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Ora di dottrina / 169 – La trascrizione

Discese agli inferi (II parte) – Il testo del video

Chi è stato liberato da Gesù nella sua discesa agli inferi? E chi, invece, non è stato liberato? La differenza tra i giusti e i dannati. La sorte dei bambini morti senza battesimo e quella delle anime del Purgatorio: le risposte di san Tommaso.

Catechismo 29_06_2025

Oggi vediamo la seconda parte del commento alla quæstio 52 che tratta la discesa del Signore agli inferi. La scorsa volta abbiamo visto che cosa sono gli inferi, che cosa dobbiamo intendere quando diciamo che Cristo «discese agli inferi». E abbiamo visto che, se intendiamo gli effetti della potenza della risurrezione di Cristo, questi inferi coincidono con tutte le dimensioni dell’inferno, cioè con l’Inferno propriamente detto, ma anche con tutte quelle condizioni che sono ancora prive della gloria, ma non sono condannate alle pene eterne, come il Purgatorio e il Limbo dei Padri. Abbiamo anche visto, in relazione invece alla presenza dell’anima del Signore risorto, che egli discese agli inferi, intesi solamente come il Limbo dei Patriarchi o il Limbo dei Padri.

Abbiamo anche fatto un piccolo focus sull’importanza, sulle conseguenze dell’unione ipostatica, come Cristo fosse unito nella sua persona al corpo e all’anima – che tra loro erano separati a causa della morte –, e come dunque sia corretto attribuire al Signore stesso la discesa agli inferi, nonostante fosse lì presente solo con la sua anima, così com’è corretto dire che il Signore è stato sepolto, nonostante nel sepolcro fosse finito solamente il suo corpo.

Oggi vediamo gli ultimi articoli della quæstio 52 che hanno a che fare con chi è stato liberato; il Signore Gesù, nella discesa agli inferi, chi ha liberato? La risposta giusta la troviamo nell’art. 5. Cioè, propriamente, a essere liberati da questa discesa del Signore agli inferi e poi dalla sua ascensione al cielo sono stati i cosiddetti “patriarchi”. Per patriarchi non dobbiamo intendere solo quelli che tradizionalmente, ufficialmente, riteniamo essere i patriarchi dell’Antico Testamento – come Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, fino a san Giuseppe e san Giovanni Battista – ma tutti i giusti dell’Antica Alleanza e tutti i giusti prima di Cristo che in qualche modo hanno atteso, hanno sperato nella venuta di Dio per la salvezza dell’uomo.

Dunque, nell’art. 5 san Tommaso fa una distinzione fondamentale che aiuta a comprendere anche chi non è stato liberato da questa discesa agli inferi. San Tommaso richiama la dottrina classica sul che cosa ha meritato all’uomo il castigo. E lui dice che tale castigo è stato meritato per due motivi: «Primo, per il peccato attuale, che ciascuno aveva commesso personalmente. Secondo, per il peccato di tutta la specie umana, derivato per via d’origine dal nostro progenitore» (III, q. 52, a. 5). Teniamo ben presente questa distinzione che molto spesso sparisce dalla nostra prospettiva: i castighi, le conseguenze negative che in qualche modo subiamo in questa vita e nella vita successiva derivano dalle nostre colpe. E fin qui non ci piove, nel senso che questo è qualcosa che possiamo più “facilmente” comprendere, anche se questo è un po’ un tabù, visto che oggi è sempre più difficile parlare di castighi e di conseguenze delle colpe. Ma è così.

E qui risalta ancora di più la questione del peccato originale: cioè, questo peccato, che è commesso dai progenitori e che quindi per via di origine discende dai progenitori a tutta la discendenza umana, ha portato altre conseguenze. San Tommaso dice: «Il castigo di questo peccato [originale] è la morte corporale e l’esclusione dalla vita della gloria» (ibidem). Il peccato originale ha comportato essenzialmente due castighi: 1) il fatto che l’uomo d’ora in avanti doveva morire, cioè doveva subire la separazione della sua anima dal suo corpo, separazione che non era prevista nel piano di creazione del Signore: la morte non è entrata nel mondo per creazione; 2) «l’esclusione dalla vita della gloria», e anche questa non era prevista. Cioè l’uomo, vivendo nella grazia, sarebbe passato alla gloria senza la morte. Il peccato originale fa entrare la morte e ci fa perdere la vita della gloria.

