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CONVEGNO A ROMA

La PAV porta la Chiesa a capitolare alla rivoluzione sessuale

Proprio mentre nel mondo si constatano gli effetti negativi della rivoluzione sessuale e diverse correnti, soprattutto femministe, ne mettono in discussione i princìpi, nella Chiesa ci sono molti teologi che invece li abbracciano attaccando la morale cattolica. Ciò che la Pontificia Accademia per la Vita sta favorendo. La giornata conclusiva del convegno romano.

Ecclesia 12_12_2022

L’ultima giornata del Convegno A Response to the Pontifical Academy for Life’s Publication, sabato 10 dicembre, si è aperta con una importante riflessione di Oana Gotia. Professore associato di Teologia morale al Sacred Heart Major Seminary di Detroit, dopo aver insegnato per dieci anni Teologia morale applicata all’Istituto Giovanni Paolo II. La centralità della castità nella relazione sessuale, da lei affrontata nel volume tradotto in italiano L’amore e il suo fascino. Bellezza e castità nella prospettiva di San Tommaso d’Aquino, ha molto da dire sulla modalità con cui la nostra cultura approccia la sessualità, modalità che ha travolto il senso del mistero.

La banalizzazione della sessualità risponde ad uno sguardo che vede il corpo proprio e altrui come una realtà esaustiva, che non rinvia ad una dimensione personale. Un altro sguardo sa invece riconoscere il corpo come corpo di una persona. È solo in quest’ultima dimensione che si custodisce il mistero, appunto perché l’esperienza del corpo non è fine a se stessa, ma apre alla persona incarnata in quel corpo. La castità è precisamente ciò che permette di purificare lo sguardo impuro, che è un vero e proprio accecamento dell’anima, e trasformarlo in uno sguardo puro, uno sguardo che non esaurisce la persona nel corpo, ma riconosce il corpo nella persona.

Cambiare il paradigma dell’insegnamento della Chiesa sulla sessualità significa capitolare di fronte alla rivoluzione sessuale inaugurata alla fine degli anni Sessanta. E farlo nel momento più sbagliato della storia. La scrittrice e saggista Mary Eberstadt ha ragionato sulla grande differenza tra il contesto odierno e quello in cui è stata promulgata Humanae Vitae. Anzitutto, abbiamo davanti agli occhi gli esiti di chi, quasi un secolo fa, aveva aperto alla contraccezione. La Conferenza della chiesa anglicana a Lambeth, del 1930, è stata più volte rievocata nella mattinata. I vescovi anglicani avevano votato una risoluzione (la XV) con 193 voti favorevoli e 67 contrari, per sostenere la moralità della contraccezione in precise e limitate condizioni, confermandone nel contempo il carattere immorale qualora la coppia vi ricorra per motivi di egoismo o comodità. Molte chiese protestanti del nord-America avevano seguito l’esempio.

La moralità di un atto veniva così decisa solo sulla base delle disposizioni personali dei coniugi: esattamente quanto proposto dalla Pontificia Accademia per la Vita. Ma a cosa ha condotto questa apertura, motivata con la necessità di venire incontro alle “necessità” degli sposi, dai quali non si poteva pretendere, ma solo consigliare, l’astinenza? La scrittrice statunitense ha descritto l’impietosa sentenza della storia di queste comunità: pratica religiosa precipitata sotto il 7%, affievolimento dello slancio missionario, riduzione drastica delle offerte. Una proposta soft delle verità della fede e della vita morale hanno ottenuto l’effetto opposto di quanto si auspicava: hanno cioè accelerato la fuga dei cristiani dalle loro comunità.

