Il testamento di Cordes: "L'opera di Dio nella mia vita"
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Volgendo il pensiero all'eternità il cardinale tedesco morto venerdì scorso ripercorreva gli eventi della sua vita, vedendo nelle persone e nelle circostanze la mano benevola del Padre.
Pubblichiamo il testo integrale del testamento spirituale del cardinale Paul Josef Cordes, presidente emerito del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, tornato alla Casa del Padre la notte tra il 14 ed il 15 marzo. Dopo la Messa esequiale di lunedi all’Altare della Cattedra della Basilica di San Pietro, la salma verrà trasferita in Germania. Questo venerdì l’arcivescovo di Paderborn, monsignor Udo Bentz presiederà alle ore 10:00 una Messa funebre nella Cattedrale di Paderborn. Seguirà il trasferimento nella città natale del cardinale, Kirchhundem, dove verrà traslato nella chiesa parrocchiale. La Nuova Bussola, con cui in questi anni Sua Eminenza ha collaborato più volte per interviste ed interventi a sua firma, si unisce al lutto dei familiari e di chi lo ha amorevolmente assistito fino all’ultimo.
Nella sera della mia vita, sono nuovamente mosso dalla missione della Chiesa di riconoscere l'opera di Dio nel corso degli eventi, in un mondo affetto da una crescente "dimenticanza di Dio" (Benedetto XVI), di sostenere tale opera e di annunciarla in rendimento di grazie. L'invito del salmista a "cantare delle vie del Signore, perché grande è la gloria del Signore" (Salmo 138,5) è senza dubbio ancora valido anche oggi. Già nei primi anni della mia vita si può riconoscere la Sua mano benevola: i miei genitori e mia sorella, i sacerdoti locali, le funzioni religiose e la vita parrocchiale, gli insegnanti, le lezioni e gli studi, le feste di paese, il calcio e le partite amatoriali – Egli si è servito di tutte queste persone e circostanze affinché il mio corpo, il mio spirito e la mia fiducia nella Sua bontà di Padre crescessero.
Che Egli abbia avuto un'influenza decisiva sulla mia biografia è diventato indiscutibile quando mi è stato raccontato della preghiera di una suora: la francescana Suor Candida di Olpe da anni chiedeva a Dio di condurmi al sacramento dell'Ordine; aveva riposto la sua fiducia solo in Lui, senza influenzarmi e senza nemmeno parlarmi al riguardo. Con la sua preghiera ella ha rimosso il mio iniziale rifiuto interiore. Lungo tutto il corso della mia vita, questa suora mi ha ricordato che è Dio a guidare la nostra vita. Inoltre, ella mi ha dimostrato l'importanza delle vocazioni contemplative nella missione della Chiesa e mi ha spinto a promuoverle costantemente. Oltre a Suor Candida, il mio cammino spirituale è stato plasmato da: Johannes Bieker, direttore del Leoninum di Paderborn; Philippe Pamart, un sacerdote francese membro del Leoninum; un breve periodo di prova con i Piccoli fratelli di Charles de Foucauld a Saint Rémy/Mombard e con Heinrich Batton, nostro vicerettore a Paderborn. Tutti loro mi hanno fatto intravedere l’avvincente vicinanza di Dio e mi hanno guidato. Sono stato ordinato sacerdote il 21 dicembre 1961.
Le preghiere di Suor Candida affinché io diventassi sacerdote hanno determinato in modo inaspettato la fase iniziale del mio ministero pastorale. Il mio primo incarico non fu in una parrocchia, ma come Secondo vicario della Casa di Studio San Clemente a Bad Driburg (istituto diocesano per le cosiddette vocazioni tardive); seguì nel 1968 un incarico come prefetto nel Convento Teologico Arcivescovile di Paderborn e infine un dottorato teologico sul Sacramento dell'Ordine. Sorprendentemente, seguirono altre tappe: Il lavoro nella segreteria della Conferenza episcopale tedesca e la consacrazione episcopale a Paderborn nel 1976. Quando la Conferenza episcopale polacca visitò la Germania per alcuni giorni nel 1978, toccò a me accompagnare in auto il cardinale Wojtyła di Cracovia. Quando poco dopo fu eletto Papa, mi chiamò a venire a Roma. Lì venni assegnato al "Consiglio per i Laici" del Vaticano. Mi imbattei nei nuovi "movimenti ecclesiali" e conobbi personalmente i loro iniziatori. Queste persone erano profondamente segnate dalla lotta per la propria redenzione e lo zelo per il Vangelo traspariva chiaramente in loro. Per me sono diventate testimoni della salvezza che viene da Dio. Coinvolgermi con loro alle volte risultava sfiancante, ma la loro compagnia è stata una grazia; il loro percorso e la loro opera danno speranza a molti nella Chiesa. Si affidano alla Parola di Dio, interpretata dalla Chiesa, con fede e realismo; ad una liturgia devota e coinvolgente; ad un cristianesimo autentico e ad una comunità di vita, tanto ricercata al giorno d’oggi, che è di sostegno all’uomo. La loro presenza dimostra che Dio è ancora attivo nel Cristo vivente, che desta frutti di santità ancora oggi.
In tal modo, riempito di doni ma anche “sfidato”, mi sono impegnato a diventare un messaggero della fede anche per gli altri uomini. La verità del Vangelo e la comunità della Chiesa mi hanno dato una guida affidabile con il loro doppio dovere di amare Dio e il prossimo. E sempre più mi ha stupito e addirittura afferrato, il fatto che l'Onnipotente, nel suo Figlio, desideri davvero essere amato da noi - perché sperimentiamo già l'amore umano come la cosa più deliziosa e commovente di tutte.
Nel 1995, Giovanni Paolo II mi nominò presidente di Cor Unum, il dicastero vaticano per il coordinamento delle organizzazioni caritative della Chiesa. Svolgendo questo incarico, come era inevitabile, mi resi conto di quanto la prima parte del grande comandamento divino, l'amore di Dio, avesse perso la sua importanza - sia negli atti di carità organizzata che nello stesso essere cristiano. È vero che oggi è urgente promuovere la pace, la giustizia e l'integrità del creato, e è anche vero che l'impegno in questi campi rende la Chiesa più credibile. Tuttavia, ero certo che tali obiettivi non avrebbero mai potuto oscurare o forse sostituire la natura tipica e specifica della missione della Chiesa, e che essi al giorno d'oggi hanno comunque numerosi sostenitori all'interno della società. La stessa parola di Dio mette in guardia i cristiani dall'abbandonarsi a ciò che è terreno, a questo mondo. L'apostolo Paolo critica aspramente i Corinzi perché si accontentano di cose secolari, tangibili. Egli lamenta che il messaggio della risurrezione di Cristo e della vita eterna non li caratterizzi più: "Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini." (1 Cor 15,19). L'alleluia pasquale non può essere oscurato o compensato da alcunché nella proclamazione della Chiesa.
Uno sguardo retrospettivo alla mia storia mi convince che essa non è stata determinata dal caso o dai miei interventi. Io vi ho contribuito solo con la mia mancanza di fede e di affidamento e con un colpevole egoismo. D'altra parte, ho potuto sperimentare che “Dio c’è, ed è qui per me, è qui per noi” (come disse il Cardinale Julius Döpfner il 21 novembre 1973). Nell'ora dell'addio desidero lasciare ai miei compagni di viaggio questa certezza. Non mi resta che chiedere loro perdono per le offese subite e chiedere la loro preghiera affinché io possa raggiungere la beatitudine eterna nella vita trinitaria di Dio.
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