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L'AVVENTURA DEL VIAGGIO - IL PURGATORIO/19

Dopo l'addio di Virgilio, Dante incontra Beatrice

Siamo ormai giunti alle ultime parole che il maestro Virgilio rivolge a Dante prima di scomparire definitivamente dal palcoscenico della Commedia. Il poeta fiorentino è ormai giunto di fronte al Paradiso terrestre, l'Eden abitato un tempo da Adamo ed Eva. Qui Dante incontra per la prima volta Beatrice.

Cultura 19_10_2014
Dante incontra Beatrice

Siamo ormai giunti alle ultime parole che il maestro Virgilio rivolge a Dante prima di scomparire definitivamente dal palcoscenico della Commedia. Il poeta fiorentino è ormai giunto di fronte al Paradiso terrestre, l’Eden abitato un tempo da Adamo ed Eva. Virgilio allora sintetizza il senso di tutto il viaggio compiuto fin qui tra Inferno e Purgatorio. 

Con grande senso di umiltà l’autore dell’Eneide confessa di non poter più aiutare Dante, perché ora gli occorre un’altra guida che lo porti a vedere i Cieli e poi a contemplare la gloria di Dio: «Il temporal foco e l’etterno/ veduto hai, figlio; e se’ venuto in parte/ dov’io per me più oltre non discerno./ Tratto t’ho qui con ingegno e con arte;/ lo tuo piacere omai prendi per duce;/ fuor se’ de l’erte vie, fuor se’ de l’arte./ Vedi lo sol che ’n fronte ti riluce;/ vedi l’erbette, i fiori e li arboscelli/ che qui la terra sol da sé produce». Lo invita, poi, a riposare fintanto che arrivi Beatrice. Infine, lo incorona padrone di se stesso e della sua libertà, ora che si è purificato da tutti i peccati. Se il nostro cuore è pulito e purificato, non può fallire. Questo significa che l’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio e tende per natura alla bellezza, al bene, alla verità, alla giustizia. Queste sono le ultime parole di Virgilio: «Non aspettar mio dir più né mio cenno;/ libero, dritto e sano è tuo arbitrio,/ e fallo fora non fare a suo senno:/ per ch’io te sovra te corono e mitrio». 

Dante ha di fronte a sé il Paradiso terrestre, ovvero l’Eden, descritto come un locus amoenus: «una divina foresta» attraversata da un fiume, il famoso Lete di reminescenza classica e virgiliana, le cui acque fanno dimenticare a chi le beve il male compiuto. Pudica e rivestita di candido riserbo, vi si staglia Matelda, simbolo di quella condizione di felicità umana e terrena che l’uomo aveva prima del peccato originale. Scopriremo, poi, che il suo compito è quello di condurre le anime agli ultimi due riti di purificazione attraverso il fiume Lete e il fiume Eunoe: bevendo l’acqua del primo, il poeta dimenticherà il male compiuto mentre l’acqua del secondo gli permetterà di ricordare il bene compiuto.

 

Nel bosco Dante assiste ad una processione allegorica su cui ci soffermeremo la prossima volta. Basti per ora ricordare che sette candelabri aprono la processione, seguiti da ventiquattro anziani che precedono un carro. A un certo punto si alza la voce di uno degli anziani che per tre volte grida Veni, sponsa, de Libano, espressione tratta dal Cantico dei cantici nel quale si racconta in chiave metaforica dell’amore tra l’anima e Dio o anche dell’amore di Cristo per la sua sposa, la chiesa. Gli angeli che si alzano in volo sul carro rispondono in coro Benedictus qui venis, «Benedetto colui che viene». È la frase con cui il Signore Gesù è accolto in Gerusalemme la domenica delle palme, la settimana prima della Pasqua. Le espressioni preludono all’apparizione di una donna coperta da una nuvola di fiori. Un velo bianco, un mantello verde e una veste rossa ricoprono la donna, che Dante non vede in volto, ma riconosce come la donna amata: Beatrice. 

