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TURCHIA

Il cinema al tempo di Erdogan, che riscrive anche Dracula

Con l’era Erdogan il rilancio del passato sultanico prosegue a passi da gigante e dispendio di mezzi. L’ultimo prodotto si intitola Vlad l’Impalatore, dura ben due ore tonde e narra di come i pacifici e buoni e tolleranti turchi abbiano fatto giustizia di quel fanatico, sanguinario e blasfemo (pure del suo Dio) le cui nequizie avevano passato il segno.

Cinema e tv 07_08_2021

Il principe Vlad detto Tepes (l’impalatore), voivoda di Transilvania, deve la sua notorietà immortale (è il caso di dirlo) all’irlandese Bram Stoker che lo fece diventare Dracula il Vampiro. Dracul in romeno sta per drago e Vlad pare fosse un cavaliere dell’Ordine del Drago. Protagonista di decine di film, di cui il più originale è, a mio avviso, Dracula untold (Vlad si rifiuta di versare l’odioso balzello in bambini al Sultano e, disperato, accetta di diventare un vampiro per far fronte all’incolmabile superiorità numerica dei turchi), ai turchi attuali deve essere saltata finalmente la mosca al naso e hanno deciso di dire, cinematograficamente parlando, la loro.

Devo dire che ho cominciato a interessarmi alla cinematografia turca quando ho scoperto, parecchi anni fa, che avevano tradotto in pellicole diversi personaggi dei fumetti italiani, come Capitan Miki, il Comandante Mark e perfino Killing (per i turchi Kilink, solo che kilin significa «argilla»; boh, cose turche). Poi, girando per YouTube, ho visto che in tempi relativamente più recenti si sono dati alla filmografia storica: diverse grandi battaglie del passato, perfino la conquista di Costantinopoli nel 1453, tutti film in cui si esalta la grandezza dell’impero ottomano, di come sia stato civile, clemente&misericordioso, leale e magnanimo.

Con l’era Erdogan, poi, il rilancio del passato sultanico è proseguito con passi da gigante e dispendio di mezzi. L’ultimo prodotto si intitola Vlad l’Impalatore, dura ben due ore tonde e narra di come i pacifici e buoni e tolleranti turchi abbiano fatto giustizia di quel fanatico, sanguinario e blasfemo (pure del suo Dio) le cui nequizie avevano passato il segno.

Vlad III di Valacchia, a dire il vero, non si sa come sia morto. Chi dice ucciso per sbaglio da fuoco amico, chi dice ammazzato dai turchi, chi dice morso da un pipistrello idrofobo, chi dice morto di vecchiaia a Napoli (dove sarebbe sepolto nella chiesa di Santa Maria Nova). Nel film, incapace di aver ragione dell’imbattibile Tepes (che, nella storia vera, aveva imparato la pratica dell’impalamento proprio dai turchi, contro cui la ritorceva), il sultano si affida ai Magnifici Sette, un gruppo di misteriosi guerrieri terribili che, pur ridotti in Cinque nel corso della vicenda, riescono ad aver ragione dell’armata cristiana e a uccidere l’Impalatore. Giusto in tempo prima che questi scateni sugli inermi villaggi ottomani un’arma biologica: ratti appositamente infettati di peste, il massimo della malvagità.

I Sette sono religiosissimi, non bevono vino, non toccano le donne (tutte senza velo, nel film). Il loro leader, trucissimo, porta sulla schiena due enormi ali di piume nere (che ricordano quelle metalliche degli storici Ussari Alati polacchi, che però ai turchi le suonarono: boh). I dialoghi sono talmente profondi che ci si capisce poco, in compenso i Cinque (o Sei, perché uno, ferito a morte, viene in qualche modo riesumato da uno sciamano: eccezione alla religiosità? altro boh) combattono esibendosi in funambolismi ninja e rivolgendosi, a un certo punto, ai «sei continenti» (ari-boh).

E c’è perfino un pope cristiano-ortodosso che in realtà è una spia turca. L’influenza del cinema orientale fa sì che abbondino i primi piani silenziosi e interminabili. L’unica cosa degna di encomio è la scelta dell’attore che fa il cattivo: davvero somigliante al Vlad storico, così come è tramandato dalle pochissime immagini che se ne hanno. Chissà se il film, doppiato in italiano, verrà diffuso anche in Romania, dove Vlad Tepes è considerato un eroe nazionale e, mi conferma un’amica badante, evocato contro i politici corrotti o incapaci: «Eh, ci vorrebbe Tepes!».