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ORA DI DOTTRINA / 86 – IL SUPPLEMENTO

La crisi ariana e le ipotesi sul cedimento di papa Liberio

Non pochi, tra quelli che accettarono il compromesso semi-ariano, cedettero alle persuasioni e alle minacce dopo aver lottato con coraggio. Tra questi papa Liberio. Molte le ipotesi, anche ingenerose, sul suo cedimento.

Catechismo 15_10_2023

La crisi ariana è stata un ginepraio di dichiarazioni e formule, che spesso non si opponevano direttamente all’insegnamento di Nicea, ma che pure non erano in grado di esprimere il senso contenuto nell’homousion. Erano appunto formule ambigue, frutto di continui sinodi e concili, che avevano come unico scopo quello di promuovere un’unificazione ed una comunione non nella verità, ma nell’indifferenza alla verità. Questo, almeno, era il fine del potere imperiale, che di fatto imponeva ai Vescovi la propria agenda, alla quale la dottrina doveva essere adattata.

Non furono pochi, tra quelli che accettarono il compromesso semi-ariano, a cedere alle persuasioni e alle minacce dopo aver lottato con coraggio; e, grazie a Dio, a correggersi dopo la caduta. Non è chiaro cosa riuscì a piegare la resistenza di questi pastori, ai quali dobbiamo comunque moltissimo. Certamente ebbe una forte incidenza il peso delle prolungate fatiche e delle crescenti privazioni, unite alla percezione che tanta sofferenza appariva sterile. Di non minore importanza fu vedere la quasi totalità dei propri fratelli nell’episcopato accettare compromessi che avevano tutta la parvenza di essere ragionevoli; perché in fondo non si trattava di aderire all’arianesimo, rigettando così il contenuto dell’insegnamento di Nicea, ma solo di rifiutarne una parola. Sul versante della condanna di Atanasio, la tentazione era ancora più insidiosa: non poteva essere legittimo sacrificare il vescovo di Alessandria per il bene della Chiesa? E Atanasio non stava forse esagerando nell’opporsi, oltre che agli ariani, anche agli eusebiani?

Tra questi campioni della fede, che caddero sotto il peso della stanchezza e dei sotterfugi, non si può tacere di Osio, vescovo di Cordova (257ca-358). Mantenne la fede sotto la tremenda persecuzione di Diocleziano e Massimiano, e fu uno dei principali attori della conversione dell’imperatore Costantino (274-337). Ideatore del Concilio di Nicea, ne presiedette i lavori, insieme ai legati pontifici, e fu il grande propugnatore dell’homousion, che, a Concilio chiuso, difese strenuamente dalle macchinazioni ariane; di fonte alla minacce di Costanzo, che voleva portarlo a condannare sant’Atanasio e sacrificare la formula nicena, preferì l’esilio a Sirmio. Osio aveva ben chiaro non solo il problema dottrinale in gioco, ma anche la grave minaccia alla libertà della Chiesa.

È lo stesso Atanasio a riportare, nella sua Historia Arianorum ad Monachos (VI, 44), la correzione che Osio rivolse a Costanzo: «Non vi intromettete negli affari della Chiesa; e non dateci comandi a riguardo, ma imparateli da noi. Dio ha messo nelle vostre mani il potere; a noi ha affidato il governo della sua Chiesa; e come colui che volesse rubarvi il potere si opporrebbe all'ordine di Dio, così temete anche da parte vostra che, assumendo su di voi il governo della Chiesa, vi rendiate colpevole di una grave offesa (…). Come dunque non è lecito a noi esercitare un governo terreno, così voi, o imperatore, non avete alcuna autorità di bruciare incenso».

Osio aveva ormai cent’anni quando venne spedito in esilio. Ma non gli vennero risparmiate umiliazioni, minacce e violenze di ogni genere. Alla fine, cedette: non firmò la condanna di Atanasio, ma sottoscrisse la seconda formula di Sirmio, che bandiva l’uso dell’homousion. Poco prima di morire abiurò il suo errore.

