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GOVERNO

Banche, giudici, referendum: Renzi tra cento fuochi

Nel 2011 la tempesta sui mercati finanziari e la morsa della magistratura strinsero d’assedio il governo Berlusconi fino a farlo capitolare. Oggi la storia sembra ripetersi con moventi per molti versi analoghi, ma con sbocchi decisamente più incerti. A cominciare dal referendum costituzionale dall’esito incerto. Ma non solo.

Politica 10_07_2016
Il premier Matteo Renzi

Le sofferenze bancarie di oggi stanno allo spread del 2011 come le inchieste sui ministri del governo Renzi stanno a quelle sulle Olgettine. Mesi fa scorgemmo e riportammo chiari segnali di ritorno al clima del 2011, quando la tempesta sui mercati finanziari e la morsa della magistratura strinsero d’assedio il governo Berlusconi fino a farlo capitolare. Oggi la storia sembra ripetersi con moventi per molti versi analoghi, ma con sbocchi decisamente più incerti. 

Se all’epoca fu Mario Monti, già nell’estate 2011, a suonare il campanello d’allarme all’ex Cavaliere, lasciandogli presagire la rapida fine del suo esecutivo, oggi non s’intravvede un nuovo Monti. A meno che la situazione non precipiti e che, a salvaguardia del “Sistema Italia”, non venga richiamato in patria Mario Draghi.

Le incertezze sul futuro delle banche italiane, il braccio di ferro sugli aiuti di Stato agli istituti di credito altro non nascondono che la volontà della Germania di continuare a tenere sotto scacco il nostro Paese, sul versante economico-finanziario, ma anche sulle altre scottanti partite, non ultima quella dei flussi migratori. La Brexit ha cambiato alcuni equilibri e il rigore tedesco sui conti pubblici deve ora confrontarsi con la crescente imprevedibilità dei mercati e con i nuovi venti di crisi che arrivano dagli altri Continenti, in particolare dalla Cina, motore della globalizzazione, che sta iniziando a svalutare.

Le frasi del presidente Abi sulla presunta anticostituzionalità del "bail in" non fanno altro che disorientare banchieri e risparmiatori e gettare ombre sul futuro dell’economia bancaria, nonostante il governatore della Banca d’Italia Visco e il ministro Padoan continuino a gettare acqua sul fuoco. Ci sono istituti di credito italiani che dall’inizio dell’anno hanno perso più del 70% dei loro valori, senza dimenticare le banche fallite e quelle che potrebbero saltare nei prossimi mesi.

Sicuramente Renzi sta pagando la leggerezza dei precedenti governi, che non hanno messo in cassaforte il sistema creditizio italiano, sottovalutando il problema o approvando in modo acritico le norme sul bail in che oggi non ci lasciano margini di manovra. Tuttavia, va osservato che il premier alza la voce quando è in Italia, ma si è capito che a Bruxelles ha la pistola scarica e più di tanto non riesce a incidere in favore dell’Italia sulle scelte fondamentali di politica economica e finanziaria.

Ed è anche per questo che lo spettro del 2011 sembra materializzarsi sulla strada del suo esecutivo, indebolito ulteriormente da vari fattori interni: dalle recenti inchieste che hanno coinvolto uno dei più importanti ministri (Alfano) al vasto fronte che chiede di modificare l’Italicum; dalle tensioni interne al suo partito al raffreddamento di alcuni suoi sostenitori, non ultimo Carlo De Benedetti, che sembrava il principale sponsor di Renzi e che ieri, in un’intervista al Corriere della Sera, ha annunciato che al referendum voterà “No” se non verrà prima modificata la legge elettorale.

Non sappiamo se si tratti della stessa tenaglia che si rivelò poi esiziale per Berlusconi: da una parte la scure giudiziaria, dall’altra le speculazioni finanziarie internazionali. L’esperienza insegna che quando si comincia a parlare di governi alternativi vuol dire che qualcosa di vero c’è e che quindi qualcuno sta già pensando al dopo-Renzi. Le indiscrezioni su una fronda interna al Pd guidata da Dario Franceschini, il primo a mettere in discussione l’Italicum durante il suo intervento all’ultima riunione della direzione del partito, sono tutt’altro che infondate. 

C’è chi ipotizza, in caso di vittoria dei “No” al referendum di ottobre, la caduta del governo (Renzi ha più volte annunciato che in quel caso si dimetterebbe) e la formazione di un esecutivo di scopo che riformi l’Italicum e vari la nuova legge di stabilità. Che a guidarlo possa essere uno tra Franceschini e Padoan appare plausibile, senza escludere la carta istituzionale del presidente del Senato, Piero Grasso.

Proprio perché tale scenario non va escluso, il presidente del Consiglio potrebbe alla fine optare (anche se non dipende tanto da lui) per il rinvio della consultazione referendaria, a novembre, dopo l’approvazione della manovra economica, o addirittura all’inizio del 2017, al fine di impedire la nascita di un nuovo governo e la formazione di nuovi equilibri politici alternativi alla sua leadership, nel suo partito e nel Paese. Sempre che l’autunno del 2016 non riproduca lo stesso film del 2011 e che il re non si ritrovi “nudo”.