Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Saba Archimandrita a cura di Ermes Dovico
L’INTERVISTA

«Il beato Newman è un profeta dei nostri tempi»

«Tutta la vita di Newman è espressione del grido più profondo del cuore umano, un cuore che cerca appassionatamente la Verità e quindi ha sete di Cristo e del Suo Amore», spiega alla Nuova BQ il vescovo di Ivrea e oratoriano Edoardo Cerrato sul grande convertito inglese, che sarà presto proclamato santo e di cui oggi ricorre il 218° anniversario della nascita: un profeta che ha descritto «l’apostasia dei nostri tempi» e indicato ai laici la via per aiutare la Chiesa.

Ecclesia 21_02_2019

Lo scorso 12 febbraio papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle cause dei Santi a promulgare il decreto con il quale si riconosce il secondo miracolo attribuito all’intercessione del beato John Henry Newman (21 febbraio 1801 - 11 agosto 1890), che sarà quindi presto proclamato santo e di cui proprio oggi ricorre il 218° anniversario della nascita. Il fatto riguarda la guarigione improvvisa, inspiegabile e permanente di un’americana incinta che aveva chiesto l’intercessione di Newman dopo aver ricevuto dai medici una diagnosi infausta, con pericolo per la vita.

La Nuova BQ ha chiesto al vescovo di Ivrea, monsignor Edoardo Aldo Cerrato, oratoriano come Newman e autore di un opuscolo dedicato al grande convertito inglese (John Henry Newman, pp. 58, Edizioni San Paolo), di aiutarci ad approfondire la sua figura.

Monsignor Cerrato, John Henry Newman si convertì al cattolicesimo a 44 anni e mezzo dopo un lungo e travagliato cammino di ricerca della verità. Che cosa la colpisce di più del suo cammino di conversione?

La conversione del beato Newman è una storia straordinaria che commuove il cuore e al tempo stesso affascina l’intelletto, due tratti che nella sua santità sono inscindibilmente legati. Il suo percorso d’approfondimento della fede - che lo portò nel seno della Chiesa cattolica dopo anni di studio teologico e storico, a cui unì la preghiera - fu da lui stesso mirabilmente sintetizzato nell’epitaffio che volle far porre sulla sua tomba: Ex umbris et imaginibus in Veritatem, cioè «dalle ombre e dalle apparenze alla Verità». Tutta la sua vita è espressione del grido più profondo del cuore umano, un cuore che cerca appassionatamente la Verità e quindi ha sete di Cristo e del Suo Amore. Questa ricerca di Newman iniziò già a 15 anni, al tempo di quella che lui amava chiamare «la prima conversione», favorita da una frase del calvinista Thomas Scott: «La santità piuttosto che la pace».

Un tratto costante di Newman, sia nella fase da pastore anglicano sia ancor più compiutamente dopo la conversione al cattolicesimo, è la sua consapevolezza degli errori di quello che definiva liberalismo religioso.

Sì, pensi che nel settembre 1843, due anni prima di chiedere di essere accolto nella Chiesa, Newman rinunciò di fatto al suo incarico di parroco anglicano ma uno dei motivi per cui attese ancora due anni prima della conversione definitiva al cattolicesimo fu il timore che le anime da lui guidate fino a quel momento potessero scandalizzarsi per la sua scelta e finire per cadere nel liberalismo. Qui già è evidente tutto il senso di responsabilità del pastore, il suo amore per il prossimo e la cura per il bene eterno delle anime. Newman spiegava lucidamente che il liberalismo «pretende di assoggettare al giudizio umano le verità rivelate», quindi la stessa Parola di Dio. Quando Leone XIII lo creò cardinale, il 12 maggio 1879, Newman pronunciò il così chiamato Discorso del biglietto: «Per 30, 40, 50 anni ho cercato di contrastare con tutte le mie forze lo spirito del liberalismo nella religione. […] Il liberalismo in campo religioso è la dottrina secondo cui non c’è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro».

Newman aveva in pratica scorto con lucidità gli errori di ciò che oggi chiamiamo relativismo e indifferentismo religioso?

Esatto. Nello stesso Discorso del biglietto, poi pubblicato sull’Osservatore Romano, continuava così: «Il liberalismo è contro qualunque riconoscimento di una religione come vera. Insegna che tutte devono essere tollerate, perché per tutte si tratta di una questione di opinioni. La religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e una preferenza personale; non un fatto oggettivo o miracoloso; ed è un diritto di ciascun individuo farle dire tutto ciò che più colpisce la sua fantasia. Si possono frequentare le Chiese protestanti e le Chiese cattoliche, sedere alla mensa di entrambe e non appartenere a nessuna. […] Poiché dunque la religione è una caratteristica così personale e una proprietà così privata, si deve assolutamente ignorarla nei rapporti tra le persone», diceva ancora nella sua critica all’arbitrarietà del liberalismo. Newman aveva perfettamente colto tutti i segni di quella che già lui chiamava «l’apostasia dei nostri tempi», il rinnegamento di Cristo: la sua analisi era una fotografia della sua epoca e insieme una profezia della nostra.

