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verso il conclave

È il successore di Pietro, non il successore del predecessore

Indietro non si torna, ammonisce il cardinale Reina. Novendiale o comizio? La continuità con Francesco sembra contare più della continuità bimillenaria della Chiesa.

Borgo Pio 29_04_2025
SARA MINELLI - IMAGOECONOMICA

La data del conclave è stata ufficialmente annunciata e mercoledi 7 maggio inizierà la "clausura" per i cardinali elettori chiamati a scegliere il prossimo papa. Che sarà quindi il 266° successore di Pietro, non il primo successore di Francesco. «Ogni Papa deve servire la missione di San Pietro: è servus servorum Dei. Il futuro Papa non è un successore del suo predecessore ma un successore di Pietro», ha ricordato il cardinale Gerhard Müller. Lo ha ricordato anche il generale dei Gesuiti, padre Arturo Sosa Abascal: «È lo Spirito Santo che ha il compito di ispirare l’elezione del successore di Pietro, non di Francesco» (notiamo per inciso che, appunto, lo Spirito ispira, e non detta automaticamente il nome dell'eletto, come peraltro aveva già chiarito Joseph Ratzinger).

"Il successore del predecessore" sembra una frase di Totò e invece è il primo pensiero di chi grida: "Indietro non si torna", come se nel 2013 fosse stata in qualche modo rifondata la Chiesa. È questa l'impressione suscitata da chi teme che si arrestino i processi innescati e i nuovi paradigmi declinati. Esempio lampante è stata l'omelia pronunciata ieri dal cardinale Baldassarre Reina, nel terzo giorno dei novendiali.

Più che ai fedeli radunati a pregare per il pontefice defunto, il cardinal vicario sembrava rivolgersi ai confratelli cardinali chiamati al fatidico voto: «Non può essere, questo, il tempo di equilibrismi, tattiche, prudenze, il tempo che asseconda l’istinto di tornare indietro, o peggio, di rivalse e di alleanze di potere, ma serve una disposizione radicale a entrare nel sogno di Dio affidato alle nostre povere mani». Evocando «un nuovo cielo, una nuova Gerusalemme» (che però ci attendono nell'Apocalisse, non nel prossimo pontificato), ha ammonito (i fedeli o i cardinali?) che: «Di fronte all’annuncio di questa novità non potremmo accondiscendere a quella pigrizia mentale e spirituale che ci lega alle forme dell’esperienza di Dio e di pratiche ecclesiali conosciute nel passato e che desideriamo debbano ripetersi all’infinito, soggiogati dalla paura delle perdite connesse ai cambiamenti necessari». 

Rigetto del passato (slogan ricorrente nei 12 anni di papa Francesco) e ineluttabile continuità con il pontificato appena concluso: «Penso ai molteplici processi di riforma della vita della Chiesa avviati da papa Francesco, e che sconfinano oltre le appartenenze religiose. La gente gli ha riconosciuto di essere stato un pastore universale e la barca di Pietro ha bisogno di questa navigazione larga che sconfina e sorprende. Questa gente porta nel cuore inquietudine e mi pare di scorgervi una domanda: che ne sarà dei processi avviati?».
Dal novendiale al comizio il passo è stato breve. Ma in tutto questo timore che qualcuno provi a voltare pagina (come invece fecero drasticamente nel 2013) non si può fare a meno di scorgere una punta di "neo-indietrismo".