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RACCOLTA DEL FARMACO

Banco Farmaceutico, l'educazione alla carità

15ma Giornata di Raccolta del Farmaco. “Fai un gesto d’amore, dona un farmaco”. In ben 3650 farmacie si potranno donare medicinali da automedicazione che verranno destinati alle persone in stato di povertà sanitaria. Parla Marco Malinverno, direttore nazionale di Banco Farmaceutico.

Cronaca 14_02_2015
Marco Malinverno

Oggi è San Valentino. Ed è anche la 15ma Giornata di Raccolta del Farmaco. “Fai un gesto d’amore, dona un farmaco” è il nome dell’iniziativa per quest’anno. In ben 3650 farmacie, in tutto il paese, si potranno donare medicinali da automedicazione che verranno destinati alle persone in stato di povertà sanitaria. Cioè, coloro che, non riuscendo ad arrivare a fine mese, non possono permettersi nemmeno le medicine per curarsi. La Giornata è realizzata dalla Fondazione Banco Farmaceutico onlus, in collaborazione con la Compagnia delle Opere (Opere Sociali). Per l’occasione, la Nuova Bussola Quotidiana ha intervistato Marco Malinverno il direttore nazionale di Banco Farmaceutico, già noto ai nostri lettori.

Dottor Malinverno, in quindici anni di attività, quanto è cresciuto Banco Farmaceutico?

La prima Giornata di Raccolta del Farmaco avveniva nel 2000, nella sola città di Milano. Oggi la Giornata avviene in 1200 comuni d’Italia e nella Repubblica di San Marino, coinvolge 97 province, per un totale di 3650 farmacie, che sono collegate a circa 1600 enti caritativi. Bastano queste poche cifre per capire quanto l’attività si sia espansa negli anni. E comunque è sorretta solo dal volontariato, 400 volontari stabili a cui, durante la Giornata, si uniscono nelle farmacie circa 14mila persone, in media. Questa non è l’unica nostra attività. Fra gli enti assistenziali con cui siamo in contatto, ci sono anche grandi realtà, come l’Opera San Francesco di Milano, il Sermig di Torino, o la Caritas di Palermo, che hanno bisogno anche di farmaci da prescrizione medica (come gli antibiotici) e non solo di automedicazione. E su 100 farmaci, 80 sono quelli da prescrizione. Per cui abbiamo avviato un’attività, dal 2011, per farci donare dalle aziende anche i farmaci da prescrizione, buoni e validi, ma che loro non utilizzano per vari motivi. Dalle aziende abbiamo raccolto circa 1 milione e 300mila confezioni l’anno scorso. Di cui buona parte da prescrizione. L’anno scorso, complessivamente, abbiamo raccolto 1 milione e 800mila confezioni. Sempre l’anno scorso abbiamo avviato il progetto pilota del recupero di farmaci in alcune città (fra cui Milano, Torino, Roma): sono i farmaci che le persone, per motivi diversi (cambi di terapia, morte di parenti …) riportano in farmacia e noi li recuperiamo, perché sono validi, integri e si possono utilizzare. Pur considerando tutta la vasta gamma di iniziative, arriviamo a raccogliere circa la metà del fabbisogno degli enti caritativi che sono in contatto con noi. L’anno scorso, come abbiamo visto, ci sono state donate circa 1 milione e 800mila confezioni, ma il fabbisogno era di 3 milioni e 300mila. Per espandere l’attività, abbiamo avviato Euromed, a Londra, il 5 dicembre scorso, alla presenza del principe Carlo, assieme a un’associazione britannica e una tedesca. Da quest’anno Euromed dovrebbe produrre una modalità comune per contattare le grandi aziende farmaceutiche, su scala europea. Così che ci sia la possibilità di donare farmaci, non solo per i paesi in cui vi sono problemi di povertà diffusa (come l’Italia, la Grecia, la Spagna e il Portogallo), ma anche fuori dall’Europa, ovunque ci sia bisogno. Sono evoluzioni importanti, sono cifre che testimoniano che il Signore ci vuole bene e vuole che lavoriamo per questa missione.

Banco Farmaceutico

Si è rilevata, per tutto l’anno scorso, una crescita della povertà sanitaria in Italia. Com’è la situazione, attualmente?

Teniamo presente che l'Istat conta quasi 6 milioni di poveri. Si consideri, poi, che questi milioni di poveri, e stiamo parlando di persone che versano in condizione di povertà assoluta, sono quelli censiti, ma potrebbero essere molti di più. In tutta Italia sono stati contati 50mila senzatetto, ma potrebbero essere anche il doppio. A Milano, ad esempio, i senzatetto censiti sono 2400, ma la stima è di più di 5000. Perché c’è un’intera categoria di persone che non entra più in contatto con la sfera istituzionale. Non si parla, tra l’altro, di profughi e immigrati: l’immigrato arriva a Lampedusa, ad Agrigento o altrove e molto spesso si trasferisce appena può in altri paesi europei. E’ soprattutto un’immigrazione di transito, la nostra. La maggior parte dei nuovi poveri è costituita da italiani che vivono in condizioni di emarginazione e non vogliono avere contatto con strutture assistenziali. Tanto è vero che sempre più associazioni vanno in giro, anche con i camper, a cercare chi devono aiutare, coloro che altrimenti non farebbero nulla per curarsi.