Bianco, verde e rosso sono simboli delle tre virtù teologali: fede, speranza e carità. Le frasi che introducono la comparsa della donna rivelano la sua natura cristofora: Beatrice è portatrice di Cristo, è accompagnatrice dell’uomo verso Dio. Il poeta ha portato a compimento l’intuizione della donna angelo propria del Dolce Stilnovo. Se in Guinizzelli e nella prima produzione dantesca ancora esisteva il rischio dell’idolatria dell’amore, ora appare chiaro come la visione dell’amore sia stata del tutto purificata e la donna appaia come compagnia verso Cristo, segno dell’amore di Dio per noi. La stessa bellezza si manifesta ora pienamente nella sua natura rivelatrice della verità e della carità. La bellezza di Beatrice è via per accedere a Dio.

Quando Dante comprende di trovarsi di fronte alla donna amata, si volta per guardare in volto il maestro Virgilio e dirgli: «Men che dramma/ di sangue m’è rimaso che non tremi:/ conosco i segni de l’antica fiamma». Questo è l’estremo omaggio che il poeta porge al maestro avvalendosi dei versi che Virgilio aveva utilizzato nell’Eneide per descrivere il nuovo innamoramento di Didone, che, perso Sicheo, dopo tanti anni si innamora di nuovo di Enea. A questo punto, Dante viator fa l’amara scoperta: «Virgilio n’avea lasciati scemi/ di sé, Virgilio dolcissimo patre,/ Virgilio a cui per mia salute die’mi». Tre volte compare il nome «Virgilio», un numero particolare, dal valore sacrale. Il maestro se n’è andato senza un abbraccio, disdegnando i lunghi addii, senza profusione di lacrime. Lo ha lasciato in compagnia della nuova maestra che lo accompagnerà nel cammino verso l’alto e verso Dio. Le lacrime sgorgano sulle guance di Dante, nonostante il poeta sia giunto nel luogo della felicità terrena, l’Eden. 

A questo punto interviene Beatrice e le sue parole sono molto distanti da quelle che noi ci aspetteremmo. Sono dieci anni che lei è salita in Cielo. Se abbiamo pensato che le sue prime parole rivolte a Dante saranno pronunciate con tenerezza e dolcezza, ci siamo sbagliati. Il tono con cui lei parla ha il sapore dell’aspro rimprovero: «Dante, perché Virgilio se ne vada,/ non pianger anco, non pianger ancora;/ ché pianger ti conven per altra spada». Al lettore non sfuggirà che compare per ben tre volte il verbo «piangere», ma soprattutto è la prima e unica volta che ci imbattiamo nel nome di Dante in tutta la Commedia, un’apostrofe non certo casuale. Solo nell’incontro con qualcuno che ci abbraccia così come siamo, possiamo anche noi abbracciarci e così conoscerci, solo nell’incontro con Dio, padre amoroso, incominciamo a capirci. È esperienza per noi di tutti i giorni: solo in un affetto si conosce veramente! Solo nell’incontro con Cristo l’uomo prende reale consapevolezza della natura del proprio cuore che riprende a vivere di nuova vita, quella che è la sua, naturale, risvegliata in tutta la portata delle esigenze di felicità, di giustizia, di amore, di bene. Nell’incontro con Cristo è ridestato e, per così dire, potenziato il senso religioso dell’uomo.

È solo grazie ad un padre che l’uomo può conoscersi e pronunciare, così,  il proprio nome. Anche nel Perceval di Chretien de Troyes il nome del protagonista ci viene svelato solo al verso 3575 dopo che ha compreso la sua vocazione grazie  all’incontro nel bosco con un cavaliere dall’armatura baluginante; in seguito, apprenderà il suo mestiere attraverso l’educazione di un maestro alla corte di Re Artù. Il tono di Beatrice rimane duro anche nelle battute successive rivolte a Dante: «Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice./ Come degnasti d’accedere al monte?/ non sapei tu che qui è l’uom felice?». Come mai, chiede la donna, tu, o Dante, sei triste anche se ti trovi nel Paradiso terrestre, dove l’uomo è di solito felice? L’aspro rimprovero di Beatrice fa sì che gli angeli le chiedano perché lo avvilisca in tal modo.  La prossima volta vedremo la risposta di Beatrice e come proseguirà la storia nell’Eden.