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KAZAKHSTAN

Caso Ablyazov: la solita Italia delle genuflessioni

La vicenda della moglie e figlia del dissidente kazako Ablyazov rimpatriate a forza in barba a qualsiasi convenzione internazionale ha aspetti paradossali. Ma purtroppo conferma la tendenza tipica dei governi italiani a cedere a qualsiasi pressione esterna. Anche contro i propri interessi.

Politica 17_07_2013
moglie di Ablyazov

La vicenda di Alma Shalabayeva, la moglie dell’imprenditore e politico dissidente kazako Mukhtar Ablyazov rimpatriata a fine maggio dalle autorità italiane assieme alla figlioletta Alua di sei anni con l'accusa di aver falsificato il passaporto, per compiacere il presidente kazako Nursultan Nazarbaev, rischia di far cadere il governo Letta. Anzi, di farlo esplodere sul gas, considerato che l’atteggiamento compiacente di Roma nei confronti del regime non proprio democratico di Nazarbaev (presidente dal 1990) è dovuto agli importanti interessi italiani nello sfruttamento dei giacimenti di gas del Paese asiatico che vede coinvolto l’Eni.

Paradossale che madre e figlia, anche di fronte a un problema legato ai documenti di identità (peraltro forse riscontrabile in precedenza visto che la bambina frequentava una scuola romana), non siano state espulse nel Regno Unito dove avevano un titolo di soggiorno valido, in conformità con la normativa dell'Unione Europea come ha fatto notare il Consiglio Italiano per i Rifugiati (Cir) chiedendo chiarimenti sul caso. Possibile che le autorità italiane non sapessero che il marito di Alma Shalabayeva gode dello status di rifugiato politico in Gran Bretagna? E se così fosse come si spiega l’irruzione nella loro villa romana da parte di decine di agenti e funzionari delle forze dell’ordine? Certo uno spiegamento di forze inusuale per espellere due clandestini.  Perché nessuno si è posto la domanda se la consegna della Shalabayeva e della figlia alle autorità kazake le potesse esporle a persecuzioni e trattamenti inumani come previsto dai principi della Corte dei Diritti Umani di Strasburgo? Domanda che sarebbe stato naturale porsi visto che la donna e la bambina sono state imbarcate su un volo privato noleggiato in fretta e furia dall’ambasciata dal Kazakhstan.

Come sempre accade in Italia la vicenda è diventata oggetto di speculazioni politiche con richieste di dimissioni rivolte al vice premier Angelino Alfano, indicato da più parti come il vero responsabile del caso per i supposti contatti con le autorità kazake e al ministro degli Esteri, Emma Bonino, mentre sono circolate anche voci (poi smentite) di un recente incontro tra Silvio Berlusconi e Nazarbaev. Nel teatrino politico all’interno della maggioranza di governo scatenatosi in questi ultimi giorni l’intervento forse più calzante è quello di Giorgia Meloni di Fratelli d'Italia che ha ironizzato sul fatto che Letta, Alfano e Bonino abbiano assicurato di essere all'oscuro della vicenda, ammettendo implicitamente di essere "ministri a loro insaputa". Che i vertici politici non fossero informati di una vera e propria “rendition” a favore di un regime dispotico col quale l’Italia è in affari (il Kazakhstan non è certo l’unico caso del genere, basti pensare ai rapporti che intratteniamo con le monarchie arabe del Golfo Persico) è francamente poco credibile. Così come è ridicolo che il trattamento subito dalla signora Alma Shalabayeva e da sua figlia non venga riservato anche alle decine di migliaia di clandestini che giungono in Italia senza alcun titolo.

Se davvero premier e ministri non sanno nulla di un caso così eclatante (rimasto peraltro sotto silenzio per oltre un mese) dovremmo pretendere le dimissioni dell’intero governo per “manifesta incapacità”. Purtroppo la storia d’Italia è piena zeppa di vicende imbarazzanti, umilianti per quel che resta dell’onore e della credibilità dell’Italia, nelle quali i nostri vertici politici hanno messo da parte principi etici, patti stipulati, legge, dignità e spesso anche interessi nazionali  assecondando o subendo supinamente le pressioni di Paesi “alleati”, partner europei o semplicemente Paesi che promettevano investimenti nel Belpaese.

L’anno scorso l’allora premier Mario Monti impose al ministro degli esteri Giulio Terzi il voto di assenso dell’Italia alla rappresentanza palestinese alle Nazioni Unite come richiesto dall’emiro del Qatar che nei giorni precedenti, durante la visita di Monti a Doha, aveva promesso investimenti per 10 miliardi in Italia. Israele, che si attendeva l’astensione al voto dell’Italia, ci rimase male ma nessuno si stupì che il governo tecnico fosse prono di fronte al potere finanziario.

Con lo stesso governo è iniziata la vicenda dei fucilieri di Marina Salvatore Girone e Massimiliano Latorre prigionieri in India per un duplice omicidio che non hanno commesso, in base ad accuse infondate (smentite dalle stesse testimonianze indiane) e a prove costruite in modo raffazzonato dagli investigatori del Kerala. Nonostante questo l’Italia non solo non contesta le accuse ai due militari nel merito ma attende il processo dopo aver rinunciato a rivendicare la sua legittima sovranità e l’immunità funzionale propria dei militari in servizio e a chiedere un arbitrato internazionale. Il motivo di questa calata di braghe è emerso durante il pasticcio del rientro a Nuova Delhi dei due militari dopo la “licenza elettorale”: evitare rappresaglie commerciali da parte dell’India. Le stesse ragioni che nel 1999 indussero il governo di Massimo D’Alema a cedere alle pressioni turche (Paese che applica la pena di morte) e a sbarazzarsi di Abdullah Ocalan, leader del Partito dei Lavoratori Kurdo che aveva chiesto asilo a Roma ma venne invece portato in Kenya dove i servizi segreti turchi riuscirono agevolmente a “impacchettarlo” e portarlo ad Ankara.

Le decisioni dei governanti italici, prone nei confronti di qualche Paese straniero, non sempre sono giustificate da convenienza economica. Anzi, a volte riusciamo a svendere i nostri interessi insieme alla dignità nazionale. E’ il caso dell’embargo petrolifero all’Iran voluto dagli Stati Uniti per punire il programma nucleare di Teheran che ha portato danni per miliardi di dollari all’Italia che raffinava ij Sicilia il greggio iraniano.

Il caso più clamoroso di genuflessione di fronte alle pressioni esterne resta l’assurda guerra in Libia del 2011. Per permettere alla Nato di combatterla e poi per combatterla lei stessa, l’Italia ha calpestato l’accordo di alleanza firmato con Tripoli ottenendo in cambio di essere calpestata e umiliata nei suoi interessi nel Paese africano da francesi e britannici. Unico caso nella storia di uno Stato che fa la guerra al suo primo fornitore di petrolio. Cambiano i governi ma a Roma il principio imperante resta lo stesso: forti con i deboli e deboli con i forti.