L'Australia vieta i social per gli under 16 (e la maggioranza è d’accordo)
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Dal 10 dicembre 2025, l'Australia diventerà il primo paese al mondo a vietare l'accesso ai social media per i minori di 16 anni. Una legislazione storica che segna un punto di svolta nella protezione dell'infanzia dal digitale.
Dal 10 dicembre 2025, l'Australia diventerà il primo paese al mondo a vietare l'accesso ai social media per i minori di 16 anni. Una legislazione storica che segna un punto di svolta nella protezione dell'infanzia dal digitale. Diverse sembrano le nazioni che vogliono allinearsi alla scelta australiana, proponendo simili iniziative anche tra i propri confini. Intanto, però, analizziamo quanto sta avvenendo nell’altro emisfero
La Commissaria eSafety australiana Julie Inman Grant ha annunciato l'espansione del divieto già in vigore, aggiungendo Reddit, Kick e Threads alla lista delle piattaforme vietate (che già includeva Facebook, Instagram, Snapchat, TikTok, X e YouTube). Le aziende che non implementeranno "misure ragionevoli" per impedire ai minori di creare o mantenere account rischiano sanzioni fino a 49,5 milioni di dollari australiani.
La decisione, pur dura, non è arbitraria. Si basa su un corpus sempre crescente di ricerche scientifiche che documentano danni gravi e misurabili alla salute fisica e mentale dei giovani. Con il 77% di sostegno pubblico, il governo australiano riconosce ciò che molti genitori già sapevano: i social media non sono stati progettati per i bambini e stanno causando danni profondi al loro sviluppo.
Uno studio recente dell’American Centers for Disease Control and Prevention - pubblicato nella rivista Preventing Chronic Disease - ha analizzato il tempo davanti allo schermo auto-riferito dagli adolescenti attraverso il National Health Interview Survey. I risultati sono inequivocabili: gli adolescenti con 4 o più ore quotidiane di tempo davanti allo schermo per attività non scolastiche mostrano risultati significativamente peggiori in tutti i domini sanitari esaminati.
Questi giovani riferiscono di svolgere attività fisica poco frequentemente, oltre a preoccupazioni sul peso, sintomi depressivi e d'ansia, oltre a una forte carenza di supporto sociale ed emotivo e ritmi di sonno irregolari. L'impatto è multidimensionale: dalla salute mentale alla connessione sociale, dall'attività fisica ai pattern di sonno.
Ma c'è un dato ancora più specifico e allarmante: secondo ricerche del Baylor College of Medicine, ogni ora aggiuntiva che gli adolescenti trascorrono quotidianamente sui social media aumenta il loro rischio di depressione del 13%. Considerando che l'adolescente medio trascorre 4,8 ore al giorno sui social (i diciassettenni arrivano a 6 ore), l'epidemia di salute mentale giovanile appare in tutta la sua drammaticità.
I numeri parlano chiaro: tra il 2010 e il 2019, i tassi di ansia e depressione tra i giovani sono più che raddoppiati. Le visite al pronto soccorso per autolesionismo tra le ragazze di 10-14 anni sono aumentate di quattro volte tra il 2010 e il 2021.
Pertanto, la legislazione australiana interviene sul fenomeno senza però indurre a una demonizzazione indiscriminata della tecnologia. Si tratta, bensì, di una protezione mirata. Restano accessibili le app di messaggistica come WhatsApp e Messenger, così come le piattaforme educative come Google Classroom e servizi come YouTube Kids. L'obiettivo è proteggere i bambini dai meccanismi di dipendenza e dai contenuti dannosi delle piattaforme di social media, non isolarli completamente dal mondo digitale.
L'Australia non è sola in questo cammino. La Danimarca sta considerando misure simili, e il dibattito si sta diffondendo in Europa e Nord America. Il Texas ha recentemente vietato i telefoni cellulari nelle scuole pubbliche durante la giornata scolastica, riconoscendo che l'uso eccessivo dei dispositivi compromette le prestazioni accademiche e il benessere degli studenti.
Per le famiglie che cercano di crescere figli sani in un'epoca digitalmente saturata, la legislazione australiana rappresenta più di una semplice legge: è un riconoscimento istituzionale che l'autorità genitoriale e la protezione dell’infanzia meritano supporto legislativo contro le pressioni di un'industria che ha già dimostrato di anteporre il profitto al benessere dei minori.

