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IL CASO

Ci vogliono far diventare tutte "famiglie nel bosco"

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La vicenda di Nathan Trevallion e Catherine Birmingham è paradossale perché il loro stile di vita è l'obiettivo che la tirannia "verde" persegue per tutti noi: sono gli unici in regola con l'impronta ecologica. Ma si stanno scontrando con un'altra ideologia, quella dello Stato onnipotente.

 

Creato 06_12_2025

La vicenda di quella che è ormai nota come “famiglia del bosco” rappresenta un vero paradosso perché viene punita esattamente per aver scelto uno stile di vita che è quello che l’Unione Europea con le organizzazioni ambientaliste – dal WWF in giù – vorrebbero imporre a tutti i cittadini. Esagerazione? No, è proprio così.

Non sappiamo tutta la storia di Nathan Trevallion e Catherine Birmingham, la coppia che con tre figli minorenni vive da alcuni anni nella zona di Palmoli, in Abruzzo. Sappiamo però che seguono uno stile di vita – pare condiviso con altre famiglie in zona - che si definisce neo-rurale: una piccola abitazione in pietra, sistemata alla bell’e meglio, con un gabinetto a secco in una casupola esterna; niente acqua corrente; elettricità solo da pannelli solari; cibo in gran parte autoprodotto (orto e animali); un’auto giusto per gli spostamenti indispensabili. Che sia in nome della lotta ai cambiamenti climatici, per salvare il pianeta, per odio alla modernità o qualsiasi altro motivo, questo è comunque il modo in cui hanno scelto di vivere. Ma è anche lo stile di vita che ha portato il Tribunale dei minori dell’Aquila a sospendere la potestà genitoriale e a togliere loro i tre bambini, cosa di cui abbiamo già parlato.

Qui torniamo al paradosso citato all’inizio, e che ruota tutt’attorno al concetto di “impronta ecologica”, che da circa trent’anni è diventato l’indice con cui giudicare la sostenibilità del nostro stile di vita. Almeno secondo questo regime di tirannia ecologista che ci sta imponendo scelte irrazionali, dalla casa all’automobile, dall’energia ai consumi. Quante volte ci hanno fatto sentire in colpa per la nostra impronta ecologica troppo elevata, che ruba risorse ai poveri di questo mondo e anche alle generazioni future?

Avete presente Greta Thunberg quando davanti a una platea di politici ed intellettuali italiani accusava «Ci avete rubato il futuro»? O quando all’ONU sprizzava lacrime di rabbia dicendo «Avete rubato i miei sogni e l’infanzia»? Tutta colpa della nostra maledetta impronta ecologica che divora risorse che la Terra non è in grado di rigenerare, ci dicono.

Ma che cos’è l’impronta ecologica? Pretende di essere una unità di misura scientifica che calcola il nostro impatto nell’ecosistema globale. E si definisce come «la superficie di terra e acqua che una popolazione umana richiede per produrre le risorse che essa consuma e per smaltire i suoi rifiuti tenendo conto della tecnologia prevalente». È questa la definizione ufficiale data dai due pionieri che hanno inventato questa unità di misura, Mathis Wackernagel e William Rees, due accademici che hanno tradotto in formule la loro ricerca nel libro Our ecological footprint: Reducing human impact on the Earth (pubblicato in italiano con il titolo L’impronta ecologica: Come ridurre l’impatto dell’uomo sulla Terra), uscito nel 1996 e subito diventato, grazie all’adozione da parte del WWF, un fondamento teorico a sostegno delle tesi ecologiste. I due hanno anche creato il Global Footprint Network che continua il lavoro di approfondimento del tema e, diciamolo pure, di indottrinamento.

Allora, per tornare al punto di questo articolo, andiamo pure sul sito del Global Footprint Network a misurare la nostra impronta ecologica (ci sono diversi siti che offrono questo calcolo, ma andiamo sull’originale) per capire qual è il vero obiettivo di questo bombardamento propagandistico. Si tratta di rispondere ad alcune domande sulle abitudini alimentari, sull’abitazione, sull’uso dell’energia, sulla mobilità. Personalmente penso di rappresentare l’italiano medio che vive in un contesto urbano: famiglia in un appartamento di 80 metri quadri, un’automobile con spostamenti legati soprattutto alle esigenze familiari, alimentazione variata con cibo acquistato soprattutto al supermercato. Il risultato, per chi crede a queste cose, è terrificante: «Se tutti avessimo il tuo stile di vita, l’umanità avrebbe bisogno di 4,2 Pianeti Terra». E, per entrare più nello specifico, io avrei finito le risorse che mi potrei permettere già il 29 marzo, mio personale “Giorno di Sovrasfruttamento della Terra”.


Ne avrete già sentito parlare: l’Earth Overshoot Day ci viene ricordato dai media ogni anno con grande enfasi per ricordarci che da quel giorno e fino al 31 dicembre tutta la popolazione mondiale vive in deficit ecologico, ovviamente per colpa dei Paesi industrializzati: nel 2025 il Giorno di Sovrasfruttamento è caduto il 24 luglio (a sottolineare l’estrema gravità della crisi ecologica).

Qualcuno potrebbe pensare che la mia pessima impronta ecologica sia dovuta a personali cattive abitudini di spreco non necessariamente attribuibili a tutti quelli nelle mie condizioni. In realtà, però, se andiamo a vedere qual è complessivamente l’impronta ecologica dell’Italia, scopriamo che è addirittura peggiore: 4,5.

E allora chiediamoci: come potremmo rientrare in una situazione di equilibrio con l’ambiente? Semplicemente adottando lo stesso stile di vita della “famiglia nel bosco”. Provare (il calcolo dell’impronta ecologica) per credere.

Questo è lo stile di vita che le élite ecologiste vorrebbero imporci; questo è dove ci stanno portando il Green Deal europeo, gli Accordi di Parigi sul clima, le regole dello sviluppo sostenibile. E tutto passa grazie alla creazione di un clima di emergenza (inesistente) e spacciando per verità ineluttabili delle teorie pseudo-scientifiche che non tengono davanti alla realtà, ma che nessuno ha il coraggio di mettere in discussione.

Ci si chiede: ma se questo è l’obiettivo perché se la prendono allora con la “famiglia nel bosco” che fa esattamente ciò che vorrebbero far fare a noi tutti? Non dovrebbe essere presentata come un modello? In effetti la grande stampa in questi anni ci ha sempre presentato in modo edificante storie analoghe, di persone fuggite dalla società e rifugiatesi nella natura, che non hanno figli in nome della salvezza del pianeta.

Ecco, forse sono proprio i figli il problema della famiglia nel bosco. E poi perché Nathan e Catherine si sono scontrati accidentalmente con un’altra ideologia molto potente: quella dello Stato onnipresente, dello Stato che non tollera che qualcosa sfugga al suo controllo, dello Stato vero “padrone” ed educatore dei bambini.
È uno scontro tra due ideologie, ma che entrambe concorrono a schiacciarci. È il caso di prenderne coscienza.



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