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TESTIMONI

La poesia della vita nel beato don Gnocchi

“L’uomo è un pellegrino malato di infinito, incamminato verso l’eternità”. L’itinerario spirituale, i pensieri scritti e le coraggiose opere di carità di don Carlo Gnocchi, eccezionale figura di prete ambrosiano, beatificato nel 2009, ci offrono notevoli spunti di riflessione ed esempi di lungimirante carità, capaci di prefigurare gli attuali tempi inquietanti e controversi della post-modernità. Una lettura dunque illuminante e profetica.

Cultura 24_07_2021

“La vita deve rinascere e con essa la dolcezza dell’amicizia. In un mondo come il nostro, inaridito, agitato e maniaco, è necessario mettere olio d’amore sugli ingranaggi stridenti dei rapporti sociali e formare nuclei di pensiero e di resistenza morale, per non essere travolti”. Le parole di don Carlo Gnocchi (San Colombano al Lambro 1902, Milano 1956), tratte da Educazione del cuore del 1937, una delle sue opere più profonde, sembrano scritte per noi ora, dopo lo stravolgimento delle nostre vite a causa del Covid 19.

Ma il ricco pensiero di questo poeta della vita e imprenditore della carità, che ha accompagnato i nostri alpini come Cappellano militare volontario nella guerra di Albania e poi nella tragica ritirata di Russia del gennaio del 1943, si apre ad ogni aspetto dell’esistenza, cogliendo verità profonde e offrendo insegnamenti più che mai attuali. Rientrato dal fronte russo, si dedicò infatti  con determinazione e tenacia al sostegno delle famiglie degli alpini caduti e successivamente al recupero degli orfani di guerra e dei mutilatini, vivendo di persona la carità come dimensione fondamentale dell’esistenza. 

“Molti si preoccupano di star bene, assai più che di vivere bene, per questo finiscono anche per stare molto male. Cerca di fare tanto bene nella vita e finirai anche tu per stare tanto bene”. Sembra una ricetta semplice, ma per fare il bene bisogna conoscerlo. Perciò una delle preoccupazioni principali di don Gnocchi era proprio l’educazione. Nello scritto Restaurazione della persona umana del 1947, parlando dei giovani del suo tempo, osservava ciò che potremmo tranquillamente sottoscrivere a proposito dei nostri ragazzi smarriti del 2021: “Quanti giovani abdicano alla facoltà personale di controllo e di giudizio, solo perché si usa così o dicono tutti così, danno credito o si mettono al seguito delle opinioni più false e più sciocche! Ne viene così un impoverimento della ricchezza intellettuale, perché la legge della massa è l’appiattimento”. 

E così il futuro beato non poteva che riconoscere mestamente: “La triste particolarità del nostro tempo è il tentativo di confusione tra bene e male, il pericolo di anestesia delle coscienze e di legalizzazione del male”. Ma non è esattamente ciò che accade oggi all’inizio del terzo millennio? Tuttavia non mancano  suggerimenti concreti per sottrarsi all’omologazione. “Bisogna trovare e fissare nella giornata un momento per piegarsi sopra di sé, ascoltare il maestro interiore, coltivare un poco l’anima propria… per pensare, in altre parole”. Del resto anche per gli adulti è difficile mantenere un atteggiamento di verità e carità. Per esempio don Carlo sa bene quanto impegno e coraggio richieda la costruzione di una famiglia. Riconosce infatti che “il matrimonio resterà sempre un’incognita… la vita è lunga e l’uomo è sempre uno sconosciuto per sé e per gli altri… rimarrà sempre una zona d’ombra nella quale i riflettori dell’umana sapienza non riusciranno a scovare il pericolo. Questa è la zona riservata a Dio”. Dunque la fede è la strada per l’uomo.

“A tutti quelli che non hanno fede io dico con cuore di fratello: cerca e non lontano; cerca dentro di te; ascolta le mille voci e raccogli gli stimoli della  tua anima vera e profonda”. Ma il sacerdote brianzolo non sottovaluta le difficoltà del mondo in transizione in cui vive. Riprendiamo le sue parole tratte ancora da Restaurazione della persona umana, per definire quella che lui considerava la situazione nel dopoguerra, sostanzialmente sovrapponibile a quella odierna. “La nostra crisi è assai più vasta e più profonda di quanto può apparire all’osservazione superficiale. Essa è, prima che politica ed economica, una crisi morale, anzi una crisi metafisica. Come tale investe acutamente e palesemente tutti i popoli, perché tocca l’uomo e il suo problema esistenziale.

Mancano all’uomo moderno ragioni ferme e immutabili di vita, valori eterni e non contrattabili che condizionino i valori terreni e contingenti, certezze fondamentali che diano coerenza e intelligibilità alla favola dell’esistenza umana”. 

Nel momento in cui vediamo di nuovo con stupore e ammirazione le figure degli alpini pronti  a lenire le sofferenze dell’epidemia e a organizzare con cura ordinata  le vaccinazioni, non possiamo che rileggere con nostalgia la confessione sincera di don Gnocchi in una lettera del 1941 scritta agli alunni del milanese Istituto Gonzaga, nel cui liceo aveva insegnato. “Mi sono accorto anch’io che  non so fare sacrifici, o meglio non so farlo con la semplicità, l’inavvertenza e il candore di questi ragazzi, i miei alpini. Questi hanno la stoffa dell’eroe… e mille volte mi sono sentito piccolo di fronte alla nobiltà e alla grandezza di questi semplici”.  

Così come il beato don Gnocchi ha imparato molto dai giovani soldati, altrettanto potrebbe accadere a noi se solo volessimo guardare con umiltà al tanto bene che brilla anche nel nostro povero mondo. Cominciando a servire gli altri con amore, ciascuno secondo i propri doni e le proprie peculiarità. Perché, come ci ricorderebbe l’eroico Cappellano, “l’uomo è un pellegrino malato di infinito, incamminato verso l’eternità… purché l’uomo non si lasci stancare dalla lotta, purché si opponga alla sclerosi progressiva causata dagli anni e dalle delusioni della vita, purché dia ogni giorno un tratto alla costruzione del suo capolavoro, in vista dell’eternità”. San Giovanni Paolo II definì la sua vita e anche la sua morte (ai funerali ci fu un concorso di folla impressionante) “un luminoso segno di speranza”.