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1915-2015

L'Armenia ricorda il genocidio, la Turchia la boicotta

La Chiesa Apostolica Armena ha canonizzato le vittime del genocidio del 1915. E oggi sono attesi a Erevan numerosi capi di Stato, fra cui Putin e Hollande, per la memoria del "Grande Male". Ma la Turchia ha adottato una raffinata strategia di boicottaggio, celebrando lo stesso giorno la sua vittoria a Gallipoli.

Esteri 24_04_2015
Erevan, memoriale del genocidio

Erevan, Armenia: si è celebrata ieri la messa solenne della Chiesa Apostolica Armena per la canonizzazione delle vittime del genocidio del 1915, un milione e mezzo di morti che la vicina Turchia si ostina a non riconoscere come vittime di un genocidio. La cerimonia si è svolta all’aperto di fronte all’antica cattedrale di Echmiadzin a Vagharshapat, a una ventina di chilometri dalla capitale e si è conclusa simbolicamente alle 19:15 di sera con 100 rintocchi di campana, a simbolo dei 100 anni dal 1915.

La messa era celebrata dal Catholicos Karekin II. “La canonizzazione dei martiri del genocidio porti un nuovo soffio di vita, grazia e benedizioni alla nostra vita ecclesiastica – ha detto durante la cerimonia – Il sangue degli armeni, martirizzati per la loro fede in Cristo, ha piantato un seme di una fede e di un patriottismo indistruttibili nelle sabbie del deserto, quando coloro che commisero il genocidio erano sicuri che l’Armenia fosse destinata a perdersi per sempre nei flutti della storia”. E’ stata una cerimonia tutta armena, alla presenza delle più alte cariche dello Stato, fra cui il presidente Serge Sarksyan. Oggi, invece, a Erevan, al memoriale del genocidio, è attesa una folta rappresentanza internazionale per celebrare la memoria del Metz Yegern, il “grande male”, come viene ricordato dagli armeni. 

La settimana è stata caratterizzata da una specie di toto-presenze. Non solo perché solo ventitre paesi (fra cui l’Italia) lo riconoscono come tale, ma anche perché la Turchia ha organizzato, lo stesso giorno, la cerimonia a Chanakkale (sui Dardanelli, non lontano da Istanbul) per i 100 anni della vittoria nella battaglia di Gallipoli. Il presidente francese, François Hollande, secondo la stampa turca, potrebbe essere presente in entrambi gli eventi. Ma, per il resto, non si può che constatare una divisione “geopolitica” fra gli stati presenti all’uno o all’altro appuntamento: Recep Tayyip Erdogan conta i suoi amici. 

A Chanakkale hanno annunciato la loro presenza Albania, Kosovo, Azerbaigian, Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Turkmenistan, tutti stati turcofoni o abitati da forti minoranze turcofone. Ci saranno poi altre due repubbliche ex jugoslave, la Slovenia e il Montenegro, una ex sovietica, la Moldova, e la Romania. Poi, un folto gruppo di paesi musulmani o con forti minoranze musulmane al loro interno: Ciad, Gibuti, Iraq, Mali, Niger, Pakistan, Qatar, Somalia. Due paesi africani cristiani: Sud Sudan e Senegal. E infine, con tutt’altro spirito, quei paesi che, facendo parte dell’Impero Britannico nel 1915, pagarono un alto tributo di sangue nella campagna vinta dagli ottomani: Irlanda, Australia, Nuova Zelanda. Il Vaticano, che avrebbe dovuto essere rappresentato nella figura del cardinal Turkson, non ci sarà. Ufficialmente per indisposizione del porporato, ma di fatto perché il governo di Ankara è ancora offeso per le parole di Papa Francesco, che ha parlato apertamente di “genocidio armeno”, senza mezzi termini. I turchi avevano invitato anche il presidente armeno Sarksyan, che ha risposto, comprensibilmente, con un netto rifiuto.