Oggi, allontanandosi dall’insegnamento cattolico, si parla spesso di primato della coscienza come qualcosa di slegato dalla Rivelazione. Cosa insegnava invece Newman?

Anche qui, lui insegnava proprio ciò che la Chiesa ha sempre insegnato e cioè che tra coscienza e verità c’è un legame intrinseco, perché la dignità della coscienza esige che non vi siano cedimenti all’arbitrarietà e al relativismo.

Sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI hanno sottolineato la capacità di Newman di operare una sintesi eccezionale tra fede e ragione, nel solco dei grandi pensatori e santi cattolici.

Nel 2001 Giovanni Paolo II scrisse una lettera per il bicentenario della nascita di Newman [nella foto un suo ritratto del 1824] in cui ricordò come il grande convertito inglese era nato in un’epoca segnata da un lato dalla minaccia del razionalismo, con il suo «rifiuto sia dell’autorità sia della trascendenza», e dall’altro dal pericolo del fideismo, con la sua incapacità di affrontare le sfide della storia e il suo cieco affidamento all’autorità. Invece Newman si districò tra questi due opposti errori, grazie all’unione mirabile, propria del cristianesimo, tra fede e ragione, con la seconda illuminata dalla prima attraverso la pratica della preghiera e la virtù dell’umiltà. «Fu la contemplazione appassionata della verità», scrisse di Newman il Pontefice polacco, «a condurlo a un’accettazione liberatoria dell’autorità le cui radici sono in Cristo, e a un senso del soprannaturale che apre la mente e il cuore umani». Riguardo a Benedetto XVI, la sua ammirazione per la vita e il pensiero di Newman è tale che ha voluto personalmente presiedere, facendo uno “strappo” alla regola, la cerimonia di beatificazione del 19 settembre 2010.

Si può dire che Newman, il quale è entrato in comunione con la Chiesa accettando l’autorità del Successore di Pietro (e quando già, come tutto il Movimento di Oxford era vicino alle posizioni cattoliche su dogmi e sacramenti), ha conquistato a sua volta diversi Pontefici.

Sì, mi limito ad aggiungere che fu il primo cardinale a essere creato da Leone XIII, per una scelta programmatica ben precisa di papa Pecci, e nel XX secolo Pio XII confidò a Jean Guitton questo suo pensiero: «Non dubiti, Newman sarà un giorno dottore della Chiesa».

Per Newman l’evangelizzazione e l’educazione devono andare di pari passo. E lui vedeva la necessità di un laicato forte, di laici istruiti nelle verità di fede e di morale, capaci di rendere ragione della religione cattolica, di testimoniare Gesù Cristo.

Cito un’altra frase di Newman ricordata pure da Benedetto XVI nell’omelia per la beatificazione: «Voglio un laicato non arrogante, non precipitoso nei discorsi, non polemico, ma uomini che conoscono la propria religione, che in essa vi entrino, che sappiano bene dove si ergono, che sanno cosa credono e cosa non credono, che conoscono il proprio credo così bene da dare conto di esso, che conoscono così bene la storia da poterlo difendere». Anche in questo è stato profetico, visto che oggi più che mai abbiamo bisogno di laici così, che amino Dio e la Sua Sposa, la Chiesa, siano assetati di verità e capaci di testimoniare al mondo questo amore.

Lei è un oratoriano, proprio come Newman. In che modo la spiritualità dell’Oratorio di san Filippo Neri aiutò il suo cammino verso la santità?

Pressoché tutta la fase cattolica dell’esistenza di Newman si svolse nell’Oratorio di san Filippo Neri, che gli era stato consigliato dal vescovo Nicholas Wiseman come la forma di vita più adatta a lui. E in effetti - grazie alla spiritualità oratoriana che unisce l’amore per Cristo, le persone e la vera cultura secondo la giovialità tipica di san Filippo Neri («questo è il Santo della cortesia e della gentilezza», scrisse di lui), Newman poté sviluppare pienamente i suoi carismi. Tant’è che quando Leone XIII gli offrì la porpora, Newman lo supplicò: «Vorrei pregare Vostra Santità di non togliermi a san Filippo, mio padre e patrono, e di lasciarmi morire là dove sono vissuto così a lungo». Fu oratoriano per 43 anni, fino alla morte terrena, e come motto cardinalizio scelse un passo di san Francesco di Sales (che a sua volta aveva fondato l’Oratorio di Thonon): Cor ad cor loquitur, «il cuore parla al cuore», che è il fondamento della vocazione cristiana, chiamando il fedele all’incontro personale con Gesù, dal quale sgorga l’amore per tutti gli uomini.