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L'ANTIDOTO

I PADRI RICCHI DEL RISORGIMENTO

Non è affatto vero che gli artefici dell'Unità d'Italia morirono in povertà. L'aristocratico Cavour se ne andò più possidente che mai. E Garibaldi, pensionato d'oro, andava e veniva da Caprera in yacht.

L'antidoto 09_04_2011
garibaldi

Ma è proprio vero che i nostri Padri della Patria morirono poveri, come ha detto Benigni al Festival di Sanremo? In verità nessuno di questi Cincinnati era di non aristocratica condizione, esclusi Garibaldi e il funereo Mazzini. Quest’ultimo, che –si dice- non fu mai visto sorridere, doveva portare pure jella, dal momento che nessuno degli attentati e rivolte che organizzò (e che costarono la pelle a non pochi illusi, nonché alle loro vittime) ebbe buon fine. Ma i rivoluzionari di professione (Marx, Lenin etc.) trovano sempre chi li mantiene. Nella peggiore delle ipotesi fanno i giornalisti (come Marx, Lenin etc.), attività che, come da nota battuta, è «sempre meglio che lavorare». Togliamo dunque Mazzini, che di mestiere faceva l’Esule.

Garibaldi, invece, ebbe in dono dagli ammiratori Caprera, che era qualcosa di più che uno scoglio: ci stava un’azienda agricola con decine di addetti e centinaia di capi di bestiame. Per andare e venire Garibaldi aveva a disposizione uno yacht, altro dono (di un suo devoto inglese). Ma gli affari non erano il suo pallino, e a mandarlo in bolletta pensarono i suoi figli Menotti e Ricciotti, che si impelagarono nell’edilizia romana (il nuovo regno unito sventrava e costruiva ch’era un piacere nella nuova capitale). Commosso ma anche mosso dalle proteste, il governo gli assegnò la rendita di due milioni di lire d'oro, somma davvero considerevole. E fu così che l’Eroe dei Due Mondi divenne, per i gesuiti della «Civiltà cattolica», l’Eroe dei Due Milioni.

Quanto a Cavour, morì anche più ricco di quanto fosse già. Suo padre aveva rimpinguato i beni di famiglia con i terreni dell’abbazia di Lucedio, confiscata dai napoleonici e rivenduta al ribasso per far cassa. Il conte Camillo, dal canto suo, era il primo azionista della più importante società di granaglie italica, che fece lucrosi affari speculando sui prezzi alla vigilia della guerra di Crimea. Fecero, dunque, il Risorgimento per interesse? No, certo. Ci credevano davvero. E l’idolo del tempo era il nazionalismo.