Oggi assistiamo ad un fenomeno nuovo: al di fuori del mondo cattolico, non di rado dall’interno del mondo femminista, emergono sempre più riflessioni che prendono le distanze da quella mentalità secolarizzata che ha condotto alla rivoluzione sessuale. Sempre più persone stanno riscoprendo la giustezza e la bontà delle posizioni che la Chiesa ha saputo difendere e promuovere sulla vita sessuale e la famiglia, rivedendo radicalmente i capisaldi della rivoluzione sessuale. Per questo Mary Eberstadt ritiene che la Pontificia Accademia per la Vita non potesse scegliere un momento più “anti-storico” per aprire alla contraccezione e alla fecondazione omologa. Sarebbe una tragedia per la Chiesa stessa e per il mondo, se i pastori non dovessero riconoscere queste nuove voci emergenti, che chiedono una critica e non una capitolazione di fronte alla cultura dominante.

È toccato a Maria Fedoryka, professore associato di Filosofia alla Ave Maria University (Florida) e a Michael Vacca, direttore della Christ Medicus Foundation, esporre gli argomenti di una critica alla contraccezione, rispettivamente secondo la prospettiva personalista e della legge naturale. Vacca ha precisato che il Magistero non ha mai ricevuto l’autorità di contraddire la legge morale naturale o di modificarla, perché è Cristo stesso ad essere l’autore di questa legge. Ora, la legge morale naturale non può che respingere la contraccezione, in quanto strumentalizza e falsifica l’atto coniugale. Il “nuovo paradigma” sostenuto dalla PAV non è purtroppo un semplice equivoco, ma il frutto di una incomprensione della natura da parte di molti teologi cattolici.

Il primo panel della sessione pomeridiana è stato dedicato al diritto alla vita e alle pressioni culturali e legali nei confronti dell’insegnamento della Chiesa. Di grande rilievo, l’intervento di Grégor Puppinck, direttore dello European Centre for Law and Justice – di cui a breve proporremo la sintesi –, che ha descritto come un’idea eugenetica della medicina abbia soppiantato il suo fine proprio, quello terapeutico, per spostarlo verso il miglioramento dell’umanità e della scienza, riportandoci così pericolosamente a prima di Norimberga.

Per il secondo e ultimo panel, Abigail Favale, autrice della recente pubblicazione The Genesis of Gender: A Christian Theory, ha illustrato il passaggio dalla Gender Theory di Judith Butler alla Gender Identity Theory. Mentre la prima ha rappresentato la fase di decostruzione, di cancellazione della realtà, la seconda si propone un nuovo “realismo”, ossia una costruzione di una realtà nuova, sulla spinta di un nuovo vocabolario e con l’aiuto della tecnica, che permette di riplasmare i corpi. Il sesso viene così definitivamente posto a servizio dell’identità di genere. Fondamentale è l’idea che sia il linguaggio a (ri)creare, scimmiottando così l’idea cristiana della Parola creatrice. 
Theresa Farnan, professore di Filosofia al St. Paul Seminary della diocesi di Pittsburgh, ha mostrato come i nuovi bisognosi siano i giovani che si trovano con un corpo “rifatto”, conseguenza di “scelte” spinte da un contesto culturale malato. La realizzazione della dicotomia tra la propria identità sessuale reale e le fattezze del proprio corpo provoca in loro una lacerazione che non di rado conduce al suicidio, a vulnerabilità mentale e autismo.

Jane Adolphe, professore di Diritto alla Ave Maria School of Law di Naples (Florida), ha offerto una preziosa sintesi della “guerra del gender” che si è combattuta all’interno delle Nazioni Unite dal 1990 ad oggi. Iniziata in sordina, con l’inserimento surrettizio del termine “genere”, il vocabolario tipico dell’ideologia (omofobia, orientamento sessuale, etc.) si è fatto sempre più strada, spinto dalla presenza delle potenti lobby gay, fino alla comparsa più recente, a partire dal 2016, dei termini, rigorosamente non definiti, esattamente come i precedenti, di equality/equity. L’inserimento dei principi di uguaglianza e non discriminazione – come analizzato dal prezioso volume Equality and Non-discrimination: Catholic Roots, Current Challenges   - risulta particolarmente pericoloso, perché si estende dalle persone a comportamenti e scelte di vita.