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DIPLOMAZIA

Dopo gli accordi con Teheran, quale ruolo per l'Italia

Le relazioni con Teheran non equivalgono ad una legittimazione. Tenendo ben presente questo concetto, gli accordi conclusi con l'Iran sono positivi. Ed ora l'Italia ha l'occasione di ricominciare ad avere con il grande paese rivierasco del Golfo, delle relazioni economiche e culturali che esistono dai tempi di Mattei.

Politica 16_07_2015
Enrico Mattei

Quale che sia il governo dell’Iran e quali che siano le sue intenzioni, una politica per il Medio Oriente fatta cercando di prescindere da un Paese che è il più vasto e uno dei più sviluppati dell’area non ha senso in ogni caso. E ciò tanto più vale tenuto conto degli Stati con cui confina - che vanno dall’Afghanistan alla Turchia e all’Iraq, dall’Armenia all’Azerbaigian, dal Turkmenistan al Pakistan – nonché del fatto che è il maggior Paese rivierasco del Golfo (detto perciò sia arabico che persico).

Sarebbe al riguardo il caso di liberarsi da un equivoco: diversamente da quanto pretendono le diplomazie americana e soprattutto israeliana, le relazioni diplomatiche non equivalgono a una legittimazione. Sono soltanto il riconoscimento del fatto che uno Stato esiste e che quindi della sua esistenza si tiene conto. Nella misura in cui servono soprattutto a far uscire l’Iran dall’isolamento diplomatico e in parte anche economico, gli accordi siglati l’altro ieri fra Teheran le grandi potenze vanno comunque giudicati positivamente. Poi si tratta di vedere come gestirli. In tale prospettiva ciò che deve innanzitutto preoccupare non è tanto la questione nucleare. In primo luogo gli Stati Uniti hanno il dominio totale della telecomunicazione planetaria; quindi nessun missile strategico può venire lanciato e pilotato senza il loro consenso e  contro la loro volontà. In secondo luogo l’Iran non ha l’autonomia tecnologica che è necessaria per dotarsi di armi nucleari. Al massimo può fabbricare una mina nucleare da far esplodere in un poligono a titolo dimostrativo. In terzo luogo, se Teheran andasse oltre tali limiti, Israele, che è comunque il martello degli Stati Uniti nell’area, su incarico e con l’assistenza tecnica di Washington provvederebbe (come già altre volte ha fatto) a bombardare gli impianti sospetti. 

In cambio dell’uscita dal suo isolamento è più importante esigere da Teheran un impegno positivo in vista della soluzione delle crisi siriana e irachena. In tale prospettiva il vero limite degli accordi recentemente siglati è che ancora una volta sono ispirati soltanto a logiche di potenza: si mira semplicemente a stabilizzare una tregua, e non invece a  costruire una pace fruttuosa e conveniente per tutti. In questo quadro si aprirebbe uno spazio importante per il nostro Paese.  L’Italia ha con l’Iran relazioni così forti e strutturali che, benché fossero nate ai tempi del regime dello Scià, non sono poi mai state rimesse in discussione dalla Repubblica islamica. E’ una storia che inizia nel 1957 quando, approfittando della crisi di Suez, l’Eni di Enrico Mattei riuscì  a concludere un importante accordo petrolifero con l’Iran dove fino a quel momento le grandi compagnie inglesi e americane avevano il monopolio dell’estrazione di idrocarburi. Enrico Mattei morì qualche anno più tardi, nel 1962, vittima di un sospetto incidente aereo.  Non vogliamo però soffermarci qui sulla vicenda, peraltro assai nota.

Ci interessa piuttosto sottolineare che, malgrado ogni ulteriore vicissitudine, i rapporti preferenziali dell’Iran con il nostro Paese sono rimasti spesso “congelati” ma non sono mai venuti meno del tutto. Converrebbe pertanto non solo a noi ma a tutto l’Occidente che l’Italia assumesse un ruolo di rilievo nel processo di normalizzazione delle relazioni con Teheran: relazioni che occorre si dispieghino contemporaneamente a vari livelli, da quelli più tipicamente economici a quelli più tipicamente culturali, se non si vuole alimentare anche nel caso della gioventù dell’Iran, cuore dell’islam sciita, quel disastroso “cocktail” di complesso d’inferiorità sul piano tecnico-scientifico da una parte e di ribrezzo per quanto più appare dei nostri costumi dall’altra, che tanto terrorismo sta già alimentando nei Paesi musulmani sunniti, sin qui sempre rimasti a contatto con l’Occidente, e nei loro immigrati in Europa.