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MACERATA

L'oltraggio dei fascisti di oggi alle vittime delle foibe

Quest'anno la Giornata del ricordo è passata forse più inosservata che mai.  E, intanto, alla manifestazione 'antirazzista' di Macerata tra i tanti cori è stato intonato anche un perverso, osceno e indegno, "Ma che belle le foibe da Trieste in giù". 

Attualità 12_02_2018

Quest'anno la Giornata del ricordo è passata forse più inosservata che mai. Il tentativo di non dimenticare il genocidio - non titino, ma comunista - ai danni di quei bambini, donne ed uomini la cui sola colpa è stata essere italiani, sta lentamente sfumando. Anno dopo anno. Di quelle vittime innocenti, di quegli italiani spazzati via con il consueto colpo di scopa di violenza comunista, sui libri di storia resta, ancora, un silenzio vergognoso.

Le vittime delle foibe sono martiri silenziosi che questa nostra Italia non vuole ricordare. "Troppo scomodi", direbbe banalmente qualcuno. 

Era la Seconda guerra mondiale e i comunisti slavi, con a capo il comandante Tito, volevano ultimare il loro disegno “patriottico” di conquista di una fetta d'Italia. Un territorio ricco che non poteva sfuggire all'avidità comunista e su cui misero le mani con un progetto disgustoso: strappare centinaia di migliaia di italiani, colpevoli proprio di essere italiani, dalle loro case e portarli via. La provincia della Venezia Giulia e della Dalmazia subirono una bella pulizia etnica, ma la Storia non ha voluto sporcarsi troppo le mani per definirla tale.

Quando i famosi 'titini', che altro non erano che i comunisti, non li trascinarono semplicemente via dalle loro case, ma li 'accompagnarono' con i polsi legati da fili ferro ai bordi di quei crepacci naturali che sono le foibe. Gole, voragini, imbuti nella terra che arrivano fino a 200 metri di profondità. Un grattacielo capovolto nel buio della terra. La tecnica macabra che misero in scena era alquanto impeccabile: in fila, legati l'un l'altro ai polsi da fili ferro che ne stritolavano la carne, creavano una catena umana, il primo veniva fucilato trascinando con il suo peso tutti gli altri. Per inerzia, e incapaci di fuggire, finivano tutti nella foiba. Vivi. 

Qualcuno prima di essere visitato dalla porta dall'odio comunista riuscì a scappare. Circa in trecentomila. Ma furono soprattutto le donne a non riuscire a sottrarsi a quella violenza. E toccò loro una parte ancora più macabra, perché, tutte, una volta rapite, vennero brutalmente seviziate e poi gettate vive nelle foibe. 

Di queste donne una in particolare è diventata il simbolo di quello che il sesso femminile fu costretto a subire - una violenza contro la quale, però, nessuno ha mai marciato -, Norma Cossetto. Una giovane donna di 24 anni che finì tra le grinfie dei partigiani il 24 settembre del 1943. Entrarono con prepotenza a casa della sua famiglia, a Santa Domenica di Visinada (Pola), rubarono quello che sembrava loro interessante, in alcuni casi per mero dispetto, e poi invasero le camere da letto. Qualche colpo di pistola in aria e ai materassi, giusto per incatenare nella paura Norma, sua mamma, la sorella, e poi andarono via. Ma evidentemente qualcosa in una di loro li aveva colpiti. Forse Norma, carne troppo fresca per essere ignorata, era rimasta loro impressa. Effettivamente una faccia pulita, elegante, con tutte le caratteristiche tipiche delle donne del luogo, di un'italianità genuina, si nota nelle foto in bianco e nero che sono state conservate.

E allora tornarono in quella casa. La prelevarono con forza e la rinchiusero, insieme ad altre persone, per giorni, in una caserma che era stata della Guardia di Finanza. Da quel momento iniziò il suo martirio. La spostarono in una stanza buia, la legarono a un tavolo con alcune corde e per una lunghissima notte la donna fu in balia di diciassette aguzzini che, a turno, ne abusarono senza sosta né pietà. La seviziarono poi pugnalandole i seni e torturandola nei genitali. Al sorgere del sole decisero che era arrivato il momento di imporle la stessa fine che era toccata agli altri italiani come lei, e quindi la gettarono ancora viva nella prima foiba. L'eco dei suoi gemiti, i lamenti strazianti riempirono il silenzio di una mattina di terrore come un'altra da quelle parti. Dopo tante ore Norma era ancora viva e i suoi tormenti avevano, nel frattempo, attirato l'attenzione di un donna che abitava vicino alla foiba. Ma nulla potè fare. 

Quello di Norma fu un destino simile a tantissime come lei. Come le sorelle Radecchi. Per loro, dopo l'arresto, ci furono giorni in cui fecero da sguattere per i comunisti. Poi, prima dell'eliminazione, toccarono loro i classici abusi e violenze sessuali. Dopo giorni di torture, furono ritrovate nude e con i crani fracassati.

E' impossibile contare i corpi di donna ritrovati in condizioni simili. Quante mamme, figlie, sorelle subirono abusi prima di essere gettate nelle foibe. Una tragedia all'interno della tragedia. Un eccidio disumano che non intenerisce le femministe. E, intanto, alla manifestazione 'antirazzista' di Macerata tra i tanti cori è stato intonato anche un perverso, osceno e indegno, "Ma che belle le foibe da Trieste in giù". 

Ma questa è un'altra storia, vero? O forse una  storia da non ricordare.