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L'ALLARME

I bimbi ci guardano Ma anche Facebook li vede

L’allarme è stato lanciato da Valentina Sellaroli, pm presso il Tribunale dei minori di Torino: genitori, non mettete le foto dei vostri figli su Facebook, pratica simpatica, ma molto pericolosa. Eppure, sempre più foto di minori e bambini appaiono sui social network. Che cosa sta dietro a questa nuova mania?

Educazione 20_04_2015
Mai più foto di bambini sui social network

Siamo un popolo di “pantofolai” e “naviganti” a chilometri zero, nel senso che non siamo disposti a fare un passo più della distanza che ci separa tra il salotto e la camera da letto dove tra televisori, internet, personal computer e altre diavolerie elettroniche abbiamo tutto il necessario che il mondo può offrire.  A portata di mouse e di telecomando. Se proprio siamo in vena di viaggiare, usciamo en plein air sul terrazzo a innaffiare gardenie e piantare finti pomodorini di Pachino: ci basta e avanza per sognare di essere come lady Obama nell’orto della Casa Bianca. Se questo ci mette al riparo dai rischi della folla, altri e forse più micidiali pericoli, incombono sulle nostre vite salottiere. Le cifre sono note: il 70% degli italiani ama trascorrere il 50% o più del proprio tempo extralavorativo in casa, navigando su Internet (40%), guardando la Tv (23%) e leggendo (15%). Il rimasuglio è conteso tra chi si diverte cucinando, si dedica al giardinaggio e al bricolage, ascolta musica o frequenta palestre. Internet, dunque, è più gettonato della televisione: un sorpasso davvero inimmaginabile solo qualche anno fa. Ma ora c’è di più e di peggio.

L’allarme è stato lanciato qualche giorno fa da Valentina Sellaroli, pm presso il Tribunale dei Minori di Torino: un appello ai genitori dall’astenersi dal pubblicare le foto dei propri figli su Facebook, pratica simpatica, ma molto pericolosa. Nel mirino c’è anche YouTube Kids, una piattaforma nata proprio per pubblicizzare prodotti e contenuti per i più piccoli. Prima ancora era stato il turno di Vine Kids, release per i più piccoli controllata da Twitter. E anche Google, infine, starebbe per lanciare una serie di strumenti per consentire la creazione di account ai bambini. Con il paradosso finale che, ad esempio, se su Facebook è vietata l'iscrizione ai minori di 13 anni, le nostre bacheche sono sempre più invase di neonati e fra gli utenti spuntano sempre più giovanissimi. Il limite dei 13 anni è un passaggio perfino inutile su piattaforme come Twitter e Instagram: lì, infatti, non occorre un account per visualizzare i contenuti degli altri utenti da web. Se a questa situazione si aggiunge l'interesse delle big company che stanno alle spalle di questi strumenti - tenere a battesimo la prima generazione di autentici "nativi social" - il quadro è completo. E per nulla rassicurante. 

Non è una coincidenza che milioni di piccoli utenti siano già impigliati nelle maglie dei social: non ci sono dati aggiornatissimi, ma già quattro anni un’indagine americana affermava che il 19% dei genitori di bambini di 10 anni, il 32% degli undicenni e il 55% dei dodicenni ammettevano che il loro figlio avesse già attivato un account. Di più: il 60% delle mamme e dei papà ha addirittura riconosciuto di aver aiutato i miniutenti ad aprire il profilo. Insomma, internet ha trasformato le nostre case in una sorta di luogo globale, dove convivono materia e spirito, uomini e cose. Neppure i figli vengono risparmiati: pure loro sono sommersi dal magma virtuale. 

Quei dati, però, potrebbero dire un’altra cosa, meno scontata e più inquietante: la casa è l’ultimo riparo alla solitudine. Meglio: il posto dove le nostre solitudini si affollano, si mostrano e cercano una risposta. Non a caso, internet ha sostituito e s’è mangiato la Tv, mezzo che in qualche modo conservava ancora un barlume di dialogo e interazione col mondo. Nelle Rete, invece, c’è solo l’illusione di un rapporto sociale, di una relazione amicale e affettiva depurati dalla fatica dell’incontro reale e concreto. Così siamo al riparo (o almeno pensiamo) di vergogne e disillusioni. In quelle percentuali “casalinghe”, c’è tutta la solitudine di chi abita un territorio dove i legami sociali si sono allentati, e l’individuo è misurato sul successo sociale, e la sua  capacità di spesa e consumo. La solitudine di chi non sente più la solidarietà umana perché la prossimità è stata sopraffatta dalla competizione. Insomma, se spranghiamo le porte di casa, la ragione è che sopportiamo l’umano sempre meno e con sempre maggior fatica. Fino al grottesco di mostrare i nostri bambini solo attraverso le loro immagini su Facebook perché altri amici virtuali possano esprimere il loro “mi piace”. 

L’indipendenza solitaria, la rinuncia a confrontarsi con l’altro in carne ossa e il rifugio (del resto insicuro) nei bunker virtuali nascondono infatti l’esatto contrario: cioè, l’irriducibile dipendenza da nostri simili ai quali chiediamo riconoscimento e amicizia. Perché noi esseri umani abbiamo bisogno d’altro. Abbiamo bisogno dell’Altro. Lo cerchiamo magari sotto forma di fantasmatiche apparizioni, di frasi e cinguettii senza impegno, di dialoghi che non hanno alcuna pretesa perché, letteralmente, non obbligano a guardare in faccia nessuno. Fate pure, ma lasciate fuori da questo assurdo gioco i bambini. I figli ci guardano, ma non è bene che vengano consegnati allo sguardo pubblico. E non solo perché gli occhi degli orchi sono in agguato: l’orrore e l’orribile sta già tutto nella nostra resa alla social-solitudine, nella riduzione della realtà alla quantità di like e hastag e followers che riusciamo collezionare. Ma che sono solo e irrimediabilmente fake, cioè solo una realtà farlocca camuffata di niente.