Continua Tommaso: «Perciò Cristo, discendendo agli inferi, prosciolse i giusti, in virtù della sua passione, da questo reato di pena che li escludeva dalla vita della gloria, cioè dalla visione di Dio per essenza, nella quale consiste la perfetta beatitudine dell’uomo. Ora, i santi patriarchi erano detenuti nell’inferno per il fatto che non era aperta per essi la via alla vita della gloria, a motivo del peccato dei nostri progenitori» (ibidem). Dunque, il mistero della discesa agli inferi è il mistero della liberazione di tutte le anime dei giusti prima di Cristo da questa conseguenza del peccato originale, cioè la privazione della gloria. Questa è la grande svolta portata dalla passione del Signore.

Prima della passione del Signore, più nello specifico prima del mistero della redenzione (quindi la sua passione, la discesa agli inferi, la sua resurrezione, la sua ascensione al cielo), gli uomini non potevano godere di Dio, non potevano entrare nella gloria, avevano perduto questo che è il tesoro per eccellenza dell’uomo, quello a cui il Signore si riferisce quando dice: «Fatevi tesori nel cielo, dove i ladri non scassinano, dove la tignola non corrompe» (Mt 6,20). Di questo eravamo rimasti privi. La discesa agli inferi, la liberazione dei patriarchi, indica la liberazione da questo castigo. Ed è qui che la vittoria di Cristo ha effetto immediato perché, ancora oggi, noi che moriamo, se moriamo nella grazia di Dio, non siamo più privati della gloria ma abbiamo accesso alla gloria. Questo è l’effetto più radicale ma anche più immediato e permanente della passione del Signore, perché invece sappiamo che per la sconfitta della morte corporale dovremo attendere il ritorno di Cristo e la risurrezione della carne.

Nella risposta alla seconda obiezione, san Tommaso dice: «I santi patriarchi durante la vita furono liberati per la fede in Cristo da ogni peccato, sia originale che attuale, e dal reato della pena dovuta ai loro peccati attuali: ma non dal reato della pena dovuta al peccato originale, che li escludeva dalla gloria, non essendo stato ancora sborsato il prezzo della redenzione umana» (III, q. 52, a. 5, ad 2). I patriarchi sono stati liberati in virtù della loro fede in Cristo, una fede chiaramente nel Cristo venturo, quindi non ancora venuto: è questo che li ha liberati dal peccato originale e dal peccato attuale. Liberati dal peccato originale con una sorta di battesimo di desiderio (lo vedremo quando tratteremo i sacramenti, ma intanto lo anticipiamo, per capirci): hanno vissuto una sorta di battesimo di desiderio e, nel caso dei discendenti di Abramo, la circoncisione, che era figura del battesimo, e sono stati liberati dal peccato attuale grazie appunto alla fede nel Cristo venturo. La loro stessa fede, le buone opere li hanno liberati dal reato della pena dovuta ai loro peccati personali, attuali, ma non dal reato della pena dovuta al peccato originale. Poiché Cristo non si era ancora incarnato e non aveva ancora redento gli uomini con la sua passione, morte e risurrezione, essi non erano stati ancora liberati da questa pena dovuta al peccato originale, cioè dalla privazione della gloria. Ecco dunque che questa discesa agli inferi li riscatta: la visione di Cristo li risana o, meglio, li priva di questa pena e li lega a Sé per portarli in cielo, trionfante, nel giorno della sua ascensione.

