Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santi Nicola Tavelić e compagni a cura di Ermes Dovico
IRAN CONTRO USA

Golfo Persico, scenari di un conflitto possibile

Arabia Saudita ed Emirati Arabi denunciano alcuni misteriosi sabotaggi, senza vittime. È un'operazione coperta saudita per incriminare l'Iran o è un segnale di avvertimento lanciato realmente dall'Iran contro i suoi nemici regionali? Intanto gli Usa schierano la flotta. Un conflitto (possibile) coinvolgerebbe tutto il Medio Oriente.

Esteri 14_05_2019
Petroliera nel Golfo

Provocazione iraniana e tentativo dell’asse arabo-americano di creare un casus belli per colpire Teheran? I “sabotaggi” subiti da alcune navi petroliere al largo di Fujairah innalzano ulteriormente la tensione nel Golfo Persico dopo l’arrivo di portaerei, navi e bombardieri statunitensi e la minaccia iraniana di riprendere il programma nucleare abbandonato dopo l’accordo del 2015 da cui Donald Trump ha ritirato gli Stati Uniti.

Il ministro saudita per l'Energia, Khalid Al-Falih, ha denunciato che "due compagnie petrolifere saudite sono state sabotate nella zona economica esclusiva degli Emirati Arabi, al largo delle coste dell'emirato di Fujairah". Domenica erano stati gli Emirati a denunciare "atti di sabotaggio" contro quattro navi commerciali di diverse nazionalità' a est di Fujairah, senza identificare gli autori ma definendo l'evento "serio". Domenica alcuni siti internet pro-iraniani avevano riferito di alcune esplosioni nel porto di Fujairah, sostenendo che tra sette e dieci petroliere avevano preso fuoco dopo un sorvolo di aerei americani e francesi. Gli Emirati Arabi Uniti avevano categoricamente negato prima di annunciare "atti di sabotaggio" contro quattro petroliere.

Le autorità iraniane hanno chiesto l'apertura di un'indagine. "Questi incidenti nel Mar Arabico sono allarmanti e deplorevoli", ha detto il portavoce del ministero degli Esteri, Abbas Mousavi, mettendo in guardia contro "l'avventurismo straniero" per distruggere il trasporto marittimo nella regione. Il ministro dell'Energia saudita ha dichiarato che le azioni contro le petroliere saudite non hanno causato né vittime né una fuoriuscita di petrolio, ma che hanno causato "danni significativi alle strutture delle due navi". Una delle due petroliere era in attesa per essere caricata nel terminal dell'Arabia Saudita di Ras Tanura per la consegna ai clienti statunitensi, ha detto. Abu Dhabi e Riad non hanno accusato nessuno e neppure hanno precisato quale sia la natura degli "atti di sabotaggio". Il porto di Fujairah è l'unico terminale negli Emirati Arabi Uniti sulla costa del Mar Arabico che aggira lo Stretto di Hormuz, attraverso il quale passano la maggior parte delle esportazioni di petrolio del Golfo. L'Iran ha ripetutamente minacciato di chiudere lo stretto di Hormuz se gli Usa continueranno a impedire l’export del greggio questo Stretto di fondamentale importanza per il commercio globale di petrolio.

Nei giorni scorsi la United States Maritime Administration (Marad) aveva lanciati l’allarme per possibili attacchi iraniani (con missili, aerei e “barchini armati” dei Pasdaran) contro i mercantili americani, comprese le petroliere, in navigazione nei mari del Medio Oriente, Marad afferma che sin dai primi di maggio vi sarebbe "un'accresciuta possibilità che l'Iran, o i suoi alleati regionali, mettano in atto delle azioni contro gli Usa e gli interessi dei suoi partner". Azioni che potrebbero includere infrastrutture petrolifere, dopo che Teheran ha minacciato di chiudere lo Stretto di Hormuz attraverso il quale passa "circa un terzo dell'export mondiale di greggio marittimo".

La denuncia dei due maggiori alleati regionali degli Usa può essere letta come un tentativo di creare le basi per un casus belli, accusando l’Iran di aver organizzato i non meglio chiariti sabotaggi, oppure come un monito di Teheran che intenderebbe così mettere in guardia le petro-monarchie del Golfo circa i rischi, militari ed economici, derivanti dall’apertura di un conflitto. Il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, è giunto ieri sera a Bruxelles per discutere di "questioni urgenti" con gli europei, da sempre contrari all’iniziativa statunitense contro l’Iran ma finora ben poco incisivi nel contrastarla. L'ambasciatore iraniano in Italia, Hamid Bayat, in un'intervista all'Ansa, ha alzato i toni verso la Ue che nonostante avesse dichiarato di voler salvare l'accordo sul nucleare dopo l'uscita degli Usa, "non è disposta a correre rischi o ad accettare i costi" di opporsi con azioni pratiche alle sanzioni di Washington. "Il sostegno puramente politico non è sufficiente e l'Europa dovrebbe prendere provvedimenti concreti". Questo, insiste, fa parte degli "obblighi" di Francia, Gran Bretagna e Germania, che con Cina, Russia e Usa hanno firmato l'accordo nel 2015. Mentre l'Iran "ha pienamente adempiuto" ai suoi obblighi, come certificato da 14 relazioni dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea).

