Più conflitti, più potere: ecco la strategia dell'Iran
L'escalation nel Mar Rosso fa parte della strategia di Teheran per creare caos tra i Paesi arabi al fine di agevolare la propria egemonia nella regione. Il fallimento della politica Dem americana.
L'escalation recente dei ribelli Houthi nel Mar Rosso, diretta conseguenza delle azioni dell'Iran, sostenitore finanziario e politico degli Houthi, anche in chiave anti-saudita, evidenzia chiaramente l'ambizione di lunga data di Teheran per la supremazia regionale sin dalla Rivoluzione Islamica del 1979. Quest'atto di aggressione rappresenta un tassello fondamentale nella complessa strategia geopolitica dell'Iran, radicata nel suprematismo religioso, nell'etnocentrismo e nella costante volontà di ridisegnare la mappa della civiltà islamica a propria immagine.
La formazione da parte dell'Iran del cosiddetto "Asse del Male" non è solo un'alleanza che Teheran ha ribattezzato come “Fronte della Resistenza”, includendovi, oltre a Hezbollah, anche Hamas e i gruppi filoiraniani attivi in Iraq e Siria, ma una campagna sistematica per assorbire i capitali arabi nella sua orbita ideologica. Sfruttando le divisioni sociopolitiche e settarie esistenti, l'Iran ha orchestrato una situazione in cui gli stati arabi sono stati messi gli uni contro gli altri e contro il blocco israelo-occidentale, ostacolando il loro cammino verso la progressione indipendente e l'unità.
Le azioni di Teheran devono essere interpretate come parte di un gioco di potere egemonico, con l'obiettivo finale di stabilire la supremazia iraniana nel mondo islamico e contrastare l'influenza occidentale, e in chiave ideologica, riuscire nella storica “rivincita” contro il mondo sunnita, percepito come “oppressore” degli sciiti fin dal VII secolo d.C. con le persecuzioni dei discendenti del Profeta Maometto per mezzo di Ali, suo cugino e genero.
Le azioni degli Houthi nel Mar Rosso in risposta alla reazione militare di Israele agli attacchi di Hamas rappresentano una mossa calcolata all'interno di questa strategia più ampia che tocca chiunque: ad esempio, gli attacchi degli Houthi contro i trasporti marittimi nel Mar Rosso stanno avendo un impatto sull’arrivo della gomma alla Michelin Vitoria, in Spagna, che ha dovuto tagliare la produzione.
Inoltre, questa strategia degli Houthi che governano gran parte dello Yemen e controllano le Forze Armate, serve a riaccendere le tensioni arabo-israeliane in un momento in cui la normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele sembra possibile, minacciando le aspirazioni dell'Iran come superpotenza regionale.
E qui va aperta una parentesi. Gli Stati Uniti hanno deciso di reinserire gli Houthi nella lista dei terroristi globali in risposta agli attacchi nel Mar Rosso. Tale decisione, precedentemente revocata da Joe Biden nel 2021 per facilitare l'invio di aiuti in Yemen, entrerà in vigore entro 30 giorni e dimostra l’ennesimo fallimento in Medioriente della politica Dem, quanto le politiche messe in atto dall’allora amministrazione Obama nei confronti dell’Iran nucleare.
La strategia dell'Iran prevede lo scambio di "sangue arabo" per i suoi guadagni strategici. Incitando e alimentando i conflitti regionali, Teheran non solo afferma il suo dominio, ma assicura anche che il mondo arabo rimanga coinvolto in conflitti interni e politiche reazionarie. Questa calcolata orchestrazione di caos e divisione è centrale nella visione dell'Iran di una regione sotto il suo dominio, distruggendo la stabilità del Medio Oriente e le prospettive di pace.
Il ruolo dell'Iran nella questione palestinese trascende le mere espressioni di sostegno, configurandosi come una strategia calcolata per posizionarsi contro la percepita egemonia occidentale e israeliana.
Quest'atteggiamento strategico non si limita a offrire un aiuto; rappresenta una parte fondamentale della più ampia ricerca di Teheran per l'influenza e il controllo nel mondo arabo. Le dichiarazioni dell'Ayatollah Khomeini e dell'Ayatollah Khamenei sottolineano il modo in cui l'Iran considera la questione palestinese non solo come un impegno politico, ma come un imperativo morale e religioso. Tuttavia, un'analisi più approfondita suggerisce un motivo complesso dietro questi proclami, interpretando il sostegno esplicito dell'Iran a gruppi come Hamas (che fa riferimento all'Islam sunnita) come una mossa strategica per rafforzare la propria ideologia rivoluzionaria.
Questo approccio ha un duplice scopo: camuffare un'animosità profondamente radicata nei confronti delle nazioni arabe sotto il pretesto della solidarietà e intrappolare l'Iran in un conflitto perpetuo con potenti avversari, avanzando la sua agenda sotto la copertura della “difesa degli oppressi”.
Questa strategia mantiene di fatto la regione coinvolta in un conflitto senza fine, consentendo a Teheran di sfruttare le narrazioni di vittimismo per estendere contemporaneamente la sua influenza. In sostanza, l'impegno dell'Iran nella causa palestinese riguarda meno la liberazione e più lo sfruttamento del conflitto per affermare il proprio dominio nel Medio Oriente.
Comprendere le vere motivazioni dell'Iran rimane cruciale per qualsiasi progresso significativo verso la risoluzione e la pace nel Medio Oriente. L'impiego meticoloso di milizie delegate da parte dell'Iran in tutto il Medio Oriente evidenzia chiaramente le sue ambizioni di riformulare le dinamiche regionali in modo più ampio. Gruppi come Hezbollah in Libano, gli Houthi nello Yemen e varie milizie sciite in Iraq e Siria, nonché nell'area del Sahara Occidentale, sono componenti essenziali della complessa macchina geopolitica di Teheran, piuttosto che semplici alleati.
Questi delegati sono spesso coinvolti in conflitti sproporzionati rispetto alle loro dimensioni e capacità, agendo in linea con l'agenda espansiva dell'Iran, a scapito della stabilità delle loro nazioni d'origine.
Un esempio recente di ciò è l'audace atteggiamento dei ribelli Houthi nei confronti degli Stati Uniti, la principale potenza militare mondiale.
Le tattiche di Teheran alimentano tensioni regionali, creando un ciclo interminabile di violenza e ritorsioni. La narrazione dei mullah di una lotta sciita contro il dominio sunnita serve a indebolire l'unità araba, consolidando così la sua influenza attraverso strategie che coinvolgono violenza, carestie e oscurantismo. La destabilizzazione di aree chiave nelle sfere di influenza di queste nazioni rende non solo vulnerabili ma anche suscettibili all'influenza iraniana. Questa metodologia rivela l'ampia ambizione dell'Iran di modellare il panorama geopolitico del Medio Oriente a proprio vantaggio, sfruttando i conflitti regionali e i punti strategici di tensione per promuovere la sua agenda.
Inoltre, l'Iran ha abilmente presentato le sue attività come parte di una più ampia lotta contro l'imperialismo occidentale, nascondendo gli obiettivi espansionistici dietro un velo di retorica antioccidentale. Affrontare l'ombra della guerra condotta dalla Repubblica Islamica dell'Iran nel Medio Oriente richiede una risposta coesa da parte degli Stati arabi e un'azione strategica a livello internazionale.
Le nazioni arabe devono superare le loro divisioni interne per contrastare efficacemente l'influenza di Teheran: una minaccia incontrollabile, globale. Uno tsunami che mieterà altre vittime e devasterà molte nazioni.
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