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MOSTRE

L'eterna favola di Amore e Psiche

Lunghe code, con centomila visitatori in fila per entrare a Palazzo Marino. «Amore e Psiche a Milano», presenta due lavori quasi contemporanei: la scultura «Amore e Psiche stanti» di Antonio Canova e il dipinto «Psyché et l’Amour».

Articoli tematici 09_01_2013
Amore e Psiche

Centomila visitatori in fila per lunghe code in attesa di entrare a Palazzo Marino a Milano – io stesso ne ho fatto esperienza –, con cifre record destinate a salire prima della chiusura della mostra fissata per il 13 gennaio: e tutto per vedere due sole opere d’arte.
Sto parlando di «Amore e Psiche a Milano», che presenta due lavori quasi contemporanei (1797-1798), entrambi di proprietà del Louvre: la scultura «Amore e Psiche stanti» di Antonio Canova (1757-1822) e il dipinto «Psyché et l’Amour» di François Gérard (1770-1837).

La favola di Amore e Psiche – arricchita di particolari, ma non inventata, da Apuleio (125-170) nelle sue «Metamorfosi» – è mostrata nelle diapositive che intrattengono i visitatori in attesa di entrare alla mostra milanese come un tema universale della storia dell’arte, dagli Egizi – che già la conoscevano – ai Greci e dal Medioevo fino al Rinascimento, ai Preraffaelliti e allo scultore Auguste Rodin (1840-1917).
Nella versione più nota, Psiche è una principessa di straordinaria bellezza, tanto che chi esalta la sua fama la dichiara più bella della dea stessa della bellezza, Venere. Questo suscita l’invidia della dea, che – tramite l’oracolo di Delfi – fa ordinare ai regali genitori di Psiche di abbandonarla su una roccia, dove verrà a cercarla il suo futuro sposo, un mostro orribile.

Per maggiore sicurezza, Venere chiede al figlio Amore (Eros) di fare innamorare Psiche della più orribile creatura vivente. Amore, però, si accosta a Psiche – dapprima invisibile – e se ne innamora. La trasporta in un palazzo incantato dove la visita di notte, chiedendo alla fanciulla soltanto di tenere la sua camera al buio, perché se fosse visto da Psiche la notizia finirebbe per arrivare a Venere.
Ma una notte, spinta anche dalle sorelle gelose che ha invitato a palazzo, Psiche accende una lampada a olio e scopre il volto di Amore, che immediatamente fugge via.

Dopo avere tentato il suicidio, Psiche si rivolge a Venere, e si dichiara disposta a subire qualunque prova pur di riavere Amore. La dea la sottopone a prove difficilissime, che culminano nella richiesta di scendere agli Inferi e di riportarne in una scatola un po’ della bellezza della regina dell’Oltretomba, Proserpina.
Tra mille peripezie, Psiche ci riesce, ma ancora una volta la sua curiosità la perde. Apre la scatola dove ha racchiuso la bellezza di Proserpina, e questa bellezza – che è del mondo dei morti – la fa piombare in un sonno perpetuo e profondo.

Amore, sfuggito a Venere che ha cercato di tagliargli le ali, chiede al padre degli dei, Zeus, di salvare Psiche. Anche Amore dovrà sottoporsi a delle prove per acquistare, oltre alla capacità di amare, la saggezza e la conoscenza che ancora gli mancano. Ma finalmente potrà risvegliare Psiche dormiente, in una parte della storia che preannuncia la fiaba di origine medievale della Bella Addorentata, e sposarla in una grande festa sul Monte Olimpo dopo che Zeus avrà trasformato anche la fanciulla umana in una divinità.

Storia d’amore per eccellenza, la favola ha una grande portata simbolica. Psiche, infatti, significa «anima» in greco, e la sua storia – da Platone (427-347 a.C.) al cristianesimo medievale e oltre – è sempre stata interpretata come allegoria del risveglio dell’anima o della conversione. Questa interpretazione, naturalmente, non esclude la storia d’amore, dal momento che i simboli possono sempre essere letti a diversi livelli.
Rispetto alla famosa scultura precedente di Canova, anch’essa al Louvre, dedicata ad Amore che risveglia Psiche con un bacio – che era al centro della ricchissima mostra sulla favola a Castel Sant’Angelo a Roma nella primavera 2012 – quest’opera si presenta come molto più attenta ai significati simbolici.

Amore e Psiche «stanti», cioè in piedi, sono due ragazzi, e Psiche posa delicatamente una farfalla, simbolo dell’anima, sul palmo di Amore. Rispetto all’altra scultura di Canova, qui Amore ha perso le ali. Lo scultore vuole indicare che l’esperienza dell’amore platonico e disinteressato – Canova afferma di essersi ispirato specificamente a Platone – e quella del risveglio dell’anima non sono monopolio degli dei, ma sono possibili per ogni persona umana.
Lo stesso Canova ideò per la scultura anche un ingegnoso piedistallo rotante, per la prima volta esposto fuori del Louvre.

Quanto a Gérard, si può dire – anche se i suoi più entusiasti ammiratori lo negheranno – che fu il pittore di un solo quadro. Allievo di Jacques-Louis David (1748-1825), Gérard mise il suo notevole talento al servizio di chi desiderava ritratti piuttosto convenzionali, e – oltre a un paio di popolari dipinti storici, tra cui quello di Napoleone I (1769-1821) alla battaglia di Austerliz – è passato alla storia solo per questo «Psyché et l’Amour». Che però da solo vale tutta la coda per entrare alla mostra di Milano.

Gérard ha raffigurato, mirabilmente, il primo accostamento di Amore a Psiche. Il dio si accosta alla principessa in forma invisibile, e se ne innamora. Psiche non lo vede – per questo guarda in un’altra direzione – ma ne percepisce la presenza. Spesso – è il messaggio del dipinto – l’amore non si «vede» ma si «sente», e lo stesso vale per le più profonde trasformazioni dell’anima, anche qui ricordate dalla discreta presenza della farfalla.
Per il suo soggetto profano Gèrard s’ispira all’iconografia cristiana dell’Annunciazione: anche qui un essere alato porta a una giovane donna un annuncio sconvolgente. L’accostamento – che è dello stesso pittore – potrebbe sembrare irriverente. Ma in realtà la favola di Amore e Psiche non è mai puramente profana. Nel risveglio di una fanciulla all’amore la saggezza degli antichi ha rappresentato il risveglio dell’anima alla conoscenza.