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TROVATA GIANNINI

A scuola d’estate? No, è solo un brutto colpo di sole

L’idea balzana è venuta al ministro dell’Istruzione Giannini: scuole aperte anche d’estate! Subito l’ha rilanciata ai giornali svelando che il progetto "Scuola al Centro" coinvolgerebbe medie e superiori delle maggiori città per un investimento da 10 milioni di euro. Ma non è quello che chiedono studenti e famiglie.

Educazione 19_05_2016
Il ministro dell'Istruzione Stefania Giannini

L’estate si avvicina e con essa le sospirate vacanze estive per milioni di studenti, finalmente liberi, fuori dalle mura grigie e opprimenti degli istituti scolastici. Ed ecco che, invece, il ministro Giannini rilancia la proposta: scuole aperte anche d’estate! Lo ha fatto con un'intervista al Messaggero, in cui ha svelato il progetto "Scuola al Centro", che coinvolgerebbe medie e superiori delle maggiori città per un investimento da 10 milioni di euro.

Non è quello che hanno chiesto numerose famiglie, alle prese col problema di dove lasciare i figli, particolarmente i più piccoli, quando la scuola finisce. No, perché riguarda solo medie e superiori e ha l'obiettivo di sottrarre i giovani alle tentazioni della strada nei quartieri a rischio delle grandi città. Un caso esemplare su tutti: «Napoli, dove si contano 541 istituti. Di questi, 275 sono in zone considerate a rischio». In queste “scuole al centro”, i ragazzi non farebbero lezione, ma dovrebbero essere impegnati in sport, musica, teatro e laboratori artistici, seguiti dalle equipe vincitrici di un bando appositamente emanato sul sito www.areearischio.it.

E i professori?  I professori «non sono obbligati, chi vorrà parteciperà», ricevendo «un compenso, ma non molto alto», ha spiegato la Giannini.  Niente di nuovo, verrebbe da dire... Nessuno dubita che esista la necessità di togliere dalla strada i tanti ragazzi dei quartieri degradati delle grandi città. Ma, già sorvolando sulle tante perplessità di ordine organizzativo, gestionale ed economico, siamo sicuri che sia questa la strada giusta? I giovani in questione sono perlopiù gli stessi che non vanno a scuola nemmeno durante l’anno scolastico; spesso non hanno solidi riferimenti familiari alle spalle e i loro interessi gravitano su ben altre faccende. 

Cosa fa pensare, al ministro, che si dirigerebbero spontaneamente verso la sede scolastica? Quale attrattiva potrebbe richiamarli a fare attività lontane mille miglia dal loro orizzonte abituale? La scuola, normalmente, evoca nei giovani sentimenti contrastanti e reazioni negative. Già è terribile, per tanti, l’idea di andarci durante l’anno scolastico, figuriamoci la prospettiva dell’intero anno solare! Questo, perché l’esperienza che i più ne fanno non è certamente esaltante. Ricerche effettuate in questi ultimi anni mostrano un calo drastico della soddisfazione proprio tra la I e la III classe della scuola secondaria di primo grado: dai 13 anni in su, il gradimento degli studenti è positivo soltanto per il 10% circa delle ragazze e per il 6% circa dei ragazzi (Health Behaviour in School aged Children).

Preso atto di questo dato, appare evidente, da una parte, che di per sé l’allocazione delle attività in una sede scolastica potrebbe rappresentare già in partenza un handicap; dall’altra, che se proprio si vuole testardamente percorrere questa strada, occorre assolutamente assegnare la realizzazione del progetto a quelle realtà che già operano nel campo del disagio giovanile e dell’educazione, e che sono in grado di documentare risultati positivi. Perché il problema non sta tanto nelle attività che si fanno, quanto nel chi e nel come le propone.

Diversamente, si correrebbe il rischio di gettare al vento delle risorse non avendo una risposta significativa in termini di partecipazione, e di ritrovarsi all’inizio dell’anno scolastico con le sedi vandalizzate… Quello che può rimettere in moto il desiderio di bene di questi ragazzi in difficoltà, è solo l’incontro con delle persone che possono fargli una proposta davvero significativa e aiutarli a sperimentare la convenienza e la bellezza di un modo diverso di vivere. 

Realtà così, del privato sociale, ne esistono in tutte le grandi città. Perché, allora, non usare queste risorse per sostenere maggiormente chi già sta facendo queste cose, lasciando la libertà di utilizzare mezzi, strumenti e luoghi (solo eventualmente, anche una sede scolastica) che sono ritenuti i più adeguati? Perché ingabbiare tutto, ancora una volta, nelle maglie della logica ministeriale, che già si è rivelata perdente su altri fronti?.

Insomma, l’idea appare velleitaria e soprattutto inconsapevole della reale situazione dei giovani e delle loro vere necessità. Quanto all’ipotesi di apertura delle scuole anche la domenica paventata dal ministro, preferiamo pensare che si sia stata solo una battuta di spirito...