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FINANZA

Generali, addio di Geronzi E' la rivincita del mercato

Il presidente dimissionario era l'espressione di un complesso intreccio tra politica e finanza. Ma il futuro è ancora poco chiaro.

Attualità 07_04_2011
geronzi

Le dimissioni di Cesare Geronzi
dalla presidenza delle Generali sono state sicuramente una sorpresa: ma nei tempi, non certo perché dopo le polemiche degli ultimi mesi non fosse prevedibile (anche se non certa) una soluzione di questo tipo.


Era infatti sempre più evidente che al vertice della più grande società italiana si stesse combattendo una battaglia tra due linee strategiche decisamente opposte. Da una parte la linea del presidente, ancorata ad una visione di potere da gestire secondo interessi compositi, con un rapporto diretto con la politica, con la difesa di partecipazioni tutt’altro che in linea con quella che dovrebbe essere la strategia di una grande compagnia di assicurazione.


Dall’altra la linea dei contestatori, tra questi l’industriale Diego Della Valle, che criticavano il fatto che grazie ai grandi mezzi finanziari di cui può disporre la compagnia si fosse impegnata su fronti del tutto estranei, come l’editoria, con la partecipazione al patto di controllo della Rcs da cui dipende il Corriere della Sera, e come la telefonia, con l’ingresso determinante tra i grandi azionisti di Telecom dopo l’uscita della Pirelli.


In effetti le Generali sono state per molto tempo, e lo sono ancora, una società del tutto particolare. In fondo l’unica vera “public company” italiana con un azionista di riferimento come Mediobanca con poco più del 14% e un secondo azionista, il Fondo pensioni della Banca d’Italia, con poco più del 4%; ma il titolo Generali è probabilmente il più diffuso nei portafogli dei piccoli o grandi risparmiatori. Senza dimenticare che le Generali sono l’unica multinazionale italiana sul fronte finanziario con una presenza di 65 paesi e un ruolo di primo piano oltre che in Italia anche in Germania, Francia e Cina. Inoltre l’unica azienda la cui italianità (un termine che adesso sembra essere tornato di moda) è stata paradossalmente difesa per anni, fino alla primavera dell’anno scorso, da un presidente, Antoine Bernheim, espressione degli azionisti francesi.

Tante particolarità a cui si è aggiunta la presidenza di Geronzi, un banchiere di lungo corso, la cui carriera è iniziata in Banca d’Italia, ma poi si è sviluppata attraverso un intreccio di acquisizioni che parte dalla Cassa di risparmio di Roma (in cui entra come direttore generale nel 1982 con una forte spinta da parte di Giulio Andreotti). Dapprima assorbe il Banco di Santo Spirito, poi la Banca di Roma creando un grande gruppo che chiama Capitalia aggiungendovi la Popolare di Brescia e la Cassa di risparmio di Reggio Emilia (due banche di cui evita il dissesto sotto la spinta riconoscente di Banca d’Italia). Nel 2007 è artefice della fusione tra Unicredit e Capitalia e poco dopo viene nominato presidente di Mediobanca, il “salotto buono” della finanza italiana, in cui proprio Unicredit e Capitalia controllavano ognuno il 9% del capitale.


In questa continua ascesa Geronzi ha avuto l’appoggio sia del potere politico, prima della Dc e poi del centro-destra,  sia della Banca d’Italia, soprattutto negli anni di Antonio Fazio, anni il cui il riassetto del sistema del credito aveva creato grossi rischi di instabilità.

Al vertice di Generali quindi Geronzi è arrivato indubbiamente grazie alla sua capacità di banchiere, ma anche sull’onda di una logica politica che vede il sistema economico e finanziario da una parte soggetto al potere, dall’altra sostenitore del potere. E’ questo un dato di fatto prima di essere un giudizio di valore: nel sistema bancario infatti la stabilità è un valore essenziale ed è anche compito della politica evitare che gli errori dei banchieri si trasformino in fallimenti delle banche e quindi in un danno per i clienti, i risparmiatori e tutto il sistema economico.


Ma si tratta di un equilibrio difficile e complesso. Nel caso di Geronzi e delle Generali il potere, soprattutto perché interpretato in chiave molto personale, si è spinto troppo in avanti nelle logiche di controllo e di vicinanza alla politica. E questa volta si può dire che il mercato si è opposto e ha battuto un colpo. Facendo valere le proprie ragioni. Ma sapremo presto, con la nomina del successore, se per le Generali e il sistema finanziario è arrivato veramente il tempo della svolta.