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DOMENICA DELLE PALME

Gesù a Gerusalemme, il Re va verso la Passione che salva

La Chiesa ci introduce nella Settimana Santa con la commemorazione dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme. La folla, illuminata dallo Spirito, lo acclama come Re. Giorni dopo, sobillata dai capi, ne chiederà la crocifissione. Ma Gesù cammina consapevole verso la sua ora, aderendo alla volontà del Padre. Il suo passaggio attraverso il mistero della morte è carico di tutto il dolore e delle angosce di ogni uomo. Eppure, il Calvario è preludio alla luce del Risorto che ci ricorda, tanto più in questi giorni di pandemia, che “in nessun altro c'è salvezza”.

Ecclesia 05_04_2020

La Chiesa introduce nella Settimana Santa e accompagna alla celebrazione del Triduo Pasquale, cuore dell’anno liturgico, con la commemorazione dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme. Si tratta di un avvenimento autenticamente profetico colto in un passaggio di sintesi e di grande contraddizione.

La folla, indubbiamente illuminata dallo Spirito, riconosce nell’umile incedere di Gesù verso la città santa il Messia e lo acclama come Re e Salvatore; non sfugge tuttavia, anzi colpisce, che sarà la stessa gente a richiedere la crocifissione del Maestro a Ponzio Pilato, questa volta sobillata dai sacerdoti e dai capi del popolo. L’essere umano è sempre “condotto” dentro una prova, in cui avverte la contrapposizione tra la carne e lo Spirito ed è chiamato a scegliere: “Quelli infatti che vivono secondo la carne, pensano alle cose della carne; quelli invece che vivono secondo lo Spirito, alle cose dello Spirito. Ma i desideri della carne portano alla morte, mentre i desideri dello Spirito portano alla vita e alla pace. Infatti i desideri della carne sono in rivolta contro Dio, perché non si sottomettono alla sua legge e neanche lo potrebbero. Quelli che vivono secondo la carne non possono piacere a Dio” (Rm 8, 5-8).

L’ora, verso cui Gesù ha camminato con consapevolezza, decisione e adesione alla volontà del Padre, è un passaggio di profonda oscurità, che nasconde e addita nello stesso tempo una sfolgorante luce di gloria: non ancora quella della Risurrezione, ma quella altrettanto lucentissima della Passione.

I giorni feriali della Settimana Santa proporranno i Canti del Servo di Jahvè tratti dal profeta Isaia (l’ultimo verrà proclamato proprio il Venerdì Santo): in quei testi si avverte il baratro di sofferenza e di dolore in cui si è sprofondato il Figlio dell’uomo e, al contempo, si sperimenta la potenza di una luce inesorabilmente destinata a dissipare le tenebre dell’ingiustizia e della morte.

Tornano alla mente le parole del vecchio Simeone: Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione” (Lc 2, 34), così come si intravede il balenare della chiarezza del prologo giovanneo: “Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accoltaveniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto. A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1, 2-5; 9-14).

È la stessa esperienza dell’Apostolo Paolo, che così scriveva ai Corinzi: Anch’io, o fratelli, quando sono venuto tra voi, non mi sono presentato ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso. Io venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione; e la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio” (1 Cor 1, 1-5).

La Chiesa si inoltra in un mistero di luce, che ha come traguardo la grandiosa visione conclusiva del libro dell’Apocalisse: “Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio.  La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello… il trono di Dio e dell'Agnello sarà in mezzo a lei e i suoi servi lo adoreranno; vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome sulla fronte. Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà (Ap 21, 22-23; 22, 3-5).

Il racconto della Passione, quest’anno secondo Matteo, si apre con il racconto dell’agonia nel Getsemani: Gesù sperimenta “il potere delle tenebre” (Lc 22, 53), a cui si consegna come prezzo per la redenzione del genere umano. In modo mirabilmente efficace Charles Péguy, nella sua opera “Getsemani”, colloca la Passione di Gesù al centro della storia, momento culminante di tutta una serie di preparativi custoditi dal Padre e ignoti agli uomini. A questo appuntamento della storia Gesù giunge puntuale abbandonandosi alla volontà del Padre e sperimentando la tristezza e l’angoscia della morte: “Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!” (Mt 26, 39).

Il passaggio di Gesù attraverso il mistero della morte, la sua Pasqua, è intensamente carico di tutto il dolore umano e dell’angoscia vissuta da ogni persona nel momento del trapasso come dall’intera umanità nei molteplici drammi che la affliggono e la consumano. La triste esperienza di questi giorni funestati dalla pandemia da Coronavirus restituisce spesso la testimonianza che le vittime muoiono da sole. Non si tratta soltanto di solitudine fisica ma esistenziale, come avverte anche il testo poetico di un cantautore italiano: “quando si muore, si muore soli” (De André, Il Testamento).

Gesù nella sua agonia, sofferta per amore, ha avuto paura, ha temuto la morte esprimendo due particolari sentimenti: da una parte la lacerante coscienza della debolezza della carne e l’inteso bisogno della compagnia dei suoi amici, che invece, oppressi dal sonno e dalla paura, lo hanno abbandonato.

Si sta compiendo quanto previsto all’inizio del ministero di Gesù al momento della tentazione,dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato” (Lc 4, 13), ed Egli prega per affrontare la dura battaglia invitando i discepoli, e noi con loro, a pregare per “non entrare in tentazione” (Lc 22, 40).

Il dolore e la morte non rappresentano soltanto una inevitabile evenienza “biologica”, ma costituiscono un’occasione di prova decisiva per la risposta dell’uomo all’amore di Dio e alla sua alleanza, cui corrispondere nel pieno affidamento e nella totale libera obbedienza, come attestato fin dal racconto della creazione. In tale scenario, oggi come allora, si insinua il tentatore per strappare l’uomo alla fiducia in Dio facendolo prima presumere di autosufficienza per precipitarlo poi nella disperazione come accaduto per Giuda.

La scena è sempre collocata in un giardino, come allora l’Eden ora l’Orto degli ulivi. E, secondo la splendida espressione della liturgia, “chi dall’albero traeva vittoria, dall’albero è stato sconfitto”. Gesù insegna a pregare per essere “liberati dal male e per non entrare in tentazione” (cfr. Mt 6, 13). Nell’evento misterioso del Calvario il cielo squarciato come il velo del tempio lascia intuire una luce potente, che nulla potrà ormai offuscare, e ciò accade per il singolare mistero di Colui che “umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2, 8).

Cito ancora Péguy, che nella preghiera di Gesù “fiat voluntas tua” evidenzia “concordanza, consonanza e sovrapposizione” al “fiat lux” della creazione del mondo.

I giorni della Settimana Santa conducano i credenti a rivivere con stupore e gratitudine il sacrificio di Gesù per la salvezza del mondo diventando anche testimoni e missionari per tanti ancora nel buio dell’ignoranza e dell’incredulità che “in nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (At 4, 12).

Terminando qui il mio contributo per le domeniche di Quaresima, mentre ringrazio per la possibilità offertami, auguro a tutti una vera e santa Pasqua: sfolgorante sia la luce, grande la pace e sovrabbondante la speranza.

* Vescovo di Ventimiglia-Sanremo

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