Ferrovie allo sbando, la privatizzazione può essere il binario giusto
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Guasti frequenti, errori gestionali, scioperi, maltempo, suicidi, surriscaldamento di impianti. C’è sempre qualcosa che impedisce ai treni di arrivare in orario, nonostante i proclami trionfalistici di Trenitalia. E dopo il caos di mercoledì a Roma il tema è urgente. Privatizzare? Difficile, ma potrebbe essere la strada giusta per porre fine all'indecorosa situazione attuale.
- La pazienza del pendolare, di Andrea Zambrano
La vita dei pendolari è notoriamente faticosa perché viaggiare in Italia, soprattutto dopo il Covid, è diventato davvero faticoso. Il livello dei servizi di trasporto ferroviario è nel complesso peggiorato e la penuria di risorse rende problematico garantire una manutenzione affidabile degli impianti e delle linee.
Sui social imperversano foto di cartelloni sui quali scorrono, nelle principali stazioni ferroviarie, i ritardi di ore accumulati dalle cosiddette Frecce, che sono sempre meno frecce e sempre più lumache. Per non parlare delle soppressioni quotidiane di treni regionali.
Le cause sono ben note: guasti frequenti, errori gestionali, scioperi, maltempo, suicidi, surriscaldamento di impianti. C’è sempre qualcosa che impedisce ai treni di arrivare in orario, nonostante i proclami trionfalistici di Trenitalia che elogia la puntualità dei suoi convogli e snocciola cifre e statistiche che la attesterebbero. La vita concreta di milioni di italiani che viaggiano è però ben altra cosa.
Due giorni fa l’ennesima paralisi della circolazione dei treni per un banale guasto in una stazione vicino Roma. Pare che un chiodo sia stato conficcato in un cavo e l’abbia tranciato, mandando in tilt i collegamenti. L’ennesimo inconveniente non è rimasto senza conseguenze perché, al di là degli enormi disagi per milioni di viaggiatori, che hanno ritardato di due o tre ore la partenza o l’arrivo a destinazione, c’è stata l’immediata decisione di Reti ferroviarie italiane (Rfi) di sospendere il contratto alla ditta Str92 responsabile del guasto. Anche la polizia ferroviaria ha avviato un’indagine amministrativa per chiarire le cause di quanto accaduto. Peraltro strascichi ci sono stati anche ieri, con circolazione ancora rallentata, ritardi e cancellazioni di treni. Ma, vien da dire, come può essere che l’errore di un operaio possa mettere in ginocchio un intero Paese, visto che il trasporto su rotaia assorbe comunque una fetta consistente del traffico commerciale e professionale?
E’ presto per tirare conclusioni, ma certo è che episodi del genere si ripetono con sempre maggiore frequenza. E’ comprensibile che in molti puntino il dito contro il Ministro dei trasporti e delle infrastrutture, Matteo Salvini, che troppo spesso sembra distratto e intento a fare altro anziché occuparsi dell’odissea dei viaggiatori. La sua ostinazione nel voler portare a termine al più presto il progetto del Ponte sullo Stretto viene visto da alcuni come una vera beffa, visto che le risorse necessarie per quell’opera potrebbero invece essere molto utili per ammodernare la rete ferroviaria e potenziare alcuni collegamenti strategici tra le grandi città, anche nel sud Italia e nelle isole.
Ma a onor del vero va detto che Salvini ha trovato una situazione già gravemente compromessa da anni e anni di politiche sbagliate nel campo del trasporto ferroviario. Il sovraccarico dei nodi urbani rappresenta una questione insoluta e che anzi si è aggravata, compromettendo la funzionalità dell’intera rete. La gente si illude di poter prendere un treno ogni dieci o venti minuti per Roma o per Milano o per altre grandi città, ma la verità è che sostenere un traffico del genere e promettere alla gente di arrivare puntuali a destinazione significa prenderla in giro. Con le attuali dotazioni e risorse il traffico ferroviario non appare sostenibile ai livelli immaginati dai vertici delle Ferrovie dello Stato e dunque occorrerebbe un bagno di umiltà e di sano realismo da parte loro, con una riprogrammazione degli slot e delle tratte.
Forse la strada da percorrere è quella della privatizzazione, ipotesi che ciclicamente si riaffaccia nel dibattito economico e politico. Aprire il capitale di Ferrovie dello Stato (Fs) a investitori privati potrebbe essere un’opportunità per migliorare l’efficienza aziendale e attrarre altri investimenti che possano essere poi impiegati per modernizzare il sistema ferroviario e facilitare gli spostamenti sul territorio nazionale.
Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Ferrovie dello Stato non è una semplice azienda, ma una holding che ha sotto di sè quattro aree di business: dalla rete ferroviaria (Rfi) al servizio trasporto passeggeri sotto le insegne di Trenitalia che a sua volta ha dentro di sé l’Alta Velocita con le Frecce e il trasporto locale. Poi c’è il business delle merci e della logistica e infine la parte immobiliare e delle stazioni.
Intervenire su una struttura così frastagliata, oltre che fortemente politicizzata e lottizzata, non è cosa semplice. Certo è che se lo Stato dovesse vedersi costretto a fare cassa, le linee ferroviarie potrebbero rivelarsi una delle realtà più corpose da mettere sul mercato. Tutto sommato potrebbe essere la strada giusta per porre fine all’attuale indecoroso spettacolo di un sistema ferroviario inefficiente, che scoraggia gli investimenti imprenditoriali ed esaspera i viaggiatori.