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IL PUNTO

Israele-Iran, una guerra che prepara altre tragedie

L'attacco israeliano all'Iran ha scatenato le solite tifoserie. E anche tra i cattolici si ignorano i criteri maturati con la Dottrina sociale della Chiesa e quelli proposti negli appelli di papa Leone XIV in questi giorni. Che invece sono quelli fondamentali per capire la posta in gioco.

Esteri 20_06_2025

Come era facilmente prevedibile l’attacco di Israele all’Iran ha scatenato le opposte tifoserie, il cui oggetto principale è il giudizio sullo Stato ebraico: da una parte quelli che «il governo israeliano ha ragione a prescindere, il suo diritto all’esistenza è un assoluto morale che non può conoscere limiti di azione, e comunque è l’avamposto della difesa dell’Occidente in mezzo a regimi islamisti che vogliono la nostra distruzione»; dall’altra quelli che «Israele non sarebbe dovuto neanche esistere, è nato sul furto delle terre altrui e non fa altro che provocare guerre per eliminare altri popoli, in sintesi è uno Stato terrorista». Va da sé che in questo secondo caso chiunque entri nel mirino dell’esercito israeliano assurge al ruolo di vittima e si guadagna il pieno sostegno politico e umano anche se si tratta – come nel caso dell’Iran – di una teocrazia islamista criticata fino al giorno prima, ad esempio per l’oppressione delle donne.

In entrambi i casi appare inutile ragionare, valutare i tanti fattori che anche, e soprattutto, in questo caso costituiscono la realtà. Inutile evocare alcuni princìpi di diritto internazionale e umanitario: anche in questo caso leggi e trattati si applicano ai nemici, si interpretano per gli amici.

In particolar modo, per i cattolici, è significativo come non si faccia mai riferimento ai criteri che il Catechismo e la Dottrina sociale della Chiesa hanno fissato per valutare come legittima difesa una eventuale azione militare. E ancor più significativo è che si passi tranquillamente sopra alle parole pronunciate sull’argomento in questi giorni da papa Leone XIV, che a quei criteri fanno riferimento.

All’indomani dell’attacco israeliano all’Iran, il Papa aveva manifestato subito grande preoccupazione appellandosi «alla responsabilità e alla ragione». E chiedeva «l'impegno per costruire un mondo più sicuro e libero dalla minaccia nucleare», che «va perseguito attraverso un incontro rispettoso e un dialogo sincero per edificare una pace duratura fondata sulla giustizia, sulla pazienza». «Nessuno - aggiungeva - «dovrebbe mai minacciare l'esistenza dell'altro».

E mercoledì 18 giugno, al termine dell’udienza generale un nuovo appello: «Non dobbiamo abituarci alla guerra! Anzi, bisogna respingere come una tentazione il fascino degli armamenti potenti e sofisticati. (…) In nome della dignità umana e del diritto internazionale, ripeto ai responsabili ciò che soleva dire papa Francesco: la guerra è sempre una sconfitta! E con Pio XII: “Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra”».

Non si tratta di fervorini morali, ma di una comprensione profonda della realtà che stiamo vivendo e della posta in gioco: la «responsabilità» dovrebbe far capire il rischio gravissimo di un’azione militare che potrebbe comportare lo sprigionamento di energia nucleare nonché l’allargamento della guerra ad altri Paesi: il possibile ingresso diretto degli Stati Uniti, dalle conseguenze imprevedibili, ne è un drammatico esempio. E la «ragione» dovrebbe far riconoscere l’illusione di soluzioni armate rapide e vittoriose per risolvere i contenziosi. Non solo la storia è piena di auspicate guerre lampo trasformatesi in lunghi e sanguinosi conflitti, ma anche le vicende recenti del Medio Oriente – e non solo, si pensi alla Russia in Ucraina - dovrebbero insegnare che la realtà sul terreno è sempre più complicata di quella prevista sulla carta. E le conseguenze che ne derivano, in termini di lutti, sofferenze, odio, sono pesantissime. La via dell’«incontro rispettoso e del dialogo sincero per edificare una pace duratura» è certamente più difficile e qualche volta può essere necessariamente accompagnata da un qualche uso della forza, ma è l’unica strada che può costruire.

Abituarsi alla guerra, anzi ritenerla l’unica strada perseguibile contando sulla propria superiorità militare - «armamenti potenti e sofisticati» -, porta solo ad aggravare i problemi: l’esempio di Gaza è evidente. Distruggere Hamas è un obiettivo legittimo ma dopo un anno e mezzo di guerra, Gaza è stata rasa praticamente al suolo, decine di migliaia di persone sono state uccise, due milioni sono sfollate e ridotte alla fame; mentre l’organizzazione terroristica palestinese ha sì perso molto della sua capacità militare, ma rimane ben viva e ha guadagnato ulteriori consensi nella popolazione umiliata dall’esercito israeliano. E l’odio, già ai livelli di guardia, che è stato seminato a piene mani farà sentire il suo peso per chissà quante generazioni.

Eppure, anche i leader dei Paesi non direttamente coinvolti nel conflitto – vedi il recente vertice del G7 – sembrano ormai non vedere altre strade all’infuori della guerra, forse nella convinzione che il regime iraniano abbia le ore contate. Ma i giorni passano e le cose si complicano: i missili iraniani sono più volti riusciti a bucare la difesa israeliana; per chiudere la partita sul nucleare iraniano bisognerebbe annientare il sito-bunker di Fordow, ma solo le bombe “bunker buster” (13 tonnellate e mezzo l’una) degli Stati Uniti potrebbero riuscirvi: il presidente americano Trump però tentenna malgrado le forti pressioni che subisce per unirsi a Israele (spera sempre che Teheran si decida a firmare un accordo per la rinuncia al programma nucleare). Anche della auspicata mobilitazione del popolo iraniano e delle tante opposizioni al regime per rovesciare gli ayatollah per ora non c’è segno.

«Nessuno dovrebbe mai minacciare l’esistenza dell’altro», ha detto papa Leone XIV: è un principio fondamentale che è stato immediatamente letto, con ragione, come una mano tesa verso Israele visto che l’ayatollah Khamenei non perde occasione per ribadire l’obiettivo di cancellare Israele e tutti gli ebrei dalla Terra; ma è un principio che si applica anche al governo israeliano quando progetta di far sparire due milioni di palestinesi dai suoi confini.

Il sacrosanto diritto di Israele all’esistenza non giustifica l’uso di qualunque mezzo né alla deroga dal rispetto dell’ordine divino. Anche la Bibbia dovrebbe insegnare qualcosa: voltare le spalle alla legge di Dio si è sempre risolto in una tragedia per Israele.



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