello più semplice e accessibile per fecondare un ovulo senza rapporto sessuale. Non è necessaria la presenza di un medico e può essere eseguito a casa. Requisito necessario è che la donazione di sperma avvenga in forma privata: la parte donatrice deve masturbarsi, e grazie a una pipetta (da qui il nome) o siringa lo sperma viene inserito in vagina». Abbiamo dunque un’amministrazione comunale che promuove la pipetta come soluzione per la transgenitorialità.

Se abbiamo scavalcato l’ostacolo del rapporto sessuale, impossibile sorvolare sulla gravidanza che inevitabilmente ricorderà istante dopo istante alla gestante che è una mamma e non un mammo. Così l’opuscolo: «La gravidanza e la possibilità di portarla a termine è spesso associata al concetto di femminilità. Infatti, le persone trans* e non binarie che aspettano un/a bambinə in molti casi devono affrontare questo preconcetto e imparare a viverlo con distacco. In diverse interviste, le persone trans* e non binarie hanno raccontato della loro gravidanza come di un periodo in cui hanno vissuto un forte conflitto con la propria identità di genere». Sì, avete inteso bene: ritenere che la persona che porta avanti la gravidanza sia una donna è un preconcetto, non un dato di fatto, un dato di realtà.

Come fare allora a superare questo preconcetto? Si riporta qualche testimonianza: «Unə di loro ha descritto il proprio corpo come un’officina in cui si fabbricava il/la bambinə. In un altro studio, un uomo trans* ha dichiarato: “La gravidanza e il parto erano per me delle esperienze molto maschili. Attraverso la nascita dei/lle figlə, anch’io sono nato nella mia identità di padre. […] Sapevo che qualcosa stava crescendo dentro di me, ma non lo consideravo come un/a bambinə. Era più come un coso, un organismo, un parassita, un qualche cosa... Non mi vedevo una madre incinta”».

Le soluzioni sono quindi tre: o intendere il figlio come cosa e dunque percepirsi come una macchina che produce oggetti; o ritenerlo un parassita che deve essere espulso dall’organismo; o negare la realtà e vedersi come padre che partorisce. Una volta la psichiatria avrebbe qualificato queste affermazioni come partorite da menti disturbate perché alienate dalla realtà. Chiamasi psicosi. Oggi non più.

Per autoconvincersi di non essere donna occorre poi eliminare tutta una serie di realtà anatomiche femminili. Ecco dunque usare espressioni come «colui che porta il bambino in grembo o “gestational parent” (= genitore che partorisce). Per parlare del/lla bambinə/neonatə, alcuni genitori di lingua tedesca hanno usato anche la locuzione “nella cavità addominale/nell’addome”, così da aggirare le definizioni femminili del proprio corpo». Occorre aggirare la realtà, per gettarsi tra le braccia dell’irrealtà, del fantastico.

Poi, per evitare di essere discriminati, cioè per evitare che le persone facciano affermazioni scontate come: «Se sei incinta sei una donna», ecco altri suggerimenti: «Per evitare di essere misgenderati [discriminati, n.d.a.], le persone trans* e non binarie tentano di nascondere la gravidanza il più a lungo possibile, indossando capi larghissimi o mettendo una barba finta. Proprio grazie alle aspettative della società cisetero normata, queste strategie funzionano molto bene». Perché la barba finta? Così la donna incinta che vuole essere trattata da uomo potrà riuscire nel suo intento.

Si arriva quindi alle indicazioni linguistiche per gli operatori sanitari: «Un corpo che può essere fecondato è dotato di utero, vulva, vagina e produce ovuli. Durante la nascita o subito dopo, si parlerà di cervice e placenta. Tutti questi concetti sono strettamente legati all’idea di femminilità e possono provocare un forte disagio nelle persone trans* e non binarie». Dunque è la realtà che si deve adattare alla mente del trans e non viceversa. I transideologi vorrebbero eliminare i libri di medicina perché riportano la realtà per quello che è, non per quello che vorrebbe l’ideologia LGBT.

In modo simile è bene evitare di parlare di latte materno, meglio sostituire questa espressione con «latte paterno, latte umano, latte del petto». Perché non latte trans, allora? In merito al latte materno poi si appunta: «È possibile allattare anche dopo aver fatto l’intervento di mastectomia se, oltre ai capezzoli, vengono lasciati sufficiente tessuto ghiandolare mammario e i dotti galattofori». Si fornisce questo suggerimento nonostante subito dopo si appunti: «Non è stato ancora chiarito dagli studi se il testosterone venga passato al/la neonatə». Ovviamente per non discriminare i maschi che vogliono allattare si aggiunge provvidenzialmente che «c’è anche la possibilità di indurre la produzione di latte materno in figure di riferimento che non partoriscono [si chiamano “uomini” n.d.a], ad esempio nelle donne trans* [sempre di uomini stiamo parlando, n.d.a.], attraverso una terapia ormonale a base di estrogeni, così da promuovere lo sviluppo del tessuto mammario a tal punto da non distinguerlo più da quello delle donne cisgender [cioè le donne che si sentono donne e non uomini, n.d.a.]. Per produrre il latte, è necessaria una stimolazione manuale delle mammelle e un’adeguata terapia ormonale da assumere secondo una precisa sequenza, tra cui estradiolo, progesterone e prolattina». Tutti ormoni che forse passeranno al figlio.

Proseguiamo. Ci sono inoltre alcune problematiche di carattere anagrafico che, in Italia, sono insuperabili: «Al momento, in Italia, la persona che partorisce può essere riconosciuta nell’atto di nascita solo come “madre” e non come “padre”, quindi non viene riconosciuto il genere della persona trans* che dovesse partorire. […] I dati della loro carta d’identità non coincidono con quanto riportato sul certificato di nascita del/lla bambinə». Il caso è questo: Anna si crede Ugo ed è quest’ultimo il nome che compare sulla sua carta d’identità. Anna partorisce e figurerà sull’atto di nascita come madre pur riportando il nome Ugo. Dunque sarà “donna” sull’atto di nascita del figlio e “uomo” sulla propria carta d’identità.

Infine, un rapido cenno all’educazione della prole di persona trans: «Ai/lle bambinə viene insegnato di non seguire i dettami stereotipati, ad esempio le preferenze e gli atteggiamenti previsti per i maschi e le femmine. Viene messo in discussione il binarismo di genere e spiegato loro che il genere è un fattore biologico. A livello pratico, questo significa far sperimentare ai/lle bambinə ruoli differenti a loro piacimento e farlə riflettere sulla loro identità di genere».

Torniamo a quanto detto all’inizio: tutta questa serie di transhorribilia è promossa dal Comune di Verona a trazione PD.