Gli ucraini rischiano il collasso. L'Occidente vuol finire la guerra
Ascolta la versione audio dell'articolo
La lenta ma inesorabile avanzata russa nel Donbass sta logorando gli ucraini. E gli aiuti occidentali calano. Possibile uscita di scena degli Usa, soprattutto se vince Trump.
Le ultime notizie dal conflitto ucraino indicano che i russi continuano ad avanzare lentamente e metodicamente nelle regioni del Donbass e sembrano puntare a riprendere il controllo della regione di Kharkiv da cui si ritirarono nel settembre 2022. La progressione dei russi è particolarmente evidente nei settori del fronte a ovest di Bakhmut e Avdiivka dove le forze di Mosca hanno preso il controllo di diversi villaggi, sono penetrate nei sobborghi di Chasiv Yar (roccaforte ucraina che costituì la retrovia durante la lunga battaglia di Bakhmut) occupando Bohdanivka, puntando ad accerchiare le forze ucraine.
All’incremento costante delle truppe russe (oltre 600 mila uomini sono schierati in Ucraina e sui confini con russo-ucraini) oltre che di armi e munizioni, corrisponde il progressivo impoverimento delle capacità ucraine. Le difficoltà a reperire nuove reclute nonostante l’abbassamento dell’età per l’arruolamento da 27 a 25 anni sono dovute anche al crollo della motivazione della società ucraina, sempre meno fiduciosa nella vittoria e nel fatto che il sacrificio di così tante vite abbia uno scopo.
Inoltre l’ormai confermato ed evidente tracollo degli aiuti occidentali rende vane le possibilità di sostenere il confronto con i russi che, del resto, per ora preferiscono continuare a logorare le forze nemiche senza lanciare offensive impegnative su qualche area del fronte, puntando sulla netta superiorità aerea e di volume di fuoco con incessanti bombardamenti dal cielo e con le artiglierie.
Le stesse fonti militari ucraine confermano l’enorme numero di caduti dovuto anche all’impiego di soldati poco addestrati e le difficoltà a consentire ai reparti, da mesi in prima linea, qualche settimana di riposo nelle retrovie. Elementi che secondo fonti militari sentite dal giornale statunitense Politico potrebbero determinare un ampio cedimento delle truppe di Kiev in qualsiasi area dei mille chilometri di fronte causando un conseguente tracollo dell’intero esercito di Kiev.
Mosca colpisce in profondità anche quel che resta dell’apparato industriale ucraino e soprattutto le centrali elettriche contando sul rapido indebolimento delle difese aeree ucraine, a corto di missili come lamenta quasi ogni giorno il presidente Volodymyr Zelensky, che dopo aver dichiarato inevitabile la sconfitta in assenza di ingenti aiuti occidentali ha detto ieri che l'Ucraina ha "un piano per una controffensiva" e può vincere la guerra ma necessita di armi moderne, soprattutto degli aiuti militari.
La vittoria di Kiev non sembra pragmaticamente venire presa più in considerazione dall’Occidente i cui aiuti militari si limitano a vecchi armamenti che non saranno certo risolutivi. Se si esclude la promessa di Parigi di inviare 600 bombe intelligenti Hammer e missili antiaerei Aster 30 gli ultimi rifornimenti inviati o promessi riguardano centinaia di vecchi blindati francesi VAB già rivelatisi troppo vulnerabili in questo conflitto, 20 vecchi mezzi corazzati Marder radiati dall’esercito tedesco e pezzi di ricambio per i decrepiti missili antiaerei americani Hawk ormai da molti anni ritirati dal servizio negli Stati Uniti e in Europa. Gli Stati Uniti hanno deciso di inviare a Kiev anche armi iraniane sequestrate sulle imbarcazioni che nell’Oceano Indiano rifornivano le milizie yemenite Houthi: si tratta però di appena 5mila kalashnikov con mezzo milione di proiettili e lanciagranate Rpg-7.
Gli unici successi che Kiev può vantare riguardano gli attacchi in profondità in territorio russo che negli ultimi giorni hanno permesso di colpire l’aeroporto militare di Rostov (ma i russi negano la distruzione di 5 aerei rivendicata dagli ucraini) e alcune raffinerie di petrolio. Attacchi questi ultimi peraltro criticati duramente da Washington, specie quelli contro le infrastrutture energetiche.
I raid ucraini alle raffinerie di petrolio russe possono avere un effetto "a catena" sulla situazione energetica globale, ha sottolineato ieri al Congresso il Segretario alla Difesa Lloyd Austin. «Certamente, questi attacchi potrebbero avere un effetto a catena in termini di situazione energetica globale, ma penso francamente che l'Ucraina debba colpire obiettivi tattici e operativi che possono influenzare direttamente il conflitto in corso», ha detto Austin.
Il Financial Times ha riferito il mese scorso che gli Stati Uniti hanno invitato l'Ucraina a evitare di colpire le raffinerie di petrolio russe (che a causa degli attacchi avrebbero ridotto del 16% la produzione di carburante) per evitare una crisi energetica che potrebbe destabilizzare il mercato globale del petrolio. I funzionari statunitensi non avevano voluto commentare la notizia diffusa dal quotidiano economico ribadendo però che Washington non incoraggia gli attacchi ucraini all'interno della Russia.
Zelensky aveva confermato che gli Usa hanno chiesto di non effettuare attacchi contro le raffinerie di petrolio russe ma tale richiesta non è stata ben accolta da Kiev, come ha riportato il Washington Post.
Un ulteriore motivo di screzio tra l’Ucraina e i suoi alleati che non induce a essere ottimisti circa i prossimi aiuti militari, penalizzati peraltro dall’indisponibilità dell’Europa a fornire armi e munizioni e alle reticenze degli Usa, i cui magazzini si sono pericolosamente ridotti anche a causa delle forniture di armi e munizioni a Israele.
In realtà sul fronte politico si percepisce chiaramente la volontà occidentale di chiudere questo conflitto da cui gli Stati Uniti si chiameranno probabilmente fuori indipendentemente dall’esito delle elezioni di novembre.
Secondo il Washington Post Donald Trump, se tornasse alla Casa Bianca, premerebbe su Kiev affinché ceda la Crimea e la regione di confine del Donbass alla Russia in cambio della pace. Trump ritiene che sia la Russia sia l'Ucraina «vogliono salvare la faccia e avere una via di uscita» e che la popolazione di alcune aree dell'Ucraina voglia vivere sotto amministrazione russa. Valutazione quest’ultima peraltro già riscontrabile fin dall’inizio del conflitto nel Donbass, nel 2014.
Il 7 aprile il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, in un'intervista rilasciata alla BBC ha dichiarato che «alla fine dei conti deve essere l'Ucraina a decidere che tipo di compromessi è disposta a raggiungere. Dobbiamo consentire loro di essere in una posizione in cui possano effettivamente raggiungere un risultato accettabile al tavolo dei negoziati».
Di fatto la vittoria dell’Ucraina e la riconquista di Donbass e Crimea restano slogan a cui nessuno, da Kiev a Bruxelles a Washington, sembra credere più.