Una vicenda analoga fu quella che coinvolse papa Liberio. Successore di Giulio I (+352) sulla cattedra di Pietro, resse la Chiesa dal 352 al 366, anni roventi della lotta contro l’arianesimo e le ingerenze di Costanzo. Liberio aveva sempre difeso sia la formula nicena che Atanasio, resistendo a tutte le calunnie che venivano sollevate contro di lui, inclusa quella di omicidio. Comprendeva bene che la posta in gioco era il Simbolo niceno e difendeva perciò il diritto di Atanasio di potersi difendere dalle accuse. Fu questa la linea indicata ai suoi legati, quando parteciparono al concilio di Arles (353); i quali però, come si è visto, tradirono la fiducia del Papa. Fu ancora questa la linea che Liberio tenne al concilio di Milano (355), nonostante il cedimento di quasi tutti i vescovi e l’esilio per i pochi fedeli.

Questa fermezza gli costò cara. L’imperatore inviò l’eunuco Eusebio con lo scopo di far cadere Liberio, sia con regali che con minacce; di fronte al suo rifiuto di firmare la condanna di Atanasio, Eusebio lo fece rapire e portare a Milano da Costanzo. Nuova resistenza e nuova sanzione: l’esilio in Tracia. La lontananza da Roma, le privazioni, le seduzioni dei semi-ariani e le minacce alla fine ebbero la meglio.

Atanasio difese la memoria di Liberio, definendolo «uomo ortodosso, che odiava l’eresia ariana» (Historia Arian., V, 35), pronto a rivolgere queste parole all’imperatore, in sua presenza: «Cessate di perseguitare i cristiani; non tentate di introdurre l’empietà nella Chiesa tramite me. Siamo pronti a soffrire qualunque cosa, pur di non essere chiamati pazzi ariani» (V, 39).

Si sono fatte molte ipotesi, anche ingenerose, su cosa portò Liberio a cadere (V, 41), dopo due anni di esilio. La fonte a lui più vicina è proprio sant’Atanasio, il quale, pur non potendo tacere del fatto, tuttavia riconobbe in esso non tanto un’adesione all’eresia, quanto un cedimento di fronte a continue prove tremende. Così nell’Apologia contra Arianos (VI, 89): «sebbene solo per un po’, per paura delle minacce di Costanzo, sembra non abbia resistito; tuttavia la grande violenza e il potere tirannico esercitato da Costanzo e gli innumerevoli insulti e colpi a lui inflitti, sono la prova che ciò non avvenne perché egli rinunciò alla mia causa, ma cedette loro per un periodo a causa della debolezza della vecchiaia, non riuscendo a sopportare le frustate».

Nella Historia Arianorum (V, 41), sant’Atanasio non loda il cedimento, ma comprende la debolezza; perché la caduta di Liberio «dimostra solo la loro condotta violenta, l'odio di Liberio contro l'eresia e il suo sostegno ad Atanasio, finché gli fu permesso di esercitare una libera scelta. Infatti ciò che gli uomini sono costretti con la tortura a fare contro il loro primo giudizio, non deve essere considerato atto volontario di coloro che sono nella paura, ma piuttosto dei loro aguzzini».

È probabile che ad aver indotto Liberio a sottoscrivere una formula ambigua sia stata anche la forte tentazione di poter così riportare la pace nella Chiesa e rientrare a Roma. Liberio poteva essere stato sedotto dall’idea che una lunga persecuzione comporta sì molti martiri, ma anche molte defezioni. E questo pensiero, unito alla situazione di estrema sofferenza in cui si trovava ormai da tempo, ebbe la meglio su di lui. È tuttavia doveroso chiarire che, ad oggi, non è ancora chiaro quale formula Liberio abbia sottoscritto. Secondo Trevor G. Jalland (cf. The Church and The Papacy: A Historical Study) è assai probabile che si trattasse di due formule distinte, firmate a un anno di distanza, che non erano formalmente eretiche.

Di fatto, non solo le chiese ortodosse e quelle copte venerano Liberio come santo, ma anche san Basilio Magno lo menziona come il«beato Liberio» (Lettera 263) e papa Siricio si riferisce a lui come al «mio predecessore di venerabile memoria».

Comunque sia, rientrato a Roma, Liberio ritrovò la sua fermezza e respinse le decisioni del concilio di Rimini (359), durante il quale, ancora una volta, sotto minacce e pressioni, i circa 400 vescovi presenti firmarono una formula che rigettava l’homousion. Con la morte di Costanzo (361), diversi vescovi omeusiani chiesero e ottennero di potersi riunire alla Sede Apostolica, a patto di accettare la formula nicena e rifiutare le altre formule ambigue. Ma qui si annidava una nuova tremenda prova per la fede cattolica.



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