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ANNIVERSARIO

Divorzio, tutto previsto: rimedio peggio del male

L'articolo fu scritto nel 1964 da Piero Ottone. Ma come giudicare oggi 40 anni di legge sul divorzio?
-Contro il divorzio, di Piero Ottone

Attualità 09_12_2010
divorzio Tanti hanno pensato a Norberto Bobbio, qualcuno ha indicato Indro Montanelli, ma in diversi hanno anche indovinato che l’autore dell’articolo contro il divorzio era Piero Ottone. L’articolo è apparso il 28 novembre 1964 su Il Corriere della Sera, giornale di cui Ottone divenne poi direttore. E lo era ancora, nel 1974, quando il quotidiano milanese, in occasione del referendum, si schierò contro l’abrogazione della legge sul divorzio. Ecco comunque una riflessione a quarant'anni dall'approvazione della legge.

Il 1 dicembre del 1970 il Parlamento italiano approvava definitivamente la legge sul divorzio. Otto anni più tardi veniva depenalizzato l’aborto. Simile nei due casi l’argomento portato a sostegno dei due provvedimenti legislativi: la volontà di portare alla luce del sole una realtà preesistente, regolamentarla e ridurne la dannosità. Del tutto fuorviante era peraltro l’identificazione del problema nel caso dell’aborto; ci si limitava infatti a considerare le conseguenze negative del fenomeno per le donne e non, prioritariamente, quelle per gli esseri umani che venivano soppressi. Come se, nel caso di una rapina a mano armata, il bene primario da tutelare fosse la salute del rapinatore e non la vita degli assaliti.

A quasi trent’anni dalla promulgazione della 194, i sostenitori della legge continuano a difendere la bontà del provvedimento sulla base della constatazione che, dopo la depenalizzazione, il ricorso all’aborto è diminuito. Ma è un argomento che non regge alla verifica empirica. Non è affatto vero che la legalizzazione abbia portato ovunque ad una diminuzione del ricorso all’aborto. Se in Italia il numero di aborti legali è aumentato dai 187mila casi del 1979 fino ai 228mila nel 1994 per poi ridursi ai 117mila casi del 2009, in altri Paesi l’evoluzione è stata assai differente. Né la Francia né il Regno Unito, ad esempio, negli ultimi trent’anni hanno fatto registrare un calo del tasso di abortività (numero di aborti per mille donne in età fertile); e in Svezia, lontanissima dalla “nefasta” influenza della Chiesa cattolica e patria dei “diritti alla salute riproduttiva”, negli ultimi dieci anni il numero di interruzioni volontarie di gravidanza è aumentato di oltre il venti percento ed il tasso di abortività è oggi doppio rispetto a quello italiano.

A non voler pensare male, chi sostiene che la diminuzione del ricorso all’aborto sia conseguenza della sua legalizzazione, commette la classica fallacia del post hoc, propter hoc. Ma, alla luce dello stesso criterio di valutazione, quale conclusione dovremmo trarre con riferimento al divorzio? Come scriveva Piero Ottone sul Corriere della Sera del 28 novembre 1964: “conosciamo benissimo gli argomenti a favore del divorzio. Marito e moglie non vanno d’accordo; diventano nemici l’uno dell’altra; si irritano a vicenda in ogni momento della giornata, a ogni parola che dicono. Perché costringerli a rimanere insieme fino all’ultimo dei loro giorni? A un certo momento vi è la possibilità che il marito si innamori di un’altra donna, o la moglie di un altro uomo, o tutt’è due le cose insieme, e allora si creano quelle che si chiamano comunemente situazioni “false”. Il divorzio ha il vantaggio di riparare l’errore di un matrimonio sbagliato e permette di ricominciare”.
 
Ma, proseguiva l’allora editorialista del Corriere, “il divorzio presenta uno svantaggio ancora maggiore. Esso uccide, o riduce fortemente, la volontà dei coniugi di compiere ogni possibile sforzo per salvare un matrimonio pericolante. Dobbiamo ricordare innanzitutto che ogni matrimonio, prima o dopo, corre qualche serio pericolo. Che cosa succede in questo momento pressoché inevitabile in qualsiasi unione matrimoniale, se esiste la possibilità del divorzio? La possibilità di uscire da una stanza in cui si sta scomodi genera un potente, quasi irresistibile desiderio di uscire, senza tentare di rendere quella stanza, quanto più possibile, comoda e abitabile. Ne consegue che l’istituto del divorzio, anche se ha il vantaggio di sanare di tanto in tanto le situazioni insostenibili, ha il gravissimo difetto di indebolire la fibra morale dei cittadini. Esso fa di loro, uomini e donne, persone che fuggono davanti alle difficoltà, e non persone che le affrontano con coraggio”.

Netta la conclusione di Ottone: “Lo Stato, per la salvezza della famiglia, che è un istituto di importanza ovvia, e per la felicità della maggioranza dei cittadini, fa quindi bene a non permettere il divorzio, anche se questo sacrifica l’esistenza di una minoranza verso i quali tutti sentiamo, si capisce, una profonda comprensione”. A quaranta anni di distanza possiamo dire che le previsioni di Ottone si sono pienamente avverate.

Come noto, il numero di separazioni e di divorzi è in costante ascesa: nel 2008 si sono registrati oltre 54mila divorzi a fronte dei 27mila del 1995 (le separazioni sono aumentate da 52 mila a 94mila); nello stesso periodo il tasso di divorzio è cresciuto da 79 a 179 per mille matrimoni (quello delle separazioni da 158 a 285). Qualcuno può davvero sostenere che le conseguenze negative della legalizzazione non siano state assai più gravi del male cui si voleva porre rimedio?

francesco.ramella@libero.it