Un altro morto a Parigi, vittima di un "lupo solitario" jihadista
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In pieno centro a Parigi è stato pugnalato a morte un turista tedesco. L'attentatore è un francese di origine iraniana, radicalizzato. Un "lupo solitario" dell'Isis, con molti contatti.
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Sabato sera, vigilia d’Avvento, ai piedi della Torre Eiffel c’è una bomba ambulante. È Armand Rajabpour-Miyandoab che munito di coltello e martello al grido di «Allah Akbar» ha ucciso un turista tedesco e ferito altre due persone. Parigi è ancora colpita al cuore. A pochi giorni dal Natale, e a circa 230 dai Giochi Olimpici, il Paese conferma l’allerta rossa sul fronte della minaccia islamista, mentre Macron chiede al primo ministro, Borne, di convocare una riunione urgente sulla sicurezza domenica pomeriggio 3 dicembre.
È stato necessario l’intervento di cinque agenti per fermare il terrorista islamico che, nel frattempo, aveva anche finto di nascondere un ordigno esplosivo in tasca. Durante il suo arresto, ha dichiarato ad aver agito perché non riusciva più a «sopportare di vedere musulmani morire» e di essere lì per vendicare il sostegno francese ad Israele. La giustificazione dell’attentato, rivendicato anche in un video pubblicato pochi minuti prima dell’omicidio, - durante il quale il terrorista si è dichiarato «sostenitore del califfato dello Stato islamico» e ha promesso «fedeltà al califfo Abu Hafs» -, ricorda quella di Mohammed Mogoughkov, il terrorista di Arras: anch’egli ha citato Hamas prima di accoltellare e uccidere il professore Dominique Bernard.
Armand Rajabpour-Miyandoab è nato in Francia nel 1997, da genitori iraniani e cresciuto nel sobborgo di Neuilly sur Seine. Si chiamava Iman, poi nel 2003 ha francesizzato il suo nome. Secondo Gérald Darmanin, ministro dell’Interno, era «in cura psichiatrica e neurologica e aveva interrotto i suoi trattamenti farmacologici alcuni mesi fa», ecco spiegata la genesi dell’attentato. Nel 2016, aveva pensato di partire per la Siria e combattere con l’Isis.
Il Centro per l’analisi del terrorismo (Cat) ha segnalato che Rajabpour-Miyandoab, già schedato «S» (ad alto rischio radicalizzazione), aveva avuto diversi legami e rapporti con terroristi francesi in questi anni. Come con Abdoullakh Anzorov, l’assassino di Samuel Paty, il professore decapitato all’uscita da scuola e Larossi Abbala, l’autore del duplice omicidio nel giugno 2016 degli agenti di polizia a Magnanville. Aveva comunicato più volte con Adel Kermiche, l’islamista che ha sgozzato, dopo la messa, padre Jacques Hamel. Ed era in contatto con Maximilien Thibaut - jihadista francese partito per la Siria ed ex membro del gruppo Forsane Alizza, la cellula, sciolta nella primavera del 2012, che sosteneva il jihad armato con l’obiettivo di «instaurare un califfato» in Francia - e che nel 2016 verrà arrestato per aver pianificato un attentato a La Defense.
Rajabpour-Miyandoab sarà condannato a cinque anni, nel 2018, per associazione terroristica nel medesimo “caso La Defense”. La sua detenzione sarà costellata da gravi episodi, messo in isolamento, verrà sottoposto ad una gestione speciale in quanto giudicato capace di commettere atti violenti contro il personale. L’ultimo anno di carcere lo trascorrerà sempre scortato da tre agenti. Nel 2020, uscirà in libertà vigilata e nell’aprile del 2023 sarà rilasciato definitivamente. La procura antiterrorismo francese ha annunciato che già tre persone del suo entourage sono attualmente in custodia di polizia.
Se gli esecutori di attentati con armi bianche e veicoli sono spesso terroristi “non professionisti”, cioè non abituati all’impiego di armi ed esplosivi, la loro azione non è detto che sia improvvisata o dettata da ragioni personali, frustrazione o “disturbi mentali”, definizioni con cui in Europa si tenta spesso di mitigare la matrice ideologica islamista. E quest’ultimo attentato farà scuola in tal senso. Lo Stato Islamico ha sempre definito “soldati” gli uomini che compiono azioni come queste. E Abu Mohammad al-Adnani, capo della propaganda dell’Isis e ispiratore dei lupi solitari (ucciso nel 2016) nel 2014, esortava tutti gli adepti a colpire con ogni mezzo gl’infedeli, inclusi coltelli da cucina e veicoli. In tutti questi anni, contro questa sfida, però, l’Europa non si è dimostrata in grado di elaborare risposte convincenti. Si è puntato al recupero sociale, come per i tossicodipendenti.
Il risultato è che oggi la Francia è un Paese dove si può rischiare di morire per una coltellata islamista in ogni momento e in qualsiasi luogo. Una strana trama di jihadismo, disintegrazione culturale, immigrazione incontrollata e falle giudiziarie fa da sfondo al lungo elenco lungo e raccapricciante. Da quando Mohammed Merah ha seminato morte a Tolosa e Montauban nell’aprile 2012, 274 persone sono state uccise in 26 attacchi islamici mortali in Francia. Degli attacchi con coltelli quotidiani, senza morti, non si ha un conteggio preciso. Mentre dal 2017, sono stati sventati 40 attentati.
Secondo il giudice antiterrorismo ed esperto di reti internazionali del terrore, Marc Trévidic, gli atti di violenza individuale rappresentano il principale rischio terroristico in Francia, ed è impossibile contenerlo. L’ex segretario di Stato americano Henry Kissinger, in una delle sue ultime interviste, ha spiegato che l’Europa ha commesso un grave errore creando al suo interno, attraverso l’immigrazione di massa, popolazioni che rifiutano di osservare le sue norme, principi e valori. E che, con totale impunità si può gridare «morte agli ebrei».
Proprio quest’ultimo attentato s’inserisce in una cornice particolarmente esplosiva dettata dal conflitto in Israele. È il terzo, con morti, - altri sono stati scongiurati in tempo - che arriva, all’indomani dell’invito di Hamas, attraverso la voce di Khalid Mashal, uno dei suoi membri fondatori, ai musulmani di tutto il mondo ad esprimere la propria rabbia chiedendo sangue. Un appello alla Ummah che conferma come, nel contesto attuale europeo, la minaccia sia sempre latente e pronta a riesplodere ogni qual volta vi sia uno stimolo esterno o un appello ad agire in nome del jihad a protezione della comunità musulmana mondiale.
L’orizzonte islamico cui Hamas partecipa è il jihad che separa il mondo tra la terra dell’islam e la terra della guerra combattuta per la conquista. Una concezione del mondo che rende impossibile qualsiasi soluzione politica. Le cancellerie d’Europa sono nel panico, le intelligence al palo. L’equilibrismo diplomatico, politico e istituzionale per riconoscere alla parte israeliana come a quella palestinese le rispettive ragioni per scongiurare attentati, ad oggi, non ha sortito alcun effetto.