25 aprile 1915, sbarco a Gallipoli

Il fatto che si celebri il centenario della battaglia di Gallipoli il 24 aprile non ha alcun senso storico. La battaglia ebbe inizio nel febbraio del 1915, con i primi bombardamenti della flotta britannica contro i forti esterni dei Dardanelli, quattro mesi dopo l’ingresso dell’Impero Ottomano nella Prima Guerra Mondiale, al fianco di Germania e Austria-Ungheria. La campagna militare entrò nel vivo il 18 marzo 1915, quando la flotta combinata anglo-francese tentò di forzare i Dardanelli, ma dovette ritirarsi dopo l’affondamento di ben tre corazzate sui campi minati ottomani. La Turchia, fino a quest’anno, ha sempre celebrato la vittoria di Gallipoli (battaglia di Chanakkale, nella tradizione storica turca) proprio il 18 marzo. Il 25 aprile, dopo una lunga pausa nei combattimenti, un corpo di spedizione costituito da truppe britanniche, australiane, neozelandesi e francesi, sbarcò sulla penisola di Gallipoli. Fu il primo grande assalto anfibio in una guerra moderna e andò male. Le date importanti per la memoria sono, dunque, il 18 marzo (celebrato in Turchia) e il 25 aprile, tuttora data del giorno dei caduti in Australia. “Qual è dunque l'obiettivo (di celebrare Gallipoli il 24 aprile, ndr), se non quello di deviare l'attenzione mondiale dagli eventi del centenario del genocidio armeno?”, si chiedeva il presidente Sarksyan.

Il 24 aprile è invece sempre stato, nell’ultimo secolo, il giorno della memoria del genocidio armeno. Celebra il giorno del 1915 in cui intellettuali, giornalisti, leader delle comunità armene vennero arrestati in un’unica retata a Costantinopoli (oggi Istanbul) per privare la minoranza della sua classe dirigente. A Erevan saranno presenti, oltre a Hollande, anche il presidente russo Vladimir Putin, mentre l’Italia manda il sottosegretario alla Difesa, Domenico Rossi. Ma nel corso della polemica sul genocidio, il governo Renzi ha mantenuto una posizione tutt’altro che chiara, alternando la convenienza dell’alleanza con la Turchia all’omaggio di una tragedia storica che il nostro Parlamento ha già riconosciuto ufficialmente come genocidio dal 2000. La soddisfazione maggiore, per Erevan, è il tanto atteso segnale dalla Germania: sia il presidente che la cancelliera Angela Merkel hanno usato la parola “genocidio”. Il presidente di Israele, Reuven Rivlin, ha fatto ricorso già più volte al termine “genocidio” e ha promesso, per oggi, la sua partecipazione alla liturgia nella basilica del Santo Sepolcro. Delusione cocente per Barack Obama: usava la “parola che inizia per G” quando era senatore dell’Illinois. Adesso, da presidente, non l’ha più impiegata, nemmeno per questo centenario, come tutti si aspettavano. E non sarà nemmeno presente: per gli Usa andrà il segretario al Tesoro, Jack Lew. Deludente anche l’assenza quasi completa della Gran Bretagna, che continua a non riconoscere ufficialmente il genocidio (pur essendo stata in guerra con l’Impero Ottomano) manda solo un parlamentare conservatore (John Wittingdale) che si unirà al vescovo di Londra e all’ambasciatore britannico in Armenia. Il Vaticano sarà presente con il cardinal Koch, presidente del Consiglio Pontificio per l’unità dei cristiani.

Intanto, il negazionismo turco non risparmia altre beffe: secondo il professor Cevdet Kirpik, docente di storia all’università di Kayseri, gli armeni “si sono uccisi da soli”, equamente divisi in vittime e carnefici travestiti da turchi, per “alimentare il nazionalismo”. In Turchia lo si dice, con gran disprezzo per la memoria delle vittime.