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INCIDENTI LETALI

Gli americani, terrorizzati, hanno il grilletto facile

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Un piccolissimo errore può costare la vita. Il mondo assiste stupefatto a una serie impressionante di sparatorie accidentali negli Stati Uniti, ben quattro in una settimana, causate da una porta sbagliata, una strada sbagliata, un’auto confusa con la propria, una palla che scivola nel cortile sbagliato. 

Esteri 22_04_2023
Kansas City, la casa in cui Ralph Yarl è stato colpito

Un piccolissimo errore può costare la vita. Il mondo assiste stupefatto a una serie impressionante di sparatorie accidentali negli Stati Uniti, ben quattro in una settimana. Stavolta non sono stragi, come quelle nelle scuole o nei supermercati, che pure aumentano di frequenza. Ma singoli incidenti che coinvolgono persone assolutamente innocenti e killer quasi del tutto inconsapevoli. A provocarle sono, appunto, errori minimi: una porta sbagliata a cui bussare, una strada sbagliata, un’auto parcheggiata scambiata per la propria, una palla che scivola nel cortile sbagliato.

Il primo caso, in ordine di tempo riguarda Ralph Yarl, sedicenne afro-americano di Kansas City, nel Missouri. Ha bussato alla porta sbagliata. Invece di trovare le due sorelline, che era andato a prendere per accompagnarle da amici, si è trovato con due pallottole in corpo, di cui una in testa, sparate da un anziano di 85 anni che abita in quella casa e temeva di venir derubato. Yarl è sopravvissuto, ma ancora in ospedale in prognosi riservata e probabilmente perderà un occhio.

Due giorni dopo, il 15 aprile, un’auto con giovani a bordo sbaglia strada, a Hebron, nello Stato di New York, e si ritrova bersagliata da un uomo, 65enne, armato, che abita nella casa più vicina. Una delle passeggere, Kaylin Gillis, vent’anni, muore sul colpo.

Tre giorni dopo, il 18 aprile, un gruppo di quattro Cheerleaders di una scuola del Texas, si ferma a fare la spesa. Una di loro, uscendo dal supermercato, scambia la sua auto con quella di un altro uomo. Vedendola occupata da uno sconosciuto si insospettisca, chiama le amiche e si avvicina, forse in modo sospetto. L’uomo spara ad alzo zero e ferisce lei e una sua amica.

Il giorno stesso, in North Carolina, una bambina di sei anni stava giocando col padre a basket, quando la palla è scivolata nel cortile di un uomo. Che non l’ha restituita, ma ha sparato, ferendola.

Che cosa sta succedendo negli Stati Uniti? Ad essere messa sotto accusa è soprattutto la National Rifle Association, associazione nata nel 1871 allo scopo di difendere il diritto di portare armi. Tuttora è una lobby molto potente e influente, soprattutto nel Partito Repubblicano e si oppone ad ogni restrizione sul porto d’armi. L’amministrazione Biden è favorevole all’introduzione di più controlli di background e limiti alla vendita delle armi più potenti. Ma nessuno vuole mettere in discussione il Secondo Emendamento della Costituzione che, dal 1791, sancisce il diritto di portare armi. Ci sono stati periodi della storia americana meno permissivi, sicuramente. Ma la caratteristica della nazione americana, quasi unica al mondo, è l’assenza di un monopolio totale della violenza da parte dello Stato. È così da sempre, dunque non si spiega con la diffusione delle armi questa impennata di violenza, che è recente.

L’altra grande accusata è la legge “stand your ground” adottata da più della metà degli Stati che compongono gli Usa (non il New York, però, ad esempio). Le norme “stand your ground”, benché differiscano da Stato a Stato, tendono comunque a garantire la legittima difesa in ogni circostanza, anche quando la persona, che percepisce il pericolo, avrebbe la possibilità di fuggire da una situazione pericolosa.

Dove non c’è una norma di questo tipo, l’aggredito deve dimostrare che non ha altra scelta che la reazione armata. Una giustificazione tipica dell’uso della forza letale è un’intrusione in casa (“castle doctrine”): se sei in casa e qualcuno entra, non invitato e con intenzioni ignote, la difesa è sempre legittima. Non è questo il caso di Ralph Yarl, che non è entrato nella casa dell’uomo che gli ha sparato.

La prima ad adottare una normativa “stand your ground” è stata la Florida nel 2005. Ha fatto scalpore, nel 2012, l’uccisione del giovane afro-americano Trayvon Martin (disarmato) da parte del vigilante George Zimmerman, che si riteneva in pericolo. Zimmerman era stato assolto al processo e dalla sentenza, per protesta, era nato il movimento Black Lives Matter. Dopo la Florida, comunque, una normativa simile è stata adottata da altri 26 Stati. Secondo uno studio della Rand Corporation le leggi “stand your ground”, ove applicate, aumentano il numero di omicidi commessi con armi da fuoco.

Però, anche se più pertinente, la critica a questo tipo di legislazione locale non è esaustiva. Prima di tutto perché è solo negli ultimi anni che si nota un’impennata di incidenti o di stragi con armi da fuoco. I fenomeni che vanno indagati, come cause possibili, sono dunque più recenti. E si chiamano: Covid-19 (con relative politiche pandemiche), disordini politici provocati da Black Lives Matter e Antifa, tensione politica seguita alle elezioni del 2020. In quel periodo si può constatare un aumento della violenza, soprattutto nelle città e, contemporaneamente, una molto maggior tolleranza del crimine da parte di sindaci e procuratori di area democratica.

Negli Stati Uniti, in generale, i crimini sono aumentati del 30% nel 2020 (anno del Covid e della violenza politica). Nel 2021 è solo leggermente decresciuto (di appena l’1%) il tasso di criminalità in generale, ma sono ancora aumentati, del 4,3%, gli omicidi. Insomma, gli Stati Uniti stanno vivendo un periodo di violenza endemica. Più che alle armi da fuoco e alle leggi che permettono di usarle (che certamente non aiutano) si deve guardare alla mente di chi le usa. E vedremo, molto spesso, delle menti di persone terrorizzate da notizie sempre peggiori sulla crescita improvvisa della violenza.