La Santa Sede ai consessi internazionali: quale presenza?
La COP 26 è stata presentata dai vertici della Chiesa cattolica come un evento provvidenziale. Questo modo di fare è molto pericoloso. Spieghiamo perché.
In occasione della recente riunione della COP 26 a Glasgow, la Santa Sede e lo stesso Francesco sono intervenuti in modo piuttosto massiccio, plaudendo all’iniziativa, lanciando allarmi sul riscaldamento globale a base antropica in sintonia con centri di interesse mondiali, pregando per il buon esito del vertice perché “il tempo è scaduto”. In pratica la COP 26 è stata presentata dai vertici della Chiesa cattolica come un evento provvidenziale in armonia con le esigenze della Dottrina sociale della Chiesa.
Questo modo di fare è molto pericoloso, crea confusione e non serve nessuna causa, né quella del mondo – in questo caso la COP 26 – né quella della Chiesa.
Innanzitutto l’argomento riguarda fatti e dinamiche non certe dal punto di vista scientifico e strumentalizzabili da quello politico. Come è stato ampiamente dimostrato, non si dà alcun nesso certo tra inquinamento atmosferico prodotto dalle emissioni delle attività umane e riscaldamento globale [su questo si può vedere il Rapporto dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân dedicato al tema], il quale da un lato presenta un andamento ciclico e dall’altro è dovuto a molteplici cause la maggioranza delle quali sconosciute. Senza dover abbracciare questa tesi, sarebbe sufficiente che la Chiesa cattolica considerasse la questione come aperta e di competenza della scienza. Prendere posizione, collocandosi in una delle parti in causa, è molto pericoloso perché si spende l’autorevolezza della Chiesa su aspetti accidentali e non sostanziali, aspetti incerti che domani possono essere confutati
I temi trattati a Glasgow, come era ovvio pensare, non sono tanto scientifici ma politici. La scienza, in questi casi, viene strattonata da una parte e dall’altra. Gli interessi in gioco sono potenti. Lo sviluppo delle energie rinnovabili ha un valore economico altissimo, una eventuale riconversione energetica comporta la destabilizzazione di interi Paesi. Il piano di riduzione delle emissioni, ancorché poco fondato scientificamente, è costosissimo. Se la Chiesa prende posizione finisce per impantanarsi in problemi che la schiacciano politicamente. Credo che questo sia già avvenuto, viste le avventate prese di posizione dei vertici ecclesiastici sulla COP 26, come del resto sulle precedenti COP, con un notevole danno per la Chiesa.
Credo invece che in questi casi la Santa Sede o gli Episcopati continentali o le singole Conferenze episcopali dovrebbero limitarsi ad enunciare i principi sia di ragione che di fede, senza entrare nelle soluzioni politiche e tecniche. I principi di ragione sono quelli derivanti dal diritto naturale, dalla legge morale naturale, dal diritto delle genti ed esprimono le esigenze della giustizia e della pace tra i popoli. Questi principi non dovrebbero essere espressi in frasi-slogan dall’ambigua interpretazione, ma in chiare indicazioni di morale personale e pubblica. Appartiene poi a questo ambito l’invito ad adoperare la ragione, compreso l’invito ad evitare che le verità scientifiche vengano soffocate dagli interessi economici o politici. La Chiesa è la Sposa del Logos e quindi deve sostenere in ogni campo la ricerca della verità con il lume della ragione. Essa non svolge il proprio ruolo se usa gli stessi slogan vuoti e generici dei movimenti popolari impegnati sul fronte dell’ecologismo ambientalista.
Inoltre la Chiesa dovrebbe anche sempre rammentare che la morale naturale non è sufficiente e per questo dovrebbe pronunciare non solo valutazioni e indicazioni di ragione ma anche di fede. Capita ormai molto spesso che negli interventi dei vertici ecclesiastici e dello stesso Francesco si parli con linguaggio solo umano, o solo economico, o solo politico e non con linguaggio religioso. Si tratta di una secolarizzazione del linguaggio ecclesiale dalle conseguenze negative. La Chiesa non è un organismo internazionale per la cura dell’ambiente, ma è strumento e annuncio di salvezza, che riguarda tutto l’uomo, compresa la sua dimensione storica, ma non iniziando da questa e non riducendosi a questa. Il tratto caratteristico del magistero, quando interviene su questi argomenti, dovrebbe essere di ricordare i principi del diritto e della morale naturale, ma senza mai fermarsi ad essi, salendo invece a mostrare il loro fondamento trascendente in Cristo, Dio fatto uomo.
Se la Chiesa interviene mantenendo queste prospettive, allora è fatta salva anche la Dottrina sociale della Chiesa. Viceversa questa viene dimenticata e scavalcata, come infatti sta avvenendo. Invece di sposare la COP 26, la Chiesa avrebbe dovuto semplicemente enunciare i principi (di ragione e di fede) della Dottrina sociale della Chiesa. Intervenendo invece come parte in causa essa ha svolto un ruolo politico che non le si addice, ha sposato tesi improbabili, e si è mescolata agli interessi in gioco.
Stefano Fontana