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L'EDITORIALE

Crisi dell'acqua, ci vuole lo sviluppo

I rapporti concordano nel rilevare che il problema della mancanza d'accesso all'acqua è legato alle condizioni di sottosviluppo, comprese corruzione e guerre.

Editoriali 22_03_2011

Lo ammettono con qualche difficoltà ma alla fine tutti i rapporti internazionali sull’acqua concordano su un fatto: l’acqua c’è, se oltre un miliardo di persone non vi ha accesso non dipende dalla disponibilità globale, ma da una serie di fattori, soprattutto locali. Basta ricordare che la disponibilità globale pro capite è di circa 5.700 litri al giorno contro un consumo medio che in Europa è di 600 litri, negli Usa di 1.400.

Cosa impedisce dunque l’accesso all’acqua per una parte consistente dell’umanità?
Alcune barriere sono naturali, perché le precipitazioni non si distribuiscono uniformemente sulla superficie della Terra: ad esempio , l’Islanda può contare su una disponibilità di circa 2 milioni di litri pro capite al giorno, mentre il Kuwait arriva a malapena a 30. Le precipitazioni inoltre non si distribuiscono uniformemente durante l’anno. Infine ci sono aree molto ricche d’acqua (vedi i Grandi Laghi in Africa e il bacino del Rio delle Amazzoni) e altre che sono decisamente aride (vedi il Medio Oriente). Eppure mentre i paesi che circondano i Grandi Laghi in Africa sono tra quelli con il maggior numero di persone che non hanno accesso all’acqua, in Kuwait così come in Israele non esiste una vera emergenza acqua.

Segno che le barriere decisive per l’accesso all’acqua stanno nel fattore umano. Per essere più precisi il problema della mancanza di accesso all’acqua è un problema di sottosviluppo, che consiste anzitutto nella mancanza di mezzi – economici e non – per far fronte ai propri bisogni. E’ una evidenza che rovescia il luogo comune secondo cui la scarsità di risorse è causata dall’eccessivo sviluppo e dal relativo consumismo.

Invece è proprio lo “sviluppo umano integrale” – secondo la definizione della “Caritas in Veritate” – la soluzione al problema dell’acqua così come ai problemi tipici di una società dominata dalla povertà, non solo economica.

Una affermazione confermata dall’esame dei singoli aspetti che impediscono l’accesso all’acqua. Due in particolare vanno messi in rilievo,  il primo dei quali sorprendentemente ignorato da tutti i rapporti – dall’Onu al WWF – sulla scarsità d’acqua nel mondo. Stiamo parlando delle guerre. Molto spesso abbiamo sentito lanciare allarmi sul futuro che sarà dominato – si dice – da guerre per mancanza d’acqua. In realtà è vero il contrario: sono le guerre a provocare mancanza d’acqua. Basti pensare che in Africa, il continente che più soffre per l’accesso all’acqua, tra il 1990 e il 2006 vi sono stati ben 23 conflitti. Ogni anno l’Africa perde oltre 18 miliardi di dollari a causa di guerre, guerre civili e insorgenze. In pratica dal 1990 al 2006 sono stati “persi” circa 300 miliardi di dollari, cifra equivalente a quella arrivata nello stesso periodo dai paesi ricchi in aiuti internazionali allo sviluppo.
Le guerre e l’instabilità politica rendono impossibile investire nelle necessarie infrastrutture: sia perché i soldi pubblici vengono investiti in armi anziché in opere utili per la popolazione, sia perché – pur in presenza di fondi – nessuno si azzarderebbe a mettere mano a delle opere che rischiano di essere distrutte il giorno dopo.

L’altro aspetto è la corruzione, con ingenti quantità di denaro destinato a garantire il massimo accesso possibile all’acqua che prendono invece la strada delle tasche di singoli e organizzazioni collusi con dittature e governi. Un altro fenomeno tipico dei paesi in via di sviluppo, dove peraltro la gestione dell’acqua è di tipo statalistico-burocratica: vale a dire che le imprese, di proprietà statale, cercano abitualmente di avvantaggiare i politici stessi che, a loro volta, sono preoccupati soprattutto di compiacere quei gruppi di interesse dai quali dipende la loro rielezione.
Questo peraltro dovrebbe far riflettere coloro che difendono strenuamente, soprattutto per i paesi poveri, il controllo statale delle risorse idriche argomentando che l’accesso all’acqua è un “diritto umano fondamentale”. In realtà, nei paesi in via di sviluppo – e a volte anche in quelli ricchi -  sono proprio i governi e le gestioni burocratiche a essere di ostacolo al godimento di questo diritto. Pagare un prezzo giusto – come accade quando si privatizza la gestione – per avere dei servizi non lede affatto i diritti umani. Così come normalmente non pretendiamo di viaggiare gratis su treni e aerei in nome del diritto a muoversi liberamente, o non ci ribelliamo all’edicola per non pagare il giornale in nome del diritto all’informazione.