Caso Ranucci, le indagini sconfessano la strumentalizzazione
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Ci sarebbe la mafia albanese dietro l'attentato al conduttore di Report, che per primo respinge le dietrologie di chi evoca un mandante politico. Una vicenda grave che richiede verità e rigore, non odio ideologico e accuse infondate.

Il caso dell’attentato a Sigfrido Ranucci, noto giornalista e conduttore di Report, ha suscitato grande clamore e molte speculazioni sin dal primo momento, alimentate da teorie politiche e accuse ideologiche, ma gli sviluppi più recenti dimostrano con chiarezza che la realtà è molto diversa da quanto ipotizzato da alcuni. L’attentato, avvenuto giovedì scorso nei pressi della sua abitazione a Roma, ha lasciato segni evidenti ma fortunatamente non ha provocato vittime.
Dietro questo gesto criminale, come sta emergendo dalle indagini condotte congiuntamente dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Roma, dalla Squadra Mobile e dal Servizio Centrale Operativo (Sco) della Polizia di Stato, si celerebbe la mano della mafia albanese, in particolare del boss Altin Sinomati, recentemente catturato ad Abu Dhabi dalla polizia degli Emirati Arabi Uniti. Sinomati è ritenuto il mandante di un precedente omicidio di rilievo, quello di Selavdi Shehaj, detto “Passerotto”, assassinato in spiaggia davanti agli occhi dei bagnanti il 20 settembre 2020 a Torvaianica, una località del litorale romano non lontano dalla casa di Ranucci.
Questo collegamento tra fatti di cronaca apparentemente lontani è al centro delle indagini che stanno facendo emergere un quadro complesso e ricco di intrecci criminali legati a interessi della malavita organizzata che da anni agitano quella parte di costa. La Dda ha infatti sottolineato il legame stretto tra l’omicidio di Shehaj e quello del narcos e capo ultras Fabrizio Piscitelli, detto “Diabolik”, avvenuto un anno prima, delineando una rete di relazioni criminali che si riflettono anche nell’attentato a Ranucci.
È importante evidenziare che le indagini hanno permesso di ricostruire con grande precisione il ruolo di Sinomati, che avrebbe ordinato l’eliminazione di Shehaj tramite l’esecutore materiale Raul Esteban Calderon, già condannato all’ergastolo per l’omicidio di Piscitelli, fornendogli la somma di 150.000 euro come compenso. Per quel delitto sono stati condannati anche Giuseppe Molisso, in concorso, e si ricorda che Sinomati è coinvolto in un altro procedimento penale riguardante un importante canale di approvvigionamento di cocaina su Roma, gestito da Molisso e Leandro Bennato, smantellato grazie a un’operazione dei Carabinieri nel marzo 2025.
Sinomati, temendo la cattura, si era rifugiato negli Emirati Arabi, dove è stato infine arrestato. Questi fatti confermano che l’attentato a Ranucci non ha alcun legame con la politica o con un presunto “mandante” politico, come invece aveva evocato con toni ideologici Elly Schlein, rimasta sostanzialmente isolata in questa sua interpretazione e perfino scaricata dallo stesso Ranucci, intervenuto domenica a In mezz’ora su Rai 3 con Monica Maggioni.
Il giornalista ha infatti chiarito senza esitazioni che non crede affatto a connessioni di tipo politico e ha spiegato che il gesto è da attribuire con ogni probabilità a dinamiche della criminalità organizzata, che mira a lanciare un segnale di intimidazione nei suoi confronti e nei confronti della sua famiglia. Ranucci ha sottolineato come l’ordigno rudimentale, pur potente, non avesse l’intento di uccidere, ma piuttosto di far sentire la presenza e la capacità di controllo del mondo criminale sul suo territorio e sulle persone che indagano su di esso. La politica, ha spiegato, se volesse agire contro qualcuno, utilizzerebbe mezzi ben diversi e più discreti, non certo un’esplosione violenta e plateale.
Le parole di Ranucci sgretolano quindi le accuse infondate e politicamente strumentali, mostrando una posizione di grande equilibrio e attenzione ai fatti concreti e alle risultanze investigative. Questa vicenda rappresenta una pagina di cronaca importante per comprendere la realtà della criminalità organizzata che, spesso silenziosamente, condiziona intere aree e realtà sociali. Non è un caso che la base operativa di “Passerotto” fosse vicina all’abitazione di Ranucci, come non è un caso che la mafia albanese, con i suoi intrecci di traffici di droga e omicidi, sia al centro delle indagini. Il lavoro coordinato di Carabinieri, Polizia e magistratura sta facendo emergere verità delicatissime, confermando che l’attentato a un giornalista che da anni denuncia corruzione e malaffare non è riconducibile a teorie politiche, bensì a un’azione diretta e violenta di un sistema criminale che cerca di intimidire chi osa indagare.
La conferma della cattura di Sinomati ad Abu Dhabi e il suo ruolo di mandante nell’omicidio di Shehaj sono elementi chiave che rafforzano la pista della criminalità organizzata, escludendo definitivamente qualsiasi coinvolgimento del governo o della politica, come chiarito dallo stesso Ranucci in modo inequivocabile. In un momento in cui le tensioni ideologiche avrebbero potuto spingere verso facili strumentalizzazioni, è invece emersa la realtà concreta, fatta di indagini rigorose, arresti internazionali e un lavoro di intelligence che non lascia spazio a dubbi.
L’attentato a Ranucci è quindi un episodio grave che richiama l’attenzione sull’azione mafiosa nel nostro Paese, ma al contempo è anche un segnale forte della necessità di mantenere la chiarezza e di non farsi trascinare da odio ideologico e accuse infondate. Le parole del giornalista stesso rappresentano un monito a restare con i piedi per terra, a non cedere a teorie complottiste e a continuare a lavorare con rigore e serietà per far emergere la verità.