Chi diventa povero?

Influiscono sia la crisi della famiglia che la perdita del lavoro. C’è sempre un nesso fra la perdita della salute e quella del lavoro: chi contrae una malattia cronica e invalidante, spesso perde il posto entra in un binario che lo porta fuori dal mondo produttivo, alla vendita di tutti i suoi beni e infine alla miseria. La geografia di questa parte di popolazione si espande. La fotografia classica confinava il fenomeno al Sud e fra i cittadini esclusi dal mondo del lavoro, soprattutto anziani e persone sole. Oggi riguarda tutte le regioni e persone ancora dentro al mondo del lavoro. Io ricorderò sempre una scena a cui ho assistito a san Zeno, in provincia di Verona, in una comunità di volontari straordinaria: vedevo auto molto belle a cui i volontari distribuivano sacchetti di verdura di stagione. Ho chiesto per scherzo ai volontari se stessero controllando chi arrivava a chiedere l’elemosina e mi hanno risposto, seriamente, fulminandomi con lo sguardo, che quelli erano tutti nuovi poveri. Uno, per esempio, era un commerciante, si è separato, la sua azienda è entrata in crisi, ha dovuto vendere il negozio e l’unica cosa che gli era rimasta era la sua auto. Altro esempio: a Milano, dietro al Palazzo Marino (la sede del comune, ndr), ho visto una mamma italiana portare il suo bambino a fare una visita medica dai gesuiti, per ottenere un certificato di sana e robusta costituzione, perché diversamente dal medico lì è gratis e risparmia una quarantina di euro. Pur di risparmiare si va dall’ente caritativo. Il problema è che marito e moglie, entrambi con lo stipendio, possono avere difficoltà, se uno dei due perde il lavoro inizia la difficoltà vera. Se tutti e due perdono il lavoro è una tragedia. La famiglia regge se alle spalle ha una buona generazione di nonni ben abbienti. E ogni anno aumentano di 40 unità, in media, gli enti caritativi che si rivolgono a noi.

Con la crisi economica e della famiglia, aumenta anche la tendenza a non donare?

In campo medico e sanitario non ci sono significativi decrementi di donazione. Soprattutto, coloro che passano dal tunnel della malattia sono portati a mantenere un alto livello di donazione. Però, di fatto, negli ultimi tre anni abbiamo visto decrescere il livello medio di donazione dei farmaci da 110 a 101 per farmacia. Sicuramente la gente dona meno e ha meno disponibilità di farlo. E non è un dato direttamente proporzionale alla ricchezza. Vale sempre l’esempio del Vangelo in cui la donna dona al Tempio tutti i pochi spiccioli che ha in tasca.

In farmacia

Uno dei vanti dell’Italia, però, è sempre quello della sanità gratuita e universale…

Questo è un mito già sfatato da anni, ormai. Faccio un altro esempio personale, di cittadino italiano che paga le tasse anche per la sanità: sono andato a fare un esame del sangue e sono 20 euro di ticket, un’ecografia sono 45 euro di ticket. I farmaci, anche quelli da prescrizione, possono costare anche 50 o 60 euro in un mese, per chi li deve assumere regolarmente. Difficile, per chi non ha nemmeno il minimo indispensabile per vivere, per quella fascia di popolazione che versa in condizioni di povertà assoluta.

Quali sono i vostri obiettivi per il futuro?

Come diceva quel Signore che è venuto a salvarci, “i poveri saranno sempre tra di voi”. Il problema è cambiare il cuore dell’uomo. Se c’è una persona che ha bisogno di curarsi, noi faremo di tutto perché ci sia una maggior disponibilità di farmaci, ma non ci immaginiamo nemmeno di coprire tutto il fabbisogno. Piuttosto, la nostra opera sta diventando una risorsa. Il recupero dei farmaci, gli accordi con le aziende, sono tutte attività che fanno da ponte, da raccordo fra il mondo profit e quello non profit, che diversamente non dialogherebbero. Noi pensiamo sempre ai sistemi sanitari, ma la politica si renderà conto che c’è una realtà che si auto-organizza. E, voglio dire, gli ospedali non sono nati per decisione politica, sono nati perché qualcuno ha visto nel povero qualcosa di più grande. Questo è il nostro metodo: partire dalla realtà del bisogno per costruire, dentro di essa, un’educazione alla carità.