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UN PAESE IN DECLINO

Italiani all’estero: un esodo di giovani senza ritorno

Il XVII rapporto della Fondazione Migrantes mostra una crescente mobilità giovanile (in prevalenza da Lombardia e Veneto, nella fascia di età 18-34 anni), dovuta alla difficoltà di trovare un'occupazione adeguata al proprio titolo di studio nel nostro Paese. Con un saldo negativo tra chi entra e chi esce, destinato a incidere sul calo demografico in atto.

Attualità 09_11_2022

La realtà, ancora troppo sottovalutata, degli italiani all’estero mostra sia l’altra faccia del fenomeno migratorio, sia l’altra faccia dello scenario demografico. L’Italia è un Paese destinato al declino, forse alla scomparsa, vuoi per la natalità molto bassa, vuoi per l’emigrazione delle fasce d’età più fertili. Non solo è molto alto il numero di emigranti italiani tra i 18 e i 34 anni ma è altrettanto significativo il numero di giovani italiani che, una volta partiti, non fanno più ritorno in patria. Un trend che non è sfuggito alla Fondazione Migrantes, come conferma il XVII Rapporto Italiani nel Mondo.

I dettagli dell’indagine sono stati illustrati ieri mattina in conferenza stampa a Roma, presso il Carpegna Palace, alla presenza, tra gli altri, di monsignor Gian Carlo Perego, presidente della Fondazione Migrantes, di monsignor Francesco Savino, vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana, di monsignor Pierpaolo Felicolo, direttore generale della Fondazione Migrantes, e della sociologa Delfina Licata, curatrice del Rapporto.

Il primo elemento davvero significativo del rapporto di Migrantes: il 9,8% dei cittadini italiani (oltre 5,8 milioni) risiede ormai all’estero. Una cifra superiore, sia in termini assoluti che in termini percentuali, al numero di cittadini stranieri regolarmente residenti in Italia: quasi 5,2 milioni, pari all’8,8% dell’intera popolazione. Nell’arco di sedici anni, la presenza degli italiani all’estero è cresciuta dell’87%: nel 2006 erano 3,1 milioni, oggi, sono, per l’appunto, più di 5,8 milioni.

Il rapporto di Migrantes ha anche preso in considerazione l’impatto della pandemia che, com’era prevedibile, ha ridotto il flusso dei nostri concittadini verso l’estero. Nel 2022, gli italiani emigrati sono stati 83.781, la cifra più bassa registrata dal 2014, quando furono 94mila. L’impatto è stato più forte nel 2022 che nel 2021, con 25.747 iscrizioni in meno (-23,5%) all’Anagrafe Italiani Residenti all’Estero (AIRE). Un calo che in due anni (2020-2022) è stato del 36%.

Altri due fattori che suscitano allarme e dovrebbero sollecitare urgentemente una riflessione: il calo di emigrati dell’ultimo biennio coinvolge in misura minore i giovani, mentre le partenze sono equidistribuite tra tutte le regioni d’Italia, Nord e Sud, povere e meno povere. Gli emigrati d’età compresa tra i 18 e i 34 anni regolarmente iscritti all’AIRE sono oltre 1,2 milioni (21,8% della popolazione AIRE) e vanno a incidere sul 42% delle partenze annuali per solo espatrio. Si legge nel rapporto: «L’identikit che è possibile ricavare dai dati complessivi indica […] che chi è partito per espatrio da gennaio a dicembre 2021 è prevalentemente maschio (il 54,7% del totale), giovane tra i 18 e i 34 anni (41,6%) o giovane adulto (23,9% tra i 35 e i 49 anni), celibe/nubile (66,8%). I minori scendono al 19,5%. I coniugati si attestano al 28,1%».

Per quanto riguarda la provenienza regionale degli emigrati, la Lombardia (incidenza del 19,0% sul totale) e il Veneto (11,7%) continuano ad essere, come da ormai diversi anni, le regioni da cui si parte di più. Seguono la Sicilia (9,3%), l’Emilia-Romagna (8,3%) e la Campania (7,1%). Tuttavia, dei quasi 16 mila lombardi, dei circa 10 mila veneti o dei 7 mila emiliano-romagnoli molti sono, in realtà, i protagonisti di un secondo percorso migratorio che li ha portati dapprima dal Sud al Nord del Paese e poi dal Settentrione all’oltreconfine.

«Una mobilità giovanile che cresce sempre più – si legge nel dossier – perché l’Italia ristagna nelle sue fragilità, e ha definitivamente messo da parte la possibilità per un individuo di migliorare il proprio status durante il corso della propria vita accedendo a un lavoro certo, qualificato e abilitante (ascensore sociale); continua a mantenere i giovani confinati per anni in “riserve di qualità e competenza” a cui poter attingere, ma il momento non arriva mai. Il tempo scorre, le nuove generazioni diventano mature e vengono sostituite da nuove e poi nuovissime altre generazioni, in un circolo vizioso che dura da ormai troppo tempo» 

Un quadro allarmante, che ha destato la preoccupazione anche del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. L’attuale esodo di giovani, osserva il capo dello Stato nel suo messaggio alla Fondazione Migrantes, determina un «saldo negativo» tra coloro che entrano nel Paese e coloro che escono, «con conseguenze evidenti sul calo demografico e con ricadute sulla nostra vita sociale». Inoltre, rimarca Mattarella, «in molti casi chi lascia il nostro Paese lo fa per necessità e non per libera scelta, non trovando in Italia una occupazione adeguata al proprio percorso di formazione e di studio». Sulla stessa lunghezza d’onda, il vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana, monsignor Francesco Savino: «I giovani stanno andando via per motivi di lavoro e di studio e non tornano più. Questo significa che dobbiamo creare le condizioni per un lavoro bello, pulito e solidale».

Da parte sua, la curatrice del dossier, Delfina Licata, ha messo in luce come molti italiani emigrati all’estero preferiscano non iscriversi all’AIRE, pertanto «l’elemento dell’irregolarità è fortemente aumentato», probabilmente perché molti preferiscono interrompere l’assistenza sanitaria, «per non ottemperare un obbligo di legge». Occorre, dunque, trovare un modo per rendere la mobilità «circolare» e favorire il ritorno in Italia di chi è emigrato. Un mezzo utile a tale scopo, aggiunge la studiosa, potrebbe essere la «riforma dei comitati di rappresentanza» degli italiani all’estero, per restituire loro un minimo di fiducia nei confronti della madrepatria.