Il presidente iraniano Hassan Rohani ha avvertito che se entro 60 giorni i restanti partner dell'accordo non soddisferanno le richieste iraniane per contrastare gli effetti delle sanzioni americane in campo petrolifero e bancario, la Repubblica islamica si sentirà libera di riprendere il cammino verso l'arricchimento dell'uranio e sviluppare il reattore nucleare ad acqua pesante di Arak. L’ambasciatore ha sottolineato come anche l'Italia, che nel 2017 era il primo partner commerciale europeo della Repubblica islamica con un interscambio di 5 miliardi di euro, abbia "perso l'opportunità" di sostenere queste importanti relazioni, azzerando le sue importazioni di petrolio fin dall'autunno scorso, nonostante l'esenzione di sei mesi dalle sanzioni concesse dall'amministrazione Trump.

Il presidente Usa ha affermato che il suo obiettivo è quello di "azzerare" le esportazioni di greggio iraniano, che prima della reintroduzione delle sanzioni erano pari a 2,5 milioni di barili al giorno. Gli effetti delle misure punitive americane hanno già colpito duramente l'economia del Paese: secondo il Fondo monetario internazionale quest' anno il Pil dovrebbe contrarsi del 6%, l'inflazione viaggia intorno al 50% e la moneta nazionale, il rial, ha perso soltanto l'anno scorso il 60% del suo valore.

Sul piano militare la concentrazione di forze Usa nel Golfo aumenta i rischi di incidenti e provocazioni. Oltre a nuove batterie di missili Patriot schierate in Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, Washington ha messo in campo la portaerei Lincoln con 50 aerei da combattimento e 5 navi da guerra più il gruppo da assalto anfibio imperniato sulla portaelicotteri Kearsage con 2mila marines che potrebbero essere impiegati per occupare alcune isole all’imboccatura dello Stretto di Hormuz mentre 4 bombardieri B-52 sui sono uniti alla decina di B-1 schierati ad al-Udeid (Qatar) dive operano una trentina di aerei da combattimento solitamente impiegati contro o Stato islamico in Iraq. Un conflitto nel Golfo tra l’Iran e l’asse tra Usa e monarchie arabe avrebbe provabili ripercussioni anche in Siria, Iraq e Libano (dove le milizie sciite Hezbollah) sono schierate ai confini con Israele.

Le milizie sciite irachene filo-iraniane hanno ricevuto l'ordine di essere "pronte" all' eventualità di scontri con i circa 6.000 militari americani dispiegati in Iraq, ha riferito il sito Internet panarabo-saudita Arab News, che cita una serie di comandanti di milizie della Mobilitazione popolare irachena. Nei giorni scorsi era arrivato a sorpresa a Baghdad Mike Pompeo, che aveva chiesto al premier Adel Abdel Mahdi rassicurazioni circa la capacità e volontà delle autorità irachene di proteggere gli interessi americani in Iraq. A conferma di come uno scontro nel Golfo possa infiammare in un conflitto tra sciiti e sunniti tutto il medio Oriente, il ministro israeliano dell'Energia Yuval Steinitz ha affermato che, nel Golfo, "le cose si stanno scaldando". "Se c’è una sorta di conflagrazione tra l'Iran e gli Stati Uniti, tra l'Iran e i suoi vicini, non escludo che attiveranno Hezbollah e la Jihad islamica da Gaza, o addirittura che cercheranno di lanciare missili dall'Iran contro Israele", ha detto Steinitz, membro del gabinetto di sicurezza di Netanyahu.

Anche volendo escludere l’ipotesi di un conflitto aperto, il rischio è che le pressioni degli USA e l’inconsistenza dell’Europa obblighino l’Iran a dotarsi di armi atomiche, di fatto l’unico deterrente in grado di impedire che l’Iran subisca attacchi militari tesi al “regime-change” come quelli che rovesciarono Saddam Hussein e Muammar Gheddafi in Iraq e Libia. Del resto, come insegna anche il “caso Corea del Nord”, solo un arsenale atomico credibile può assicurare la deterrenza necessaria a scoraggiare attacchi militari.