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INGHILTERRA MULTICULTURALE

La retorica antirazzista copre le bande di violentatori

È da un pezzo che Rotherham è diventata sinonimo di scandalo per via degli abusi sessuali ai danni di oltre millecinquecento ragazzine bianche per mano di bande di pakistani e che per oltre un decennio sono stati nascosti sotto il tappeto: la paura di essere tacciati di razzismo è stato il freno inibitorio per ogni azione tesa a contrastare il fenomeno. E lo è tutt’ora.

Attualità 11_07_2018

Che cosa è successo in Gran Bretagna dai fatti di Rotherham ad oggi? La questione è diventata un’emergenza nazionale o si tenta ancora di nasconderla in fondo ai cassetti in vista di un ulteriore cambio di stagione?

È da un pezzo che Rotherham, la cittadina inglese nella contea del South Yorkshire, è diventata per antonomasia sinonimo di scandalo. Parliamo ovviamente degli abusi sessuali ai danni di oltre millecinquecento ragazzine bianche per mano di bande di pakistani e che per oltre un decennio sono stati nascosti sotto il tappeto: la paura di essere tacciati di razzismo è stato il freno inibitorio per ogni azione tesa a contrastare il fenomeno. E lo è tutt’ora.

Fu l’indagine del giornalista Andrew Norfolk a portare sulla stampa la storia che Alexis Jay, responsabile nazionale dei servizi sociali, aveva tirato fuori dalla polvere. Il rapporto Jay fece emergere l’aspetto probabilmente più macabro d’un quadro già terrificante: tra le autorità ascoltate alcune «pensavano che si trattasse di casi eccezionali, e secondo loro le violenze non si sarebbero ripetute, quindi non intervennero»;  «altri erano preoccupati dal fatto di dover riferire a chi investigava quali fossero le origini etniche dei responsabili, per paura di essere considerati razzisti»; «altri ancora hanno spiegato di aver ricevuto istruzioni chiare dai propri superiori sul fatto di non lasciar trapelare la cosa».

Tutti erano a conoscenza di tutto, ma nessuno è intervenuto per proteggere le ragazzine e bambine coinvolte e arginare l’ondata di abusi che da quel momento iniziò, come un virus impazzito, a coinvolgere gran parte del Paese. Le vittime sempre le stesse, ragazzine bianche e indifese, i carnefici pure, islamici, pakistani soliti agire in  gruppo. Dagli anni ’90 fino ad almeno il 2014 stupri, minacce, violenze, gravidanze infantili e aborti sono stati all'ordine del giorno. Dopo di certo il fenomeno non è stato arginato, si sono verificati altri episodi simili, ma in maniera meno ‘strutturata’.

Quando il caso esplose furono diverse teste a saltare: quanti nel corso degli anni avevano nascosto tutto sono stati messi alla porta, ma niente di più. Ogni tentativo, da allora, di portare tutta la verità a galla e di cambiare il corso futuro della storia, è stato sempre soffocato. Come quando Sarah Champion, ministro ombra della pari opportunità, laburista della prima ora, la scorsa estate è stata costretta alle dimissioni dal suo leader Jeremy Corbyn, perché seguiva troppo da vicino il caso e perché aveva osato, in un editoriale, denunciare che l’Inghilterra «ha un problema con le gang islamiche».

Ma la Champion aveva chiesto già a Theresa May, quando quest’ultima era ministro degli Interni, ulteriori risorse per affrontare gli abusi e consegnare i criminali alla giustizia. Nel novembre del 2014 aveva invitato anche il primo ministro David Cameron a tentare di garantire che i dipartimenti governativi lavorassero insieme per prevenire che gli orribili abusi su una tale scala potessero ripetersi. Sarah Champion, come dirà poco più tardi Andrew Norfolk, come tanti altri è stata vittima «della sinistra schizzinosa che per decenni ha consentito ai pakistani di prendere il controllo delle strade e abusare di giovani ragazze bianche».

Ma che cosa è successo o cambiato nel frattempo? Ogni richiesta è caduta nel vuoto e ancora oggi è sospesa nell’etere, come se non ci fosse un problema da risolvere. E da allora il governo inglese ha un ministro pakistano e musulmano, Sajid Javid, e solo qualche settimana fa, a lui è stata indirizzata una lettera aperta in risposta alla scandalo sessuale di dimensioni nazionali.

Sono stati venti parlamentari a firmare la missiva sollecitando un’azione coordinata con l’attuale segretario di Stato per gli affari Interni. Il Parlamento inglese conta 650 deputati, e di questi, i venti firmatari non fanno che rappresentare il 3%: è questa la percentuale di quanti sono disposti a sostenere la protezione dei bambini sottoposti a stupri di gruppo, tortura e a volte omicidi. Nell’odierna Inghilterra solo un numero così esiguo della classe politica dirigente è disposto a pronunciarsi su un capitolo della storia nazionale ancora aperto e ancora preoccupante. E come se non bastasse anche i media nazionali non hanno inteso garantire alcuna copertura alla lettera. E’ stata piuttosto la stampa locale, di Oxford e Rochdale - due tra le città coinvolte direttamente dallo scandalo -, ad occuparsene.

La fede musulmana di Javid e l'eredità pakistana pongono il ministro quasi in una posizione intoccabile per quel che riguarda le accuse di razzismo. Prima di diventare ministro dell’Interno si era occupato di questi temi, ma non direttamente dello scandalo, e ora potrebbe continuare a farlo senza essere messo alla berlina dai media progressisti e dalle consuete e inspiegabili accuse di “incapacità di accoglienza” a cui è destinato chi critica i musulmani.

Nella sua nuova posizione Javid ha diverse opportunità. Potrebbe iniziare, innanzitutto, a far fare ammenda alle autorità di competenza britannica per i decenni di fallimenti nei riguardi di bambini indifesi. Oltre al danno irreparabile inflitto a innumerevoli vite, c’è anche il danno inflitto alla fiducia del pubblico in polizia, media, servizi sociali e governo. Per quanto riguarda il tessuto sociale del Regno Unito, lo scandalo degli abusi sessuali è stato l’iceberg su cui si è infranta la mal concepita multiculturalità inglese, ma mai ad ammetterlo. L'approccio che le autorità britanniche hanno adottato, e continuano ad adottare, in risposta a questo disastro nazionale è ancora il silenzio.  

E Javid allora potrebbe cooperare a consegnare all’onestà intellettuale la storia e le indagini future. Il discorso è stato, infatti, inquinato fin dal lessico ideologicamente orientato. Si è parlato a lungo di “bande di stupro”, lasciando intendere un’attività sporadica e isolata perpetrata da giovani senza legge. E invece la realtà dello sfruttamento sessuale copriva l’intero territorio nazionale in una struttura organizzata in una vera e propria rete terroristica. I bambini venivano addirittura prelevati e abusati in luoghi prestabiliti nel Paese, sfuggendo ad ogni sorta di controllo o denuncia.

L’imperativo era evitare tensioni tra inglesi e comunità pakistane: in questo modo il fenomeno è stato tradotto su scala nazionale a tal punto ramificato che le indagini continuano ancora oggi e che il vaso di Pandora non è stato scoperchiato del tutto. Fino ad ora di risposte a questa disgrazia nazionale non ce ne sono state, e il “processo di guarigione” sembra essere lento e di basso profilo; la giustizia si muove a tentoni, le udienze sono lunghe e lente; alle vittime sono stati negati indennizzo e assistenza sanitaria e sociale; le autorità coinvolte sono state al massimo sospese per il loro silenzio. Quale destino per i figli dell’Inghilterra multiculturale?