Ora vediamo invece chi non è stato liberato da Cristo nella sua discesa agli inferi: i dannati, cioè quelli che risiedono propriamente nell’Inferno. Tommaso, nell’art. 6, spiega: «Cristo, discendendo agli inferi, agiva in virtù della sua passione. Perciò la sua discesa portò il frutto della liberazione a quelli soltanto che si erano congiunti alla sua passione mediante la fede informata dalla carità, la quale è in grado di togliere i peccati» (III, q. 52, a. 6). Attenzione: Cristo non salva, possiamo dire così, senza la fede informata dalla carità. Bisogna fare molta attenzione a questo: certamente è Cristo che salva; e Cristo salva mediante i sacramenti della Chiesa; ma prima che ci fossero i sacramenti e anche dopo, questa salvezza non è come una botta che mi capita in testa senza che io me l’aspetti; quella può essere la grazia iniziale: a volte il Signore opera così, ci sono delle conversioni eclatanti in cui uno resta, come si suol dire, folgorato sulla via di Damasco, ma qui si sta parlando di qualcos’altro. La salvezza eterna non esiste senza la fede informata dalla carità. Perché? Perché la salvezza è la contemplazione di Dio nell’amore, dunque se non c’è la fede non ci può essere la visione, perché la fede è il germe della visione. Se non c’è la carità in questa vita non ci può essere la carità nella vita eterna.

E dunque, attenzione, san Tommaso ci dice: i patriarchi sono stati liberati nel senso che abbiamo visto prima, proprio perché nella loro vita hanno esercitato la fede informata dalla carità, operante mediante la carità. Prosegue Tommaso: «Ora, quelli che si trovavano nell’Inferno dei dannati [dove chiaramente si trovano tuttora], o non avevano avuto per nulla la fede nella passione di Cristo, come gli infedeli, oppure, se avevano avuto la fede, non avevano avuto alcuna conformità con la carità di Cristo sofferente» (ibidem). San Tommaso ci sta dicendo che chi è all’Inferno vi si trova o perché non ha avuto la fede o perché questa fede non era informata dalla carità, era una fede morta. Perciò, quanti prima di Cristo non avevano avuto la fede informata dalla carità non hanno potuto salvarsi dalla dannazione eterna, e dunque non sono potuti entrare nel cosiddetto Limbo dei Padri, e poi non hanno potuto godere di questa liberazione per entrare nella gloria.

E questo è evidente, perché l’entrata nella gloria è possibile per coloro che in qualche modo si sono disposti a questa gloria mediante la fede informata dalla carità. Dunque, san Tommaso ci dice di fare attenzione: quando parliamo di questa liberazione ad opera di Cristo, non dobbiamo pensare alla liberazione dei dannati, perché l’Inferno è una realtà eterna, definitiva, nella quale le anime vi sono precipitate non per colpa del Signore ma per colpa propria, per la loro mancanza di fede e/o per la mancanza della carità che informa la fede.

Nella risposta alla terza obiezione, san Tommaso spiega: non dobbiamo pensare allora che questa sia una sorta di diminuzione della potenza della passione del Signore. Infatti, egli afferma: «Il fatto che non ci fu la liberazione di qualche individuo in qualsiasi stato dei dannati nell’Inferno, come in qualsiasi stato o condizione delle persone esistenti nel mondo, non va attribuito all’impotenza di Cristo, ma alla loro diversa condizione. Poiché gli uomini, finché sono in vita, possono convertirsi alla fede e alla carità, non essendo nella vita presente stabiliti nel bene o nel male come dopo la morte» (III, q. 52, a. 6, ad 3). San Tommaso ci sta dicendo che, finché siamo in questa vita, la potenza di Cristo, la passione di Cristo può strappare dall’Inferno le anime che con il loro rigetto della fede, con il loro calpestare la carità si dispongono ad entrarvi. Ma una volta giunta la morte, le anime sono stabilite nella disposizione che liberamente hanno scelto. Dunque, il fatto che i dannati non possano essere salvati non è un’impotenza di Cristo, ma è precisamente la loro condizione. La potenza di Cristo può salvare una persona fino all’ultimo istante della sua vita, anche nei casi più disperati, ma non può salvare i dannati: e questo non per un’impotenza, ma precisamente perché la loro condizione, liberamente scelta e confermata, li ha posti al di fuori, in modo permanente, della salvezza offerta anche a loro, ma da loro rifiutata.

Adesso vediamo l’art. 7, incentrato su un argomento molto delicato, cioè se Cristo abbia liberato i bambini morti senza battesimo, presenti nel Limbo dei bambini; e l’art. 8, dove ci si chiede se abbia liberato le anime del Purgatorio. Anticipiamo che in entrambi i casi la risposta di san Tommaso è negativa: cioè, Cristo non ha liberato queste anime dalle loro condizioni. Adesso cerchiamo di capire. Andiamo dunque all’art. 7, tema appunto estremamente delicato: adesso vediamo cosa scrive san Tommaso, anche se potrei tornarci con un focus ad hoc, perché la questione del Limbo dei bambini è obiettivamente dibattuta; quindi non voglio che vi manchi la percezione del fatto che c’è un dibattito aperto e quali sono gli elementi in gioco in questo dibattito. E bisogna anche fare attenzione a non prendere delle derive né in un senso né in un altro, perché, legati a questa questione, ci sono una serie di addentellati importantissimi per la fede cattolica.

Dunque, nell’art. 7, san Tommaso ci dice che i bambini morti senza il battesimo non possono entrare nella gloria eterna: perché? Anzitutto perché non hanno potuto avere la fede. Qui parliamo di bambini morti prima dell’uso della ragione, dunque prima della possibilità di esprimere un atto di fede, che richiede chiaramente un lume, per quanto incipiente, di ragione e di libertà. Secondo, perché non avevano avuto una fede propria, perché non avevano ancora l’uso della ragione, del libero arbitrio: non che non l’avessero in potenza, ma di fatto non potevano esercitarlo. Non potevano essere mondati per la fede di un altro, dei genitori in questo caso, perché la fede di un altro non è la fede propria, questo è importante comprenderlo. Ad essere redentivo, in virtù della passione del Signore, è l’atto di fede della persona, che è non delegabile.

Ancora, non potevano essere liberati grazie ai sacramenti della fede, come avviene nel battesimo dei bambini oggi. Uno potrebbe dire: “Ma i bambini non sono consapevoli”. In quel caso non viene chiesta la loro fede, bensì la fede dei loro genitori; e vengono però salvati – attenzione – non direttamente in virtù della fede dei genitori, ma in virtù del sacramento del battesimo.

Dunque, nel caso dei bambini morti senza battesimo non abbiamo nessuna di queste situazioni: né la fede propria, né la possibilità di essere salvati dalla fede altrui (questo vale per tutti), né la possibilità di essere rigenerati dalle acque battesimali. Nello sviluppo lento e progressivo della riflessione dei Padri e poi della Scolastica, si comprende che questi bambini non avevano colpe proprie; avevano ereditato come tutti gli uomini la pena del peccato originale, ma non avevano commesso colpe proprie, non potevano essere evidentemente nella condizione dei dannati. E tuttavia, per le ragioni che abbiamo appena visto, non possono partecipare della visione beatifica. E dunque si è pensato alla situazione di un Limbo dei bambini, dove questi bambini non soffrono la pena dei peccati propri, che è invece sofferta dalle anime dei dannati, ma non hanno una visione beatifica, hanno una sorta di felicità, di gioia naturale. Ora, che cosa sia questo non è ben chiaro: ho semplicemente illustrato l’articolo di san Tommaso, non entro adesso nel merito dei pro e contro di questa posizione che cercheremo di approfondire in un altro momento.

Per la ragione detta sopra, san Tommaso spiega: «I bambini deceduti col peccato originale (…) non avevano potuto avere una fede propria in quanto privi dell’uso del libero arbitrio e nemmeno avevano potuto essere mondati dal peccato originale attraverso la fede dei loro genitori o grazie a qualche sacramento della fede. Perciò la discesa di Cristo agli inferi non liberò tali bambini dall’inferno» (III, q. 52, a. 7), inteso non come Inferno dei dannati, ma – ricordate la stratificazione di cui abbiamo parlato – inteso come il Limbo dei bambini. Quindi, questa è la posizione di Tommaso: questi bambini non possono essere liberati dalla loro condizione, non possono entrare nella gloria eterna perché questo passaggio nella gloria eterna avviene per coloro che sono morti nella fede in Cristo – il Cristo venturo o il Cristo già venuto –, fede informata dalla carità, e per coloro che, anche se ancora non hanno potuto esercitare questa fede a causa della mancanza del libero arbitrio, sono stati battezzati in Cristo.

Nell’art. 8, invece, san Tommaso si domanda se Cristo abbia liberato le anime del Purgatorio, cioè quelle anime che non sono dannate, ma necessitano di una ulteriore purificazione a causa dei peccati commessi e non espiati in questa vita. Queste anime non si sono lasciate purificare a sufficienza in questa vita e dunque non hanno espiato le loro colpe, sebbene siano morte nella fede nel Signore. Spiega san Tommaso: «Quanti allora [cioè al momento della discesa agli inferi] erano nella condizione di coloro che si trovano attualmente in Purgatorio non furono liberati dalla discesa di Cristo agli inferi. Se invece c’erano allora, come anche adesso, delle anime pronte ad essere liberate in virtù della passione di Cristo, nulla impedisce che esse siano state liberate al momento della sua discesa agli inferi» (III, q. 52, a. 8). In sostanza, se, al momento della discesa del Signore agli inferi, le anime del Purgatorio si erano purificate, avevano espiato le proprie colpe, allora potevano essere liberate; ma se questo non era ancora avvenuto, non potevano essere liberate, perché appunto la condizione delle loro anime non era ancora pronta per poter accedere alla gloria eterna, alla visione beatifica.

Nella risposta alla terza obiezione, san Tommaso fa una interessante precisazione: «Le deficienze da cui Cristo guariva totalmente gli uomini nella vita presente erano personali, proprie a ciascuno di essi. Invece l’esclusione dalla gloria era una menomazione generale, riguardante tutto il genere umano. Perciò nulla impedisce che le anime purganti ricevessero da Cristo la riammissione alla gloria, ma non la liberazione dalle pene del Purgatorio che rientrano tra le deficienze personali» (III, q. 52, a. 8, ad 3). In pratica, possiamo dire che le anime del Purgatorio erano state tutte potenzialmente liberate dalla mancanza della gloria; compiuto il mistero salvifico di Cristo, la sua discesa agli inferi ha liberato potenzialmente queste anime dalla privazione della gloria, ma non attualmente. Cosa vuol dire? Vuol dire quello che dicevamo prima: poiché le pene del Purgatorio sono dovute alle colpe personali, non era da questo che Cristo, discendendo agli inferi, liberava le anime, ma le liberava dalla privazione della gloria eterna, privazione dovuta al peccato originale; ma appunto non le liberava da quelle pene che ciascuno ha dovuto, deve espiare in Purgatorio, dovute non al peccato originale ma alle colpe personali.

Dunque, Cristo libera anche le anime del Purgatorio dalla privazione della gloria eterna, ma non attualmente, nel senso che per poter accedere realmente a questa gloria esse dovevano completare quel percorso di purificazione, quel percorso di espiazione necessario a causa delle colpe personali. Le ha liberate in un certo senso, ma non in un altro, potremmo dire.

Ci rimangono da vedere altri due grandi misteri della vita del Signore che ci terranno occupati ancora per un po’, cioè la risurrezione e l’ascensione al cielo. Prossimamente, come accennato, vorrei fare un focus per presentare un po’ lo status quo della questione tanto delicata del cosiddetto Limbo dei bambini, ossia della sorte di quei bambini morti senza aver potuto ricevere il battesimo. Dunque, parliamo non solo dei bambini non cristiani morti in età infantile, ma parliamo anche di tutti i bambini morti nel grembo delle loro madri a causa dell’aborto, volontario o involontario. È una questione molto complessa e delicata, per questo vi dedicheremo un approfondimento a parte, per vedere qual è la situazione del dibattito teologico su